Il Tribunale del Riesame di Ancona ha respinto la richiesta di scarcerazione presentata dalla difesa di Claudio Funari, 42 anni, detenuto nel carcere di Marino per la violenta aggressione avvenuta a Comunanza il 23 dicembre scorso. Nell’attacco ha perso la vita Renzo Paradisi, deceduto alcuni giorni dopo, mentre sua moglie Maria Antonietta Giacomozzi è rimasta gravemente ferita.
I giudici Paola Moscaroli (presidente), Francesca Pizii (relatore) e Maria Elena Cola hanno motivato la decisione con parole nette, parlando di «spietatezza, ferocia, brutalità e violenza inaudita dell’aggressione» e di «assoluta pretestuosità della versione difensiva» avanzata da Funari. L’uomo è accusato di omicidio, tentato incendio, violenza privata e danneggiamento, con l’aggravante dei futili motivi e della minorata difesa delle vittime.
Secondo il Tribunale, l’impianto accusatorio costruito dalla Procura di Ascoli è «incontestabile» e la misura detentiva in carcere è ritenuta «indispensabile». La difesa, rappresentata dall’avvocato Olindo Dionisi, aveva chiesto la concessione degli arresti domiciliari con braccialetto elettronico, sottolineando l’assenza di premeditazione e l’occasionalità del reato. Tuttavia, per il Riesame, la qualificazione giuridica dei fatti come omicidio e tentato omicidio aggravati è del tutto corretta.
All’origine del rancore tra Funari e i coniugi Paradisi vi sarebbe la loro opposizione alla sua frequentazione con una delle loro figlie. La giovane, ascoltata dagli inquirenti, ha dichiarato che l’uomo avrebbe frainteso i suoi sentimenti e che, una volta appresa la sua decisione di interrompere i rapporti, le avrebbe rivolto minacce, dicendole che le avrebbe «rovinato la vita» se avesse smesso di vederlo. Questi elementi hanno portato la Procura a contestare anche la premeditazione.
La difesa aveva cercato di sostenere che Funari avesse agito in seguito a una presunta aggressione subita da parte delle vittime. Tuttavia, i giudici hanno definito questa versione «pretestuosa», evidenziando che le visite mediche hanno riscontrato sul corpo dell’imputato solo «segni lievissimi», compatibili con un tentativo di autodifesa da parte delle vittime, ma non con l’aggressione feroce da lui descritta.
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