«È frutto di un impianto accusatorio traballante», secondo la difesa dell’ex direttore generale di Banca Marche, Massimo Bianconi, la sentenza del Tribunale di Ancona che la scorsa notte ha condannato il manager a tre anni di reclusione per uno dei due capi imputazione riguardanti l’accusa di corruzione tra privati – per l’altro è stato assolto – nel cosiddetto processo stralcio di BM. In una nota inviata all’Ansa l’avvocato Renato Borzone ricorda «le dieci ore di camera di consiglio per tentare di far quadrare il cerchio e l’assoluzione di Bianconi nel primo, decisivo, capo d’imputazione». Il legale ritiene che la decisione sia stata «assunta da un tribunale incompetente per territorio» e riveli «i problemi dei processi trattati sotto il bombardamento mediatico. Si tratta − prosegue la nota − di un’occasione persa per fare chiarezza intorno alla banca. Per mantenere in piedi un’accusa nata da pettegolezzi di stampa − attacca Borzone − potremmo leggere una decisione giuridica surreale, che spiegherà (ma come?) che ci sia stata una promessa corruttiva fra due persone (Bianconi e l’imprenditore Davide Degennaro condannato a due anni, pena sospesa; ndr) che il processo ha accertato non essersi mai conosciute in vita loro. Il vero problema perciò − sostiene il legale − sarà trovare un giudice naturale radicato secondo le norme costituzionali e pronto a fare chiarezza intorno alla ricostruzione di comodo delle vicende di Banca Marche, in cui parte dell’opinione pubblica crede di poter risolvere tutto con il capro espiatorio Bianconi. Abbiamo fiducia nel diritto e nella verità − conclude il legale − e perciò siamo certi che arriverà presto il momento in cui il dott. Massimo Bianconi uscirà a testa alta da questo processo e la polvere uscirà da sotto al tappeto».
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