Le storie di Walter: Caciola e Falecò

ASCOLI - Un'epopea esaltante e irripetibile e due super tifosi, antichi capi riconosciuti e indiscussi della tifoseria ascolana non ancora organizzata. L’amore per i colori bianconeri, nato quando le soddisfazioni calcistiche erano davvero poche, poi sublimato dalle mille vittorie che hanno costruito il "miracolo Ascoli". E dall’amicizia personale nata con il presidentissimo Costantino Rozzi
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Caciola e Faleco’ festeggiano in campo al “Del Duca” la prima promozione in Serie A

 

di Walter Luzi

 

 

L’accoppiata Caciola e Faleco’, all’anagrafe Adriano Castelletti e Giuseppe Mancini, ci rimanda a tempi, sotto tutti gli aspetti, eroici. Per tutto quello che la loro generazione ha saputo costruire, con entusiasmo e sacrificio, da zero. E per la straordinaria, passione con cui hanno vissuto, accomunati, da protagonisti, le irripetibili gesta del “loro” Ascoli. Entrambi si sono guadagnati sul campo la considerazione e l’amicizia di Costantino Rozzi, che vedeva in loro disinteressati e preziosi collaboratori, e, soprattutto, il cuore, pulsante e inesauribile, della passione calcistica cittadina. E loro due in lui, un leader da venerare, un presidente-divinità capace di compiere, in serie, quei miracoli che avevano troppo a lungo, fino al suo avvento, solo potuto sognare, tanto apparivano irrealizzabili. E invece….

 

Faleco’

 

Giuseppe Mancini, classe 1919, nasce, quando si dice un destino segnato, proprio in via delle Zeppelle, dove negli anni Sessanta si costruirà il nuovo stadio intitolato alla memoria dei fratelli mecenati di Montedinove, Cino e Lillo del Duca. Suo padre, Alfredo, un gigante, è uno dei primi piccoli imprenditori ascolani in edilizia. Proprio lungo tutta la via delle Zeppelle edificherà diverse piccole palazzine. La mamma, più minuta, Giulia, gli ha dato nove figli. Otto maschi e una sola femmina. Giuseppe somiglia presto ad un divo di Hollywood. Ha i capelli neri e gli occhi verdi, oltre a un gran fisico forgiato nella grande palestra delle fatiche della vita. Arruolato in Aviazione, durante la seconda guerra mondiale combatte in Africa.

 

Il testo continua dopo le immagini 

 

Mancini durante la guerra in Africa

Mancini aviatore durante la seconda guerra mondiale

Mancini, in piedi al centro con altri prigionieri di guerra italiani in Africa nel 1946

 

Fatto prigioniero dagli inglesi sconta sette anni di prigionia in Africa. Durante la lunga attesa del suo ritorno a casa, Luisa, la sua unica sorella, non fa che parlare di lui a Vincenza, prima figlia nata in casa Agostini, che, poco più che ragazzina, le dà una mano nel piccolo negozietto di fiori che i Mancini hanno aperto in piazza Roma. «Ma quanto è bello, quanto è forte, quanto è simpatico mio fratello! Vedrai con i tuoi occhi, quando torna, che gran fusto che è!…». In effetti, nonostante gli stenti patiti in quegli ultimi sette anni, per Vincenzina, come la chiamano tutti, l’agognata conoscenza del bel Giuseppe si rivela all’altezza della lunga attesa. La scintilla scocca subito fra i due. È il 1948. Si sposano il 19 aprile 1951. Nel 1953 arriva Fiorella, poi Daniela nel 1954, Alfredo, nel 1957, e infine Claudio nel 1963. Giuseppe è uno di quei padri di una volta, che si facevano molto ben capire dai propri figli solo con uno sguardo. Suo suocero, un altro Alfredo, commercia con i fiori.

 

Mancini il giorno del matrimonio con la sua Vincenzina

Lui inizia a dargli una mano per i trasporti con il suo camioncino, ma presto sposta il business sulla frutta. È predisposto per natura al contatto con le persone, scaltro il giusto, si farà tanti amici fra i suoi fornitori in Campania. Porta con sé spesso il più giovane cognato Nazzareno Agostini, che vede in lui un modello di vita. Trasferte che sono vere avventure sulle strade malmesse dell’Appennino dell’epoca. Senza autostrade e stazioni di servizio. Senza telefonini cellulari e navigatori satellitari. Menti, cuori e braccia dovevano essere pronti a tutto. E, soprattutto, bastare a fronteggiare tutto. La prima rivendita di frutta e verdure lo posizionano al mercato di San Pietro Martire, proprio di fronte all’antica chiesa dei santi Vincenzo e Anastasio. Poi il Comune, prima di destinarli all’area del mattatoio di Castagneti, assegnerà a tutti i grandi grossisti del settore, come Agostini, Chiavarino, Evangelisti fra gli altri, degli appositi magazzini sotto il settore distinti, oggi tribuna “Mazzone” dello stadio “Del Duca”.

