Le storie di Walter: i ragazzi di Gino

ASCOLI - Serata amarcord dei ragazzi ex allievi dell’indimenticabile Gino Mazzocchi. I tanti aneddoti e gli affettuosi ricordi di mezzo secolo fa dei primi frequentatori della "Neumann", la prima palestra cittadina dedicata al body building. Schietto e originale, ha saputo lasciare la sua impronta nella storia dello sport ascolano e nei cuori dei tanti che gli hanno voluto bene
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Gino Mazzocchi in azione

 

di Walter Luzi

 

Qualche giorno fa, il 9 febbraio, Gino Mazzocchi avrebbe compiuto ottantaquattro anni. Personaggio singolare e carismatico, è stato il pioniere della pesistica e del body building ascolani. A quindici anni dalla sua prematura scomparsa tutti i suoi primi allievi continuano a ricordarlo con affetto e gratitudine.

 

Hanno voluto ritrovarsi per questo, nel suo nome, Da Bruno, noto locale nel centro storico di Ascoli, ma già si pensa alla prossima reunion autoconvocata, in primavera. Per non dimenticare chi è stato, e cosa ha rappresentato per tutti loro, Gino Mazzocchi. Il maestro. Di sport, e non solo.

 

Per raccontare la sua storia dobbiamo partire da quando, appena dodicenne nella borgata di San Marcello, realizza improvvisati manubri con i barattoli vuoti della conserva di pomodoro riempiti di cemento per potenziare il suo fisico già notevole per natura. È un bellissimo ragazzo, di quelli che non possono passare inosservati. Doti che potrebbero spalancargli anche la strada del cinema, se fosse nato in una grande città anziché nella provincia più remota.

 

Nelle sale in quegli anni furoreggiano le pellicole storiche, imperniate sui miti di muscolosi eroi senza macchia e senza paura come Ercole o Sansone. Trova il modo di partecipare anche dei casting cinematografici, ma quando gli dicono che deve tirar fuori dei soldi per continuare a cullare sogni, ci rinuncia perché sa bene che questi sono spesso destinati a rimanere soltanto illusioni.

 

All’inizio degli anni sessanta emigra in Germania dove inizia ad allenarsi intensivamente nel sollevamento pesi, e quindi, nel 1963, in Svizzera. Fuori orario di lavoro si dedica all’atletica pesante e quindi al body building, che aiuterà a far diventare famosi anche grossi personaggi. Incrocia infatti in quel periodo un giovanotto tedesco destinato a diventare, oltre oceano, una star del cinema solo pochi anni dopo. Arnold Schwarzenegger.

 

Oltre a tanti campioni come Serge Nubret, con il quale si allena per un periodo. Mazzocchi rientra in Ascoli nel 1966. Lavorerà come lavavetri, sempre disponibile e instancabile, apprezzato per la sua serietà e puntualità. Ma sarà sempre conosciuto, soprattutto, come il culturista, l’uomo d’acciaio, il primo istruttore di body building della città, e punto di riferimento per tanti giovani di quella generazione, gli irrequieti adolescenti degli anni Settanta.

 

Nasce la Neumann

In quelle prime palestre di fortuna, povere di tutto tranne che di umanità, dove «oltre ai muscoli – soleva ripetere Gino – ti fa crescere anche il cervello».  Dove pian piano si imparava a decriptare e tradurre quel suo lessico “mazzocchista” originale e personalissimo, ermetico, ma una volta tradotto, anche illuminante. In nome di quella cultura fisica che «rende potente sulle spinte e agile sulle snodature» di quegli esercizi «a gambe tese un po’ flesse e piedi contemporanei» che ti permettono di arrivare ad avere un addominale definito cioè «ben squadramato». Per citare solo alcuni fra i mille neologismi da lui coniati e abitualmente utilizzati.

 

Antesignano dei gestori di palestre che fioriranno numerose in città nei decenni successivi, Gino Mazzocchi è stato il primo ad anticipare le tendenze, non per brama di business, ma come portatore e diffusore di passione pura. La prima palestra aperta in città suscita infatti l’ironia e i commenti sarcastici della gente, non abituata all’idea che questi giovani matti godano a sfiancarsi di fatica lì dentro solo per sport. Né pronta a concepire il fatto di poter perdere il proprio tempo in una attività fisica. Ma già nel nome che Mazzocchi ha scelto per la sua palestra, Neumann, c’è insito il manifesto di una missione. In tedesco Neumann significa infatti “uomo nuovo”.

