di Walter Luzi
C’era una volta l’oratorio. Primo centro di aggregazione per quelli con i capelli bianchi come noi. Ogni parrocchia aveva il proprio. Ma, nel voler ricordarli e celebrarli tutti, perché tutti parimenti degni e meritevoli testimoni di un’epoca che non tornerà più, parleremo di quello che conosciamo meglio. Quello dove siamo cresciuti. Lì, nella parrocchia dei Santi Filippo e Giacomo.
In tanti, perché negli anni in cui abbiamo vissuto le nostre infanzie e le nostre adolescenze quell’oratorio, con le sue mille, varie e coinvolgenti iniziative, rappresentava tutto il nostro mondo. La località di San Filippo, e, soprattutto, il nuovo, vicino e popoloso quartiere dell’Ina Casa, ribollivano di vita e di gioventù. Di energie positive e di sogni. Di voglia di crescere, e di fare. Perché volevamo realizzarli presto, tutti quei nostri sogni.
Era un mondo più semplice, e più genuino. Dove si era felici con poco. Impregnato di ingenuità, e di buoni sentimenti. Dove i genitori ben facevano i genitori, con la severità come ingrediente fisso e irrinunciabile. E i figli, i figli. Insofferenti, come ogni giovane è per natura, verso le autorità, ma mai irrispettosi. Irrequieti, ma ben predisposti, comunque, verso il sacrificio e il dovere. Di questi due fattori era lastricata la lunga via, ben delimitata dalle regole, verso la rivendicazione di ogni diritto.
Non era piatto e vuoto quel mondo, ma ricco di umanità, e costellato di sane disuguaglianze. I poveri erano infatti molto più numerosi dei ricchi. E anche se non potevano permettersi la villeggiatura estiva, o il pranzo domenicale in trattoria, erano felici lo stesso. I figli degli operai e dei contadini erano compagni di classe, spesso pluriclasse, e di catechismo, dei figli dei benestanti. Ci si misurava e ci si rapportava, ogni giorno, diversi, ma senza complessi, guardandosi dritti negli occhi. Ci si capiva molto meglio, così, allora. E se ci scappava qualche scappellotto, qualche spintone, o ci si insultava spesso apostrofandosi regolarmente con un “cicciabomba” o un “cretinetti”, nessuno sentiva il bisogno di ricorrere ad uno psicologo per superare il trauma.
La strada ci fortificava, e ci insegnava a stare al mondo. Ad impegnarci per diventare migliori con le nostre forze, stimolate, alimentate, soprattutto in quell’oratorio parrocchiale, dal confronto diretto e quotidiano con gli altri coetanei. Antipatie che potevano anche diventare amicizie vere. Gomito a gomito alle stecche del biliardino, o da avversari sulla fanghiglia del campetto di calcio.
Ce ne era sempre uno di campetto, in ogni parrocchia. Con le linee bianche tirate un po’ storte con il gesso sulla terra battuta. L’erba, quella vera, non quella sintetica che si usa oggi, non faceva in tempo a crescere, perché ci si giocava per tutto il giorno tutti i giorni dell’anno. Fino a quando, dopo il tramonto, non si riusciva proprio più a vederlo, il pallone. Le gerarchie, le maggiori anzianità, tutte, godevano di ineludibile e incondizionato rispetto.
I rimbrotti dei ragazzi più grandi, responsabilizzati nel ruolo di primi, preziosi educatori a loro insaputa, ci aiutavano a superare sfottò e impacci, limiti e rossori. Batticuore e turbamenti anticipavano i primi amori giovanili, che spesso sbocciavano proprio in parrocchia, e, altrettanto spesso, potevano rimanere a lungo casti. Ma destinati, quasi tutti, a durare per una vita intera. Succedeva tutto questo nei tanti oratori parrocchiali di una volta, che, come il nostro di San Filippo (e Giacomo), ti sei portato dentro per sempre.
Un prete all’antica
Don Mariano Grascelli, classe 1912 era nato a Rovetino di Rotella nella famiglia, molto numerosa, fra i sette figli di Elisa e Ferruccio. Ordinato sacerdote nel 1938, era partito missionario in Etiopia nel 1939. L’anno dopo, allo scoppio della guerra si era subito arruolato come tenente cappellano. Catturato dagli inglesi nel 1941 aveva passato cinque anni nei campi di prigionia in Inghilterra.