 

Le piccole finestrelle che danno luce e aria dall’alto, affacciano direttamente sul campo di gioco. I figli di Giuseppe si arrampicano spesso sulle montagne di cocomeri, o sulle pire di cassette accatastate, per andare a sbirciare da lì gli allenamenti della squadra del cuore. L’Ascoli di Costantino Rozzi sta correndo incontro, intanto, all’esaltante epopea che passerà alla storia del calcio italiano come il miracolo Ascoli. Giuseppe Mancini ne è tifosissimo, ma è anche uno sportivo a tutto tondo. Che si appassiona a tutti gli sport, come il pugilato, praticato per un periodo anche dal fratello Adriano prima di emigrare in Venezuela con i fratelli Alfredo e Ugo, il ciclismo, o la Formula Uno di automobilismo. Segue la Del Duca in trasferta fin dagli anni più grigi della serie C, su qualunque campo, anche i più caldi. Senza minimo di partecipanti. Se si rimane in pochi si affitta un pulmino piccolo e si va lo stesso. Forza Ascoli. Sempre.

 

 

 

Con il figlio Alfredo, che ha solo otto anni, c’è anche lui al “Ballarin” di San Benedetto quella maledetta domenica di San Valentino del 1965, quando Roberto Strulli perde la vita sul terreno di gioco durante un infuocato derby che resterà segnato per sempre da quella tragedia.

Mancini al mare con la sua famiglia

 

Caciola

 

Adriano Castelletti, universalmente conosciuto come Caciola era nato nel 1927 dentro le mura, nelle vicinanze della centralissima Piazza Roma, da Albina e Tonino. Il padre era morto in guerra durante la campagna di Russia e la mamma si era risposata. Uno dei suoi fratellastri, Tonino Cacioli, ottantanove primavere, ha servito ancora fino a poche settimane fa i clienti da dietro quel bancone del bar Marconi.

 

Adriano quel nomignolo, Caciola, se lo porta dietro fin da quando era solo un bambino. Glielo affibbiano i raccoglitori di castagne nei boschi lungo le pendici di Colle San Marco. Caciola, in dialetto, sta infatti per una castagna bollita nell’acqua. Ma lui non difetta certo di energia. Parte da Porta Cartara con le taniche piene d’acqua in collo e sale fino ai castagneti sopra le Piagge per dissetare i raccoglitori e guadagnarsi così qualche spicciolo. Una bella faticaccia che non è sufficiente a fiaccarlo. Ogni sera, infatti, al Supercinema e al Cinema Olimpia, va a vendere le caramelle fra il pubblico in sala con la caratteristica vaschetta a tracolla. Poi, grazie a Mario Vitelli, il papà di Giorgio, Davide, Marco e Mariolino, nota famiglia di grande tradizione nel settore della ristorazione cittadina, nei fine settimana serve a tavola durante i pranzi delle cerimonie che si organizzavano, all’epoca, in casa, o nelle aie, sotto i tendoni appositamente allestiti.

 

Il Bar Marconi

Viene aperto al civico 31, nel 1956, da tre ingegneri impiegati al Genio Civile. Due anni dopo, nel 1958, passa nelle mani di Adriano Castelletti. La zona è l’estrema periferia di Ascoli. Aperta campagna o quasi. Nel 1960 Adriano sposa Roberta Angellotti, che gli darà una mano anche al bar. Mauro, il loro unico figlio, nasce nel 1962. La passione per il calcio Adriano la scopre quando l’Ascoli gioca le sue partite ancora al vecchio campo “Squarcia”. I soldi in tasca sono pochi, e così la domenica scavalca il muro di cinta per guardare le partite evitando la biglietteria. Mauro resterà il suo unico figlio. Già da molto prima che Ascoli calcistica facesse capolino nelle massime serie professionistiche, durante le tantissime stagioni anonime in serie C, e anche inferiori, il Bar Marconi è stato sempre conosciuto come il covo della tifoseria più appassionata della città.

 

Castelletti davanti alla macchina per il caffè del bar Marconi

«Mio padre – ricorda il figlio Mauro – custodiva una agendina con i numeri di telefono di tutti gli stadi della Serie C, a cui telefonava, subito dopo la fine delle gare, per avere in anteprima il risultato della partita dell’Ascoli, senza aspettare, incollati alle radioline, il finale di tutto il calcio minuto per minuto. Bei tempi».