 

Gino è portatore di passione innata, e di quella innovazione scoperta in terra straniera, divulgatore di conoscenze e di tecniche. Ma maestro, soprattutto, di una scuola di pensiero e di vita, prima che di sport. La sua prima palestra è quella nei pressi di piazza San Gregorio, in via Castellana, sotto la sua abitazione. Un fondaco interrato fatiscente senza nemmeno un pavimento sul fondo in terra sconnesso con pochi poveri attrezzi un po’ arrugginiti dall’umidità dell’ambiente. Una panca con delle tavolette di legno sotto i piedi per mantenerla in piano, le parallele, e una sbarra che però pende vistosamente.

 

«Non fa niente – spiega ai suoi ragazzi – fate due serie imbracciandola da un senso e due serie imbracciandola al rovescio. Così compensate...».

 

Sono i primi anni settanta. La retta di frequenza è di duemila lire al mese, che diventavano duemilacinquecento in inverno, per far fronte alle spese di riscaldamento. Delegato ad una vecchia stufetta ad acetilene che, quando entra in funzione, emette un puzzo soffocante da far subito rimpiangere, e preferire, il freddo. Mazzocchi misura accuratamente subito le circonferenze di tutti gli arti dei suoi allievi, per poterne registrare periodicamente lo sviluppo, e assegna un programma di allenamenti da rispettare. Primi discepoli, forgiati dal sacrificio e dalle privazioni a cui, nonostante le difficoltà di ogni tipo, lui riesce a trasmettere tutto il suo amore per quello sport così duro, il sacro fuoco della passione per una attività fisica che scolpisce il fisico, ma apre anche le menti, e scalda i cuori.

Con Serge Nubret, campione del mondo body building

 

Cuori che battono ancora, più forte, stasera, ricordando Gino Mazzocchi, il loro maestro. È passato mezzo secolo, ma ne parlano tutti come fosse ieri. Anche se i capelli, quando ci sono ancora, sono diventati bianchi, e gli acciacchi della vecchiaia incombente cominciano a farsi sentire. Aneddoti che si accavallano e si rincorrono, racconti di avvenimenti che mai si contraddicono pur, come i Vangeli, nelle diverse versioni.

 

Un lessico tutto proprio, quello di Gino Mazzocchi, che andava tradotto, interpretato, assimilato. Lui, con le sue manie sparagnine e le sue fisse, i suoi consigli illuminanti e le sue battute disarmanti. Il suo cuore mite e puro. Soprattutto. Del quale qualcuno si è anche approfittato.

 

Io c’ero

 

Roberto Ciarrocchi, classe 1956, ex pluricampione e primatista italiano, dodici volte azzurro di salto con l’asta sotto la guida all’Asa di Natalino Angelini, è stato fra i primi allievi di Mazzocchi insieme a Maurizio Celani, futuro noto commercialista, Claudio Tranquilli, universalmente più conosciuto con il soprannome di Mastrò, E Mauro Massetti, un ragazzo d’oro prematuramente scomparso. Fra gli altri autentici pionieri del culturismo nella nostra città.

 

*Il testo continua dopo la foto 

Mazzocchi, primo in basso a sinistra, coi suoi allievi

 

«Lui ha scritto la storia del body building ascolano – ci dice Ciarrocchi – è stato un precursore, che ci ha tramandato, con generosità, le sue preziose conoscenze e la sua passione». Che si è dovuto inventare, spesso costruire da solo, artigianalmente, quegli attrezzi, quelle macchine per gli allenamenti, che saranno reperibili sul mercato italiano solo anni dopo.

