di Luca Capponi
Raramente, e la stima è ottimistica, quanto si percepisce di un artista risulta poi concidere con la persona. Luca Carboni rappresenta il caso simbolo. Artista sopraffino. Gentile, disponibile, educato. Chi lo segue da sempre lo sa, chi lo conosce meno lo percepisce. Con le persone sensibili funziona così.
E allora non pare strano che nel momento in cui l’orario fissato per l’intervista slitti senza preavviso sia lui a richiamare scusandosi più di una volta per l’accaduto. Niente di strano, niente di cui meravigliarsi. Eppure, rispetto a chi fa le domande, dall’altra parte del telefono c’è un grande della musica italiana, uno dei migliori, uno di quelli che una volta che ti si ficcano nel cuore e nella mente di ascoltatore attento non ne escono più. In molti, con molto meno talento, se la tirerebbero il triplo. Lo sa bene la schiera di fan che lo attende per il suo ennesimo ritorno dal vivo nelle Marche (l’ultimo fu lo scorso anno per RisorgiMarche, nella tappa sul Poggio della Pagnotta, in provincia di Macerata), stavolta dalle parti di Ripatransone, in occasione della festa messa su dalla Cantina dei Colli Ripani che lo vedrà in loco domenica 28 luglio alle 21.
«Sarà una viaggio nel tempo dal 1984 ad oggi, con dentro tutta la mia storia musicale -racconta Carboni-. Rispetto all’ultimo tour che ho tenuto nei club e nei teatri ci sarà più spazio per le canzoni del passato, partendo sempre dalle sonorità e dalla voglia di raccontare dell’ultimo album».
Primo disco “…intanto Dustin Hoffman non sbaglia un film” e ultimo “Sputnik” del 2018; in mezzo c’è una vicenda artistica tra le più belle ed ispirate di questi anni, fatta di successi rimasti ben impressi nell’immaginario. E ripercorrerla con il protagonista avvince, nonostante a un certo punto l’intervistatore dimentichi bellamente la domanda su “Mare mare” e il 1992, una delle stagioni di grazia del Nostro, con l’album “Carboni” che diventa tra i più venduti di sempre.
L’inizio – «”Ci stiamo sbagliando” è una canzone in cui criticavo ironicamente la mia generazione -continua Carboni-. Credo che il messaggio del titolo sia sempre valido, come per ogni generazione lo è trovare, per migliorarsi, i suoi punti deboli: è davvero inipotizzabile che qualcuno possa dire di star facendo tutto in modo perfetto, per questo sicuramente si tratta di un pezzo ancora attuale. Nel testo mi riferivo molto ad atteggiamenti e meccanismi nuovi che stava vivendo chi come me aveva 20 anni nei primi anni ’80; da un lato criticavo il grande ma foese inevitabile individualismo che stava venendo fuori, giustificato però dal fatto che si arrivava da un momento molto politico ed ideologizzato. C’era la voglia di uscire da tutti gli schemi che avevamo ereditato dai nostri genitori ed anche dai fratelli maggiori, dalle cose raccontate dai cantautori che ci avevano preceduto, dove ogni cosa era un grande evento sociale da vivere in modo collettivo, con l’inevitabile reazione di diventare di colpo più frivoli ed essere più concentrati, anche egoisticamente, su se stessi».
Un anno dopo, 1985, e il mondo che si gira tutto in un minuto – «Pochi giorni fa -continua il cantautore bolognese- l’ho cantata durante la ricorrenza dell’allunaggio e pensavo che in qualche modo “Sarà un uomo” si lega a tante cose; alla visione di un futuro fantascientifico che la nostra generazione ha vissuto grazie al fatto che da bambini abbiamo visto queste immagini, l’uomo sulla luna, nuovi scenari apocalittici, l’idea di poter un giorno vivere su marte, che l’uomo riuscisse oggettivamente a travalicare confini dello spazio. E poi tanta tecnologia anche pratica che arrivava nella vita, dal computer ai primi cellulari, la possibilità di sentire che il mondo era molto più piccolo di come l’avevano vissuto i nostri genitori, che il mondo ce l’avevamo in pugno, cosa peraltro sempre illusoria. Da un altro punto di vista c’era la consapelvezza che l’uomo del futuro, cioè i nostri figli, avrebbe vissuto in un mondo molto tecnologico, globale, con tante informazioni, anche se non si capiva bene in quale direzione si sarebbe andati. Oggettivamente i nostri figli hanno strumenti inimmaginabili rispetto a noi che giocavamo con la cerbottana in gare tra bande, quando non davamo due calci al pallone nelle strade di periferia. “Sarà un uomo” aveva dentro non tanto l’amarezza ma l’allarme che un’ipotesi di vita così di colpo velocizzata potesse toglierci umanità, una cosa che a mio avviso dobbiamo chiederci ancora oggi».