Dopo diverse esperienze in altre piccole parrocchie dell’ascolano era arrivato infine a San Filippo e Giacomo a fare da vice al vecchio don Evaristo Tamburrini. Nominato parroco nel 1960, seguirà, passo passo, la costruzione della nuova, grande chiesa edificata dall’impresa Travaglini. Venne inaugurata il 2 novembre 1963 giusto in tempo per celebrare i venticinque anni di sacerdozio di don Mariano. Arredata grazie alla generosità dei fedeli, e arricchita da un grande dipinto dell’ultima cena, opera dell’artista ascolano Dino Ferrari, venne consacrata ufficialmente dal vescovo Marcello Morgante il 25 aprile 1964. Don Mariano Grascelli si è già abbondantemente guadagnata la stima del suo vescovo. Il giorno del suo insediamento aveva portato molte centinaia dei suoi fedeli ad accoglierlo festosamente al suo passaggio lungo la Salaria.
La staffetta in motocicletta dei vigili urbani si era dovuta arrestare di fronte all’abbraccio caloroso in strada dei parrocchiani di San Filippo. Don Mariano, prete all’antica, autoritario, sarà sempre affiancato dalla sorella Giuseppina, ancora oggi vivente alla ragguardevole età di 104 anni, come fida ed influente consigliera. Molti i giovani cappellani che si sono fatti le ossa come vice di don Mariano Grascelli. Ad iniziare da don Peppe Tanziani, uno dei primi preti-operai in Italia. E poi don Tommaso Monti, don Ubaldo Leonetti, e don Tonino Gabrielli.
Lisetta sarà, invece, la sua sagrestana storica. Il nipote Giusto, geloso custode ancora oggi della memoria della parrocchia, per una vita intera suo primo, validissimo collaboratore. Ma la nuova, grande chiesa di San Filippo sarà teatro di ogni sorta di iniziativa promossa dai giovani della parrocchia. Anche rivoluzionaria, come vedremo, per i tempi.
I carri di carnevale
Prima, vista la concomitanza di questi giorni, dobbiamo parlare dei carri mascherati che, per almeno un ventennio, hanno caratterizzato il Carnevale ascolano. Inizialmente, negli anni cinquanta, venivano realizzati dalle scuole della città. L’allora Scuola Industriale figurava fra le più attive, mentre uno dei tecnici più brillanti nella progettazione e nell’allestimento dei carri più spettacolari dell’epoca, è stato Sergio Sosi.
L’irriverenza sempre più sfrontata (per i tempi) dei temi, pur tipica e abituale nella goliardìa studentesca di ogni epoca, spinse il nuovo vescovo appena insediato, nel 1957, Marcello Morgante, a delegare alle parrocchie della città la realizzazione dei carri di Carnevale, con temi e allegorie, ovviamente, più adatti ai piccoli. Il primo carnevale dei bambini si tenne nel 1958, con vincitore dell’apposito concorso il carro della parrocchia di San Martino. Le sfilate dei carri in cartapesta colorata, che transitavano anche in Corso Vittorio e viale De Gasperi, andranno avanti fino alla metà degli anni sessanta.
I temi, innocenti, toccheranno l’attualità e le tradizioni. La rivalità fra le varie parrocchie della città è forte. Quella di San Filippo può avvalersi delle collaborazioni tecniche di alcuni assistenti del locale istituto professionale Inapli delle Tofare e, soprattutto, dell’insegnante Valeriano Tassi. Per fare esercitare nella saldatura i suoi allievi, si presta infatti ad assemblare le strutture metalliche di sostegno dei soggetti e suggerisce accorgimenti per le animazioni che si riveleranno, più volte, vincenti.
L’affiliazione all’Anspi
La crescita, più veloce e multiforme, delle attività dell’oratorio di San Filippo si deve anche alla sua entrata nell’Anspi, l’associazione nazionale San Paolo Italia, fondata a Brescia nel 1965 da monsignor Battista Belloli. Una realtà di ispirazione cristiana che conta ancora oggi circa duemila affiliati, tra oratori e circoli, in tutta Italia, e continua a promuovere iniziative in campo formativo e ricreativo. In questo spirito all’interno del piccolo teatro dell’oratorio nasce anche un mini bar autogestito.