Mazzocchi con la sua moto

 

Un puro, un visionario, ma anche un attore, un campione e un filosofo mancati. Un piccolo salto di qualità Gino lo fa qualche anno dopo, quando trasferisce la sua palestra privata in un’altro locale più spazioso ma parimenti fatiscente, in disuso da sempre, in via Montegrappa, vicino alla caserma Vellei. Ricava dei miniscoli spogliatoi tirando su i divisori con dei sottili pannelli di legno compensato. Attrezza anche una doccia con un piccolo boyler di capacità però assolutamente insufficiente a garantire l’acqua calda per tutti. Ma fa uguale.

 

Le docce gelate, anche in pieno inverno, temprano anch’esse i fisici di quei giovani entusiasti. Anche se i fili elettrici dell’alimentazione di fortuna corrono pericolosamente a vista sopra le loro teste, e il telo di plastica appeso a coprire le nudità, si appiccica addosso al primo formarsi di vapore. L’entusiasmo, e un pizzico di sana incoscienza, suppliscono a tutto. E di tutto si può fare spartanamente a meno.

«Ci credevamo tutti in quello che facevamo – ricorda commosso sempre Ciarrocchi – eravamo tutti amici fra di noi, e sempre sorridenti, allegri, positivi. Nonostante tutto, non soffrivamo la mancanza di nulla. Sentivamo che il maestro, nei limiti delle sue possibilità, si adoperava sempre per darci il massimo che poteva, e questo ci bastava. Stasera sono felice di essere qui, di ritrovare e riabbracciare i miei vecchi compagni di allenamento nella palestra di Gino. Siamo rimasti tutti quelli di allora. Anche grazie a lui».

 

Con intuizione ed inventiva Mazzocchi concepisce macchine di allenamento di cui poi commissiona ad artigiani la costruzione. Sono, per i tempi, concettualmente all’avanguardia, perché spesso possono essere usati da due ragazzi contemporaneamente in azione combinata a stimolare fasce muscolari diverse. Le prime rudimentali lat-machine che si fabbrica in casa funzionano sullo stesso principio di quelle costosissime e griffate di oggi. I pesi dei bilancieri sono dischi delle frizioni o dei freni dei camion che è riuscito a procurarsi chissà dove.

La tavolata degli ex allievi di Mazzocchi

 

«Con i pochi mezzi disponibili in quel tempo – racconta Alessandro Panichi – lui riusciva a tirarci fuori il massimo. Il mercato del settore ancora non esisteva, e lui si ingegnava sulla scorta delle esperienze fatte in Germania anni prima. I sacchi ad acqua di oggi, ad esempio, noi ce li facevano artigianalmente in casa, riempiendoli di sabbia, ma erano, ovviamente, durissimi».

 

Nasce il mito

 

Gli iscritti aumentano e con il trasloco successivo Mazzocchi fa il grande salto…al piano strada. Basta locali seminterrati malsani. Quella di via Pacifici Mazzoni adesso è una vera palestra. Spaziosità e igiene registrano anch’esse un bel salto in avanti. Lui continua ad essere sempre parsimonioso, molto attento al contenimento dei consumi, acqua, energia elettrica per il ventilatore o l’illuminazione, o riscaldamento degli ambienti che fossero. Spesso anche esagerando un tantino con i risparmi. Ma resta un mito. Un duro? Assolutamente no. Tutt’altro. È una persona molto alla mano, semplice, buona. Incapace non solo di fare del male, ma neanche di dire male degli altri. Di essere cattivo. I soli rimproveri che può fare ai suoi ragazzi infatti, possono essere per un esercizio eseguito male o con la postura sbagliata.

 

A modo suo, in quel suo linguaggio personalissimo che va decriptato, che può essere compreso a fatica, ma intriso della umanità più genuina. Sotto quei fasci di muscoli che non tolgono armoniosità ad un fisico dotato di una forza impressionante. E una agilità, una elasticità, che gli consentiranno di scampare miracolosamente a diversi incidenti, sul lavoro e sulla strada. Ama molto anche le moto Gino. A cominciare dalla sua leggendaria Moto Guzzi V7. E ama modificarle con le sue mani. Il suo lavoro principale resta, come detto, quello di lavavetri. Agrobatico. Con la G, come gli piaceva definirlo, che gli aveva procurato anche qualche accidentale caduta dall’alto.