Nell’epoca dello schiamazzo – «“Le persone silenziose” (canzone che dà il titolo al disco del 1989, ndr) esistono sempre -va avanti Carboni- però stiamo vivendo una mediazione del silenzio, perchè siamo dentro un’onda continua fatta di tante informazioni importanti ma pure di tanto gossip, confusione, commenti inutili; amplifichiamo anche il vuoto e facciamo in modo che abbia tanto, troppo, rumore. Da un certo punto di vista è più difficile trovarle ma esistono. Il brano non voleva essere sociale, in fondo era una canzone intima dedicata a persone di cui amo la silenziosità, l’atteggiamento, il carattero timido; persone che non urlano e non si fanno sempre notare, pronte sempre ad appoggiare i più deboli».
L’anticipo sui tempi di “Inno nazionale” (1995) – «Non lo so quanto fosse avanti -confessa-. L’ho scritta per una mia inquietudine, per quello che si stava vivendo in quel momento in Italia, dove c’era un clima quasi da guerra civile, divisioni tra nord e sud, l’arrivo della Lega e la fine della Seconda Repubblica, fatti che avevano scombussolato un po’ le menti, c’erano paura e ansia che il nostro Paese potesse essere diviso e sezionato e che tutto ciò potesse dare il là a una lotta campanilistica molto accesa, cosa che poi fortunatamente si è ridimensionata. Il fatto che sia arrivata l’immigrazione ha innescato nuovi sentimenti stavolta dall’esterno, placando quanto accadeva qui. E’ forse una delle mie canzoni più esplicitamente sociali, d’istinto ho usato il tifo calcistico come metafora per rappresentare questa ipotetica contrapposizione».
Un salto in avanti al 2015. “Luca lo stesso” e nuovi autori in rampa di lancio – «Non voglio mettermi medaglie al petto perchè, nel caso specifico, Dario Faini e Tommaso Paradiso (gli autori del brano insieme allo stesso Carboni, ndr) hanno dimostrato di avere valore autonomo indipendentemente da me. L’unico mio merito è di essermi trovato in un momento particolare della mia carriera, dopo aver vissuto altre esperienze simili con Jovanotti, Fabri Fibra, Riccardo Sinigallia, e avendo io dall’inizio una storia di band e di scrittura condivisa, con la voglia di ascoltare cosa facevano le nuove generazioni e vedere se poteva esserci un punto contatto. Da lì sono nate delle belle cose, non tanto per merito mio ma per merito loro, di una nuova generazione autoriale che sta rinnovando la forma canzone. Credo che sia stato un incontro anche molto naturale. Non per forza tutti i dischi devono nascere con una scrittura collettiva, in quel momento però sentivo quest’esigenza ed è coinciso con un bel gruppo di nuovi giovani molto bravi, che stanno giustamente avendo successo».
Tempo di allunaggi. E di una delle sue canzoni più belle – «”Sputnik” è un brano che in realtà immagina il contrario rispetto alla voglia di scoperta spaziale, e cioè di guardare alla bellezza del nostro pianeta da lontano con l’idea di farcelo bastare. Mi piace sottolineare il fatto che il nostro mondo non è una piccola palla che teniamo in mano e su cui abbiamo potere. L’ispirazione arriva anche dall’idea del primo primo viaggio effettuato dai russi, in cui Gagarin raccontò di quanto fosse bella la Terra vista dallo spazio, senza confini. In tal senso, mi piaceva immaginare una canzone futuristica ma dedicata al nostro pianeta e all’essere umano».
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