 

Il calcio non era ancora diventata la grande industria inquinata dai troppi soldi e dai troppi contorni opachi. Oggi con almeno una partita in televisione ogni giorno, e tutte le aberrazioni che il calcio moderno si porta dietro, si è perso molto del romanticismo e della passione, genuina e popolare, che lo hanno alimentato in massima parte fino alla fine degli anni Settanta. L’accoppiata dei supertifosi dell’Ascoli di Adriano Castelletti, alias Caciola, con Giuseppe Mancini, alias Falecò, nasce in quegli anni. Una coppia fissa di trascinatori in tribuna, con tromba e un grosso tamburo che si fanno sempre sentire, a suonare la carica, ogni domenica, per il “loro” amatissimo Ascoli. Quel tamburo che il figlio, Alfredo “Macianna”, conserva ancora oggi, gelosamente, in casa sua.

 

Alfredo Mancini con lo storico tamburo del padre

I migliori anni della nostra vita

 

Giuseppe Mancini intanto ha intuito che può rifornire lui di frutta e verdura tutti i piccoli rivenditori di generi alimentari della vallata del Tronto, delle piccole frazioni dell’entroterra, e i tanti piccoli rivenditori ambulanti. Diventa presto un grossista, continuando a commerciare con la frutta fino all’ultimo giorno della sua vita. Alzandosi tutti i giorni alle cinque di mattina, con la moglie che gli dà una mano a tenere in ordine i conti. In estate porta lui i cocomeri ai diversi punti di assaggio e vendita, a fette o interi, della città. A quintali.

 

Uno dei tanti carichi di cocomeri di Mancini insieme ai suoi collaboratori

Giuseppe Mancini con una delle sue automobili

 

Fra gli altri, all’incrocio della stazione, e in piazza della verdura ci sono i chioschi di Settepannelle, davanti al bar Marconi si piazza Silvio, mentre lu rusc’ si piazza davanti ai lavatoi di Porta Cappuccina. Giuseppe Mancini va personalmente in Sicilia a caricare i limoni e gli agrumi migliori, destinati anche al più prestigioso e famoso produttore di liquori cittadino nella sua piccola fabbrica vicino alla stazione. L’ anisetta di Silvio Meletti. “Utilizzavano solo le bucce per i loro distillati – ricorda il figlio Alfredo – e i frutti li regalavano in beneficenza agli istituti religiosi cittadini”. Mancini ha l’onore di annoverare fra i suoi clienti anche l’amata Del Duca Ascoli, che nel convitto di Corso Vittorio ospita tanti giovani calciatori scapoli. E quando la domenica si vince, rivendica sempre il merito delle vitamine contenute nella sua frutta buona.

 

Fra di loro capita anche un ragazzo promettente, Giuliano Cagnin. È arrivato, un po’ spaesato, dal Veneto, e finirà sotto la guida dell’allora responsabile delle formazioni giovanili Carlo Mazzone. A causa di seri infortuni non riuscirà a diventare un campione del pallone, ma avrà, in compenso, modo di conoscere, e poi sposare, Daniela Mancini, una delle figlie di Giuseppe.

 

«Quando si giocava solo la domenica – ricorda lei – papà organizzava le trasferte, in tutta Italia. L’Ascoli era degli ascolani e ogni domenica era una festa». Vola persino fino a Cagliari, con il battesimo dell’aria di Daniela e del nipote Alfredo Agostini. «In decenni e decenni di trasferte – ricorda sempre la figlia – mai un incidente, una rissa, un fatto spiacevole capitato ai suoi pullman di sostenitori. Lui ci teneva particolarmente a questo. Anche sulle piazze più calde, e senza le massicce misure di prevenzione che le forze dell’ordine predispongono oggi, dentro e attorno agli stadi».

 

Mancini con la sua famigliola al completo negli anni 60

 

Giuseppe fa stampare le locandine con il programma delle trasferte alla tipografia Celani e le appende personalmente, già dal lunedì precedente, negozio per negozio, vetrina per vetrina, del centro di Ascoli, ancora vivo all’epoca. Si parte ogni volta proprio davanti alla sede dell’agenzia Amadio, che gli affitta i pullman, in viale Indipendenza. In piena notte, per avere il tempo di poter fare con calma il tradizionale giretto nel centro storico della città dove gioca l’Ascoli prima della partita. Quando il pacchetto prevede anche il pranzo si inventa, insieme al ristoratore Giorgio Vitelli i contenitori in polistirolo con il preriscaldamento accelerato del pasto tirando l’apposita cordicella a strappo. Molti i giovani che Giuseppe Mancini detto Falecò riesce a catalizzare intorno a sé. Che seguono quest’uomo, saggio e carismatico, dal quale sentono di avere tanto da imparare.