 

Una volta, a metà degli anni ottanta, era scivolato sul davanzale di una finestra al secondo piano dell’ex sede del consorzio agrario di Porta Maggiore uscendone praticamente illeso. Un’altra volta, in precedenza, era stato meno fortunato, perché atterrato su un tetto sottostante in lamiere, queste lo avevano ferito. Ma, come i gatti, aveva sempre dimostrato di avere sette vite.

Con Sergio Torquati

 

I ricordi dei primi discepoli

 

Alla reunion “Da Bruno” ne sono arrivati quasi una ventina. Manca all’appello solo qualcuno che proprio non ce l’ha fatta a liberarsi, ma che farà di tutto per esserci la prossima volta. Ci sono Diego Cafini e Cesare Alesi, che si ricorda ancora i fogli appesi con l’elenco dei nomi degli allievi che non avevano ancora pagato la retta mensile. Alfredo “MaciannaMancini che ricorda uno dei suoi detti “Lu pis’ pesa”. Andrea Tombini è rimasto colpito invece da una delle tante massime care al maestro: «L’uomo medio batte il legno, l’uomo forte batte il ferro, l’uomo extra forte batte l’asfalto (su cui aveva spesso ruzzolato con la moto) e il superuomo batte sé stesso».

 

Alessandro Rocchetti rammenta il Gino Mazzocchi filosofo: «Io sono diverso da te, tu sei diverso da me, ognuno è diverso da ognuno di sé». Marco Bamonti, oggi fisioterapista, ricorda: «Lu pis’ pesa, e il ferro ti dà a capire». Nazzareno Paoletti rammenta i suoi rituali comandi in allenamento: «Ispirare…Sfiatare…».

 

Ci sono Antonino Mondello e Bartolomeo Silvestri. Antonio Mariotti, un ingegnere, ricorda il valore dell’amicizia che per lui era sacro. «Subito dopo la morte nel 1978, di Mauro Massetti in un incidente stradale, uno dei suoi allievi prediletti, espose subito in palestra una sua foto e una commuovente dedica molto affettuosa», ricorda.

 

Ci sono Alfredo Damiani, Attilio Fraticelli, ex velocista dell’Asa, Nicola Cappelli, e Remo Nepi, primo promotore di questo evento, ma che sta già lavorando al prossimo. Gino Mazzocchi, il maestro, li chiamava tutti quanti con lo stesso appellativo “Capp’llò”.

 

Nessuno lo ha dimenticato

 

Intanto Gino ha messo su famiglia sposando Filomena Bamonti, che gli darà tre figli, Davide, Adamo e Cristina.  Nei primi anni ottanta non segue l’invito di Enrico Bartolini  ed Alfredo “Macianna” Mancini di unirsi a loro per aprire insieme una nuova, moderna palestra, con attrezzature d’avanguardia e mentalità più imprenditoriale, presso l’Hotel Pennile. Lui ha paura di indebitarsi, di lasciare il certo per l’incerto, di affrontare l’apparentemente dispendioso investimento iniziale, che può diventare però molto redditizio sul lungo termine grazie alla facile previsione di un aumento considerevole del numero degli iscritti.

 

Preferirà continuare da solo con la sua Neumann. Fino all’ultimo. Diviso fra il suo lavoro e il suo orto di Rosara, nei pressi della sottostazione Enel, a ridosso della Salaria. Torna da lì, quando accecato forse dal riverbero del sole, non riesce ad evitare l’impatto fatale del suo piccolo camioncino contro un altro automezzo. È il 7 dicembre 2010.

 

Al suo funerale lo salutano i tantissimi che gli hanno voluto bene, e un corteo di motociclisti in sella alle loro moto rombanti. Su Youtube i figli lo hanno ricordato con un video bellissimo e struggente che ripercorre tutta la sua intensa vita. Il suo amico e vecchio estimatore Sergio Torquati, gli ha intitolato la sala pesi della sua palestra Yuki Club. Una targa appesa al muro per ricordarlo gli sembrava troppo poco. Ha preferito un grande tazebao, con tante sue belle foto, e ricco di informazioni per raccontare ai più giovani chi sia stato Gino Mazzocchi. Quell’uomo dal fisico possente da super eroe, e il cuore grande, se lo è meritato davvero.


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