I lavori di impiantistica e di muratura li eseguono nei ritagli di tempo alcuni dei parrocchiani stessi, come Nello Pierantozzi. Quella sala diviene così punto di ritrovo abituale per tanti parrocchiani. Non solo per i tornei di briscola e tressette del venerdì, ma unico luogo di sana aggregazione per giovani e meno giovani. Nasce contemporaneamente anche una mini compagnia teatrale, che prepara e porta in scena delle commedie che saranno replicate anche in altre parrocchie. Giuliano, Gabriele, Adorno, Luciano, Piero, Francesco, Johnny, Giancarlo, Serafino sono, fra gli altri, gli attori improvvisati.
Ma il capolavoro del circolo Anspi sarà l’approntamento di una sala cinematografica a tutti gli effetti. Giusto Grascelli, va a caricarsi e proietta di persona le pizze dei film programmati, anche successi del momento, come i musicarelli di Gianni Morandi, per ogni domenica pomeriggio. Riesce persino a procurarsi e a far funzionare un proiettore in cinemascope. Come quello dei cinema veri. I pienoni domenicali al cinema parrocchiale di San Filippo così sono sempre garantiti. Don Tonino Gabrielli coordinerà anche la piccola redazione di ragazzi che pubblica Noi qui, il bollettino ciclostilato parrocchiale sulle tante attività.
Jesus Christ Superstar
Davanti alla platea sempre gremita di pubblico, nella sala del teatro parrocchiale, prende vita anche la riedizione di quartiere di Rischiatutto, il popolarissimo gioco a quiz televisivo condotto da Mike Bongiorno, che sta spopolando in quei primi anni settanta. Grazie all’estro tecnologico di Pietro Malavolta, che riesce a riprodurre le meraviglie tecniche dei pulsanti di prenotazione per le risposte dei concorrenti, e alla perizia di Mimmo Balloni in veste di spigliato conduttore.
Ci sono anche il clone del signor no, e graziose vallette emule della bellissima Sabina Ciuffini. Scarseggeranno, alla lunga, solo i concorrenti. Sono sempre meno infatti quelli a sentirsela di cimentarsi, davanti al giudizio severo del pubblico in sala, sotto il fuoco di fila delle domande che Mimmo Balloni e il suo staff preparano minuziosamente durante la settimana consultando, senza ancora l’ausilio di Google, corposi tomi enciclopedici. Pietro Malavolta, compianto assistente all’Istituto Tecnico Industriale, ma, soprattutto, artista e geniale elettronico, è anche il mago dei presepi natalizi in chiesa. Idea e realizza personalmente, migliorandosi ogni anno, meravigliosi effetti speciali di luci e animazioni. Riproduce l’alternanza nel cielo del sole e delle stelle, albe e tramonti, anima con i movimenti le figure del presepe che risulta sempre fra i più visitati e apprezzati anche da fedeli provenienti da altre parrocchie. Ma quella chiesa di San Filippo ospita anche altro. I recital.
Il solito coro domenicale per accompagnare le liturgie, si emancipa. I più giovani mettono su infatti, autonomamente, un vero e proprio spettacolo musicale. Come la riedizione in formato “parrocchiale” del celeberrimo film musicale Jesus Christ Superstar che sta spopolando nelle sale. Vede Maurizio Alessandrini nel ruolo di protagonista principale, grazie al suo ragguardevole… phisique du role. Pietro Malavolta, ancora lui, e Agostino Albanesi, sono fra i tantissimi altri co-protagonisti canori.
Olimpiadi e Quintana
Con le specialità dell’atletica riviste e adattate al piccolo campo parrocchiale rivivono anche le mini olimpiadi. Con tanto di allestimento del tripode, e piccoli tedofori con la fiaccola. Anche i sestieri della Quintana vengono riadattati alle vie del quartiere Ina Casa delle Tofare. Il corteo storico ricostituito con tanti piccoli figuranti che vi risiedono e che approntano dei laboratori autonomi per l’organizzazione della sfilata e la realizzazione pratica dei costumi. Il tutto, ovviamente, con soluzioni di fortuna a basso costo, e di scarsa fedeltà storica, ma con l’entusiasmo si supplisce ad ogni difficoltà. Per confezionare i costumi si usa, per lo più, carta velina colorata. Gli elmi sono di cartapesta, le corazze di cartone, le spade di legno, le lance canne di bambù. Come tamburi vengono utilizzati i fustini vuoti di cartone del detersivo per lavatrice. Una festa.
