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I problemi dell’isolamento domestico,
le situazioni critiche e come affrontarle

EMERGENZA CORONAVIRUS - La parola all'esperto: lo psicoterapeuta Adelio Bravi spiega il modo con cui affrontare il disagio derivante dal dover restare per forza a casa
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Adelio