 

Il “Processo” al bar Marconi

 

Il bar Marconi è stato sempre un luogo di abituale ritrovo, per calciofili e non. «Fummo fra i primi – ricorda sempre Mauro, il figlio di Caciolaa mettere un televisore nel bar. Quando Tva Telecentro iniziò a riprendere le partite esterne dell’Ascoli facevamo la colletta con i clienti per poter comprare la cassetta vhs del filmato e rivederla insieme al bar in differita grazie a un videolettore».

Mauro Castelletti con la moglie Rita dietro il bancone del bar Marconi

 

Il bar Marconi ospita, in diretta, anche una puntata de Il processo del lunedì di Aldo Biscardi, con il presidente Rozzi immancabile protagonista. Senza ancora social e telefonini, la tifoseria vive la fede calcistica giornalmente, in presenza. Molti degli avventori del bar Marconi seguono infatti tutti gli allenamenti al “Del Duca” che precedono la partita domenicale, e riportano nel bar ogni notizia, ogni novità sulla squadra. Ogni indiscrezione trapelata sulla formazione che sarebbe potuta scendere in campo. Il bar organizza moltissime trasferte, con le auto prima, e con i pullman dopo, quando l’Ascoli inizia la sua lunga permanenza in Serie A e Serie B.

 

«Per Perugia – ricorda sempre Mauro – si organizzavano anche quattro o cinque pullman pieni di famiglie al completo. Mamme e bambini che lo preferivano, passavano la giornata alla Città della Domenica, e venivano recuperati al ritorno, dopo la fine della partita».

 

Mauro ha cominciato a fare i caffè nel bar del padre poco più che tredicenne. Ha sposato poi Rita, che gli è stata sempre di valido aiuto, nel 1990. Hanno due figli, Daniele e Andrea, che non faranno mai i baristi.

Caciola al bancone del suo bar Marconi

 

Appesa ad una parete del Bar Marconi troneggia ancora la foto di Adriano Caciola Castelletti fra Costantino Rozzi e Mimmo Renna, il mister del leggendario Ascoli dei record 77/78. Polvere di stelle. Ai tavoli si continua a giocare a carte come allora, ma quel calcio romantico di allora non esiste più. Oggi sulle pay-tv c’è una partita ogni sera. In pratica è come se fosse domenica tutti i giorni dell’anno. Adriano Caciola Castelletti se lo è portato via un brutto male nel 2004. Il Bar Marconi si appresta a tagliare il traguardo, nel 2028, dei settant’anni di attività.

 

Con Rozzi fino all’ultimo

Giuseppe Mancini passa insieme a Carlo Mazzone tante lunghe notti di vigilia nel ritiro dell’Ascoli, giocando a carte per stemperare la tensione dell’attesa, e condividendo sogni e speranze per il risultato dell’indomani. È diventato consigliere dell’Ascoli quando la fede bianconera riservava solo delusioni e umiliazioni in quantità e poche, pochissime soddisfazioni. Con l’avvento di Costantino Rozzi, diventerà anche azionista della società e suo uomo di fiducia. Un grande amico, soprattutto. L’anno della prima, storica promozione in A, a Terni, al termine di una partita molto tirata, uno dei giocatori a cui è più legato da una grande amicizia, Mario Colautti, sigla su rigore, nel finale, il definitivo 2-2. A Giuseppe Mancini le tante emozioni di quella partita e la grande gioia del gol decisivo segnato dal suo grande amico, giocano un brutto scherzo. Accusa infatti un lieve malore. La notizia, anche senza ancora social e telefonini, vola di bocca in bocca fino all’orecchio di Costantino Rozzi. Il presidentissimo si precipita subito nel piazzale dello stadio “Liberati” per sincerarsi di persona delle sue condizioni. Una foto immortalerà per sempre quell’affettuoso abbraccio.

Costantino Rozzi si sincera delle condizioni di Mancini dopo un malore accusato allo stadio

 

Da buon primo tifoso Mancini incoraggerà la nascita, e inaugurerà personalmente, tanti Ascoli Club della provincia. All’inizio degli anni Ottanta ne fonderà personalmente uno, quello dei Fedelissimi. La sua famiglia legherà con quelle di tanti giocatori che hanno vestito in epoche diverse la gloriosa maglia bianconera.