Come nello spirito e nelle finalità di ogni oratorio, i bambini, coordinati dai più grandi, vengono incoraggiati all’autosufficienza nella manipolazione dei materiali, alla collaborazione, alla condivisione, a trovare, soprattutto, divertimento nell’autogestione.
Il G.S. Ascoli
Si inizia con i campionati parrocchiali organizzati dal Csi. Pallavolo, ma, soprattutto, calcio. Il Centro Sportivo Italiano è un’associazione senza scopo di lucro tra le più antiche di ispirazione cristiana, fondata sul volontariato, che promuove lo sport come momento di educazione, di crescita, di impegno e di aggregazione sociale. Vuole educare le nuove generazioni attraverso lo sport, e i giovani costituiranno sempre il suo principale punto di riferimento.
Fra i primi arbitri di calcio questa benemerita associazione di promozione sportiva giovanile ha figurato anche il nostro caro collega e amico Bruno Ferretti. Il G.S. Ascoli, colori sociali giallo e blu, inizia a partecipare ai campionati federali Figc nel 1971. Alla presidenza viene designato Bruno Argieri, a cui presto succederà il presidente storico del Gruppo Sportivo Ascoli di San Filippo, il giovane e brillante imprenditore Antonio Proietti. L’allenatore di quelle formazioni giovanili, dagli esordienti agli juniores, sarà sempre invece Marino Traini. Un sergente di ferro che vuole vincere, e magari anche stravincere, sempre.
Agli allenamenti e alle partite è sempre coadiuvato da un nutrito staff di giovani collaboratori, composto da Renato Diamanti, Luigino Fioravanti, Piero Petritola, Antonio Corvaro, Emidio Giammarini, Serafino Rapetti, Johnny e Francesco Vagnoni, Carlo Paris e i fratelli Giuliano e Gabriele Filipponi fra gli altri. Il G.S. Ascoli si allena sul campetto dell’oratorio di San Filippo. Otto contro otto al massimo perché è troppo piccolo rispetto al regolamentare “Squarcia” dove si giocano le partite dei vari campionati. Le piante di ulivo sul lato ovest a fare da spogliatoio. La doccia si fa dopo, a casa. Da dove si viene, e si torna, in bicicletta. Bei tempi.
Fotogallery G.S. Ascoli
Il dominio del G.S. Ascoli a livello cittadino è conteso soprattutto dal Tufilla di Severino Aurini, e si infrange spesso contro il fortissimo Montedinove o, andando avanti nelle eliminatorie, nella fase interprovinciale. Il G.S. Ascoli riuscirà a disputare solo una, per altro sfortunata, finale regionale, ma segnerà un’epoca con tanti ragazzi de li Cas’ Nov’, il vicino e popoloso quartiere dell’Ina Casa, che ne ingrosseranno, negli anni, le fila. Diventerà serbatoio di giovani promesse anche per la squadra Primavera dell’Ascoli Calcio, che si sta affacciando prepotentemente sulle massime scene calcistiche nazionali. Ma costituisce anche, soprattutto, una scuola di vita, dove il rispetto e la buona educazione sono l’irrinunciabile pane quotidiano.
E per questo che si può ben comprendere il raccapriccio di noi più anziani di fronte a certe moderne degenerazioni del costume, che si registrano, troppo spesso, a margine delle partite, e anche degli allenamenti, di giovani e giovanissimi piccoli calciatori. Oggi sul campetto dell’oratorio di San Filippo l’erba può crescere rigogliosa per tutto l’arco dell’anno. Quasi nessuno ci va più a giocare a pallone. I bambini oggi stanno sempre in casa, a rincoglionire davanti alla play station, o con quello stramaledetto telefonino sempre in mano. In questi tempi di moderna, diffusa e generalizzata barbarie, dove tutti fanno solo quello che conviene, e che non costa troppa fatica, ci piace raccontare un’altra cosa di Mariano e Giuseppina Grascelli. Un fatto che in pochi conoscono. L’area verde dove sorge quel campetto, con i campi di pallavolo a fianco, arrivarono a pagarsela di tasca propria. Pur di mantenerla per sempre a disposizione dei giovani delle generazioni future, ed evitare così che finisse cementificata. Facile e ben remunerata preda della vorace speculazione edilizia di quegli anni. C’era ancora qualcuno, una volta, disposto a sacrificarsi per il Bene Comune.
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