Crudeltà e omicidio: quando la giurisprudenza non considera “efferato” un delitto

IL CASO dell'omicidio di Giulia Cecchettin ha richiamato in questi giorni alla memoria l'assassinio di Melania Rea: anche in quel caso non furono ritenute "crudeli" le 35 coltellate inferte da Parolisi
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Melania Rea

 

di Peppe Ercoli

 

In questi giorni si è acceso un forte dibattito attorno al concetto di “crudeltà” nel diritto penale, sollevato dalla decisione della Corte di Cassazione nel caso dell’omicidio di Giulia Cecchettin. Filippo Turetta, autore del delitto, ha inferto 75 coltellate alla giovane, ma per i giudici supremi non sussiste l’aggravante della crudeltà. La scelta ha suscitato un’ondata di indignazione nell’opinione pubblica, rievocando un precedente simile: quello dell’omicidio di Melania Rea, uccisa nel 2011 con 35 coltellate dal marito Salvatore Parolisi.

 

Anche in quel caso, l’aggravante della crudeltà fu esclusa. Parolisi fu condannato a 20 anni di carcere grazie allo sconto previsto dal rito abbreviato. La madre della vittima, la signora Vittoria, espresse pubblicamente il proprio dissenso, giudicando la pena troppo lieve rispetto all’efferatezza dell’omicidio. Paradossalmente, i legali di Parolisi si dissero dispiaciuti per la mancata concessione delle attenuanti generiche, che avrebbero potuto ridurre la pena a soli dieci anni. Attualmente l’ex militare sta scontando la pena, con fine prevista nel 2029, ma da tempo gode di benefici carcerari.

 

Ma cosa si intende per “crudeltà” in senso giuridico?

 

Secondo un consolidato orientamento della giurisprudenza, in particolare una sentenza della Corte di Cassazione del 2015, l’aggravante della crudeltà si configura solo quando l’autore del reato mostra l’intento di infliggere alla vittima sofferenze ulteriori rispetto a quelle necessarie per causarne la morte. In altre parole, non è sufficiente il numero dei colpi per definire crudele un omicidio.

 

Come afferma la Corte: “La mera reiterazione dei colpi inferti non può determinare la sussistenza dell’aggravante… se tale azione non eccede i limiti connaturali rispetto all’evento preso di mira e non trasmoda in una manifestazione di efferatezza, fine a sé stessa.”

 

Nel caso Cecchettin, i giudici hanno ritenuto che, nonostante l’elevato numero di coltellate, non vi fossero elementi tali da dimostrare, oltre ogni ragionevole dubbio, l’intento di provocare sofferenze gratuite. Allo stesso modo, nel processo per l’omicidio di Melania Rea si concluse che i numerosi colpi rappresentavano non un desiderio di crudeltà gratuita, bensì l’espressione di un’azione omicidiaria rapida e finalizzata a uccidere.

 

Queste valutazioni aprono una riflessione profonda sul confine sottile – e giuridicamente complesso – tra la brutalità oggettiva di un atto e la sua qualificazione come “crudeltà” in ambito penale. Un confine che spesso, agli occhi della società, sembra difficile da comprendere.


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