di Luca Capponi
(fotoservizio di Andrea Vagnoni)
Ancora poco più di un mese per capire se il confine tra Marche e Abruzzo dovrà essere spostato in direzione sud. E’ fissato per l’8 marzo, infatti, il referendum con cui il comune di Valle Castellana deciderà o meno se “cambiare casacca” passando dalla provincia di Teramo a quella di Ascoli e, di conseguenza, in una nuova regione.
Lampante il quesito che viene posto agli aventi diritto al voto: “Volete che il territorio del Comune di Valle Castellana (Te) sia separato dalla Regione Abruzzo per entrare a far parte integrante della Regione Marche?”. E a proposito di diritto al voto, una delle incognite maggiori da queste parti è proprio quella relativa all’astensione, in primis da parte delle persone più anziane, poi dal versante più in orbita Teramano. «Hanno ragione ad astenersi o a votare no -spiegano alcuni abitanti- perché i reali benefici di una scelta diversa sono difficilmente comprensibili. Cosa ci guadagna veramente il nostro territorio? Qui non è venuto ancora nessuno a spiegarcelo, né ci sono stati incontri pubblici. L’impressione è che resteremmo “ultimi” anche dicendo sì alle Marche».
La questione, seppure storia, distanza (20 chilometri scarsi tra le cento torri e Valle) e tanti altri fattori dicano il contrario, sembra essere più complessa di quanto in realtà appaia. Questa zona vastissima, ricca di risorse naturali (acqua, boschi) e spettacolare dal punto di vista paesaggistico, paga infatti un abbandono decennale: basta fare un giro per notare che soprattutto a livello infrastrutturale la situazione è davvero carente. Le immagini parlano da sole. La maggior parte delle strade, persino la principale Sp 49, versano in condizioni da anteguerra: valga per tutti l’esempio del cratere che si incontra all’altezza della frazione di Cesano, che col tempo sta letteralmente sprofondando e dove, prima o poi, qualcuno finirà per farsi male. A tutto questo si aggiunga la crisi economica che nell’entroterra montano ha prodotto ancora più danni, lo spopolamento già in atto e acuito dal sisma, servizi che a volte non rendono al massimo ed ecco che il gioco è fatto: in un giovedì mattina qualunque di gennaio, passeggiare per Valle Castellana e incontrare qualcuno diventa missione ardua.
«Eppure qui una volta eravamo in migliaia, c’era un viavai continuo soprattutto d’estate, quando i proprietari delle seconde case tornavano in paese o nelle frazioni per le vacanze -raccontano i pochi che hanno voglia di parlare-. In molti se ne sono andati volontariamente o sono stati costretti a farlo dal terremoto, c’è poco da fare, le attività commerciali presenti soffrono ed il lavoro tra i campi o nei boschi diventa sempre più duro».
Il referendum è frutto di anni di battaglie da parte del comitato dei favorevoli che, finora, non era mai arrivato ad ottenere l’istituzione di una consultazione popolare. «Tutto qui ruota attorno ad Ascoli, trasporti, scuola, lavoro, sanità, c’è un rapporto quotidiano che con Teramo non c’è; per arrivare lì ci impieghiamo quasi 40 minuti di strada obsoleta -spiegano i più favorevoli all’annessione- La verità è che l’Abruzzo e la Provincia di Teramo ci hanno dimenticato e solo ora tornano a farsi sentire per paura di perderci. Restare qui non ha senso. Anche se in tanti alla fine mettono avanti solo incomprensibili motivi campanilistici come a dire “sono abruzzese e voglio restare abruzzese” senza badare alle sinergie ed alle occasioni che verrebbero fuori facendo parte delle Marche».
A parlare e a metterci la faccia è una delle “istituzioni” che tutti conoscono da queste parti e non solo. Trattasi di Nevio Cicconi, deus ex machina del mitico ristorante “Scuppoz“. «Il rischio è di fomentare una guerra tra poveri che davvero sfoci solo in un campanilismo distruttivo -dice-. La verità è che la questione è molto delicata e va valutata al meglio. Io stesso ancora non mi sono fatto un’idea, vero è che si tratta di due realtà per certi versi molto diverse, anche se storicamente legate. Cito un fatto: nella frazione di Pietralta, fondata dagli ascolani in fuga dai Longobardi, si parla una specie di dialetto ascolano antico in auge solo lì. Aggiungo però che il territorio è molto frastagliato, ricco di influenze diverse. Staremo a vedere».
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