 

Quando l’Ascoli perde, in famiglia lui perde la parola e il buon umore. Anche se la sua sveglia suona alle quattro ogni mattina non si perde mai, fino a tardi, la puntata del “Processo del lunedì” in tv quando fra gli ospiti c’è il suo amico, e idolo, Costantino Rozzi. Che gli dà volentieri carta bianca per l’organizzazione dei servizi più disparati in occasione delle partite casalinghe. La domenica mattina coordina i Vigili del Fuoco che vanno al “Del Duca” per issare le bandiere sui pennoni della curva sud. Si preoccupa anche di far appendere tutti gli striscioni. Reperisce personalmente i raccattapalle, e gli addetti agli ingressi. Persone fidate, fiere di indossare, investite di autorità, la prestigiosa fascia giallorossa al braccio durante il servizio.

Mancini azionista dell’Ascoli Calcio

 

Sarà amico, stimandoli moltissimo, di tanti personaggi che condivideranno con lui quella epopea. Come Battista Faraotti, già brillante imprenditore, ma non ancora miliardario, che lui chiama “l’industriale”. Come Francesco Fioravanti che vende fucili da caccia e articoli sportivi in viale Marconi, o i fratelli Tempera, quelli delle olive, e Gigi Brugni del bar accanto al loro laboratorio, sempre a Castagneti. Giovani come Gilberto Iannetti, l’odontotecnico, o i titolari delle principali concessionarie automobilistiche della città, Ciccarelli della Fiat, Piccioni della Ford, o lo stesso Amadio, dell’omonima agenzia con cui organizza tutte le trasferte.

 

Mancini all’inaugurazione di un Ascoli club

 

E poi, anche loro fra gli altri collaboratori più stretti di Rozzi, Peppe Sacripanti, Emidio Matricardi, Vincenzo Bruni il pasticciere, Giuliano Moricone, i fratelli Gianni “Giannì” e Renato Bruni del soccorso Aci di via Indipendenza, Leo Armillei e Antonietta Capra, i segretari storici della sede di Corso Vittorio, oltre, come detto, Adriano “Caciola” Castelletti. A Luigi Argira, meglio conosciuto come Gigi del Ruspante, porta a cena ogni lunedì qualche giocatore. Tutta Roccafluvione aspetta ogni volta nel locale i propri beniamini per festeggiarli al loro arrivo con grande calore. In casa Mancini si parla sempre e solo di calcio in quegli anni irripetibili. Senza fanatismi, animati solo dal grande amore per i colori bianconeri. Una cosa che hai nel sangue come una malattia contagiosa, e trasmissibile, evidentemente, per via genetica. Perché suo figlio Alfredo, già nel 1974, è stato fra i fondatori del primo storico club di ultras Settembre Bianconero. Un altro motivo di orgoglio per Giuseppe, che proprio in quell’anno, domenica 13 ottobre 1974, a bordo di un elicottero, porta lui stesso in campo il pallone con cui si giocherà Ascoli-Torino.

Mancini atterra con un elicottero a portare il pallone della prima partita interna dell’Ascoli in Serie A

 

È la prima partita in casa del “suo” Ascoli in serie A. L’anno prima l’Intrepido lo aveva intervistato in qualità di capo tifoso dell’Ascoli in un servizio su questo fenomeno calcistico di provincia che si sta prepotentemente affacciando nel calcio che conta. Con il suo presidente condividerà l’avversione per l’utilizzo di calciatori stranieri nel nostro campionato, per il calcio sempre più business e sempre meno cuore. Con sempre più soldi e sempre meno uomini-bandiera. La sorte gli riserverà altre grandi soddisfazioni legate alla squadra della sua città anche in famiglia.

 

La figlia Fiorella sposerà infatti Orlando Bolla, medico sociale dell’Ascoli negli anni ruggenti, dal 1974 al 1991. Il nipote, Domenico Agostini, arriverà invece ad esordire, sempre con l’Ascoli, in Serie A, nel marzo del 1984. Cento presenze in bianconero lo consegneranno alla storia del club della propria città. Un suo eurogol da cineteca, in sforbiciata volante, segnato al Pisa il 22 novembre 1987, all’antologia del calcio. Giuseppe Mancini, detto Falecò, sopravviverà solo sei giorni a Costantino Rozzi. Se ne andranno insieme, tutti e due, quasi a braccetto, a meno di una settimana l’uno dall’altro in quel tristissimo dicembre del 1994. Nel suo portafogli i figli troveranno anche una vecchia figurina dell’album Panini che, evidentemente, portava sempre con sé. Quella del nipote Meco Agostini con la maglia dell’Ascoli. Di entrambi era andato sempre orgoglioso.

La festa per la promozione in Serie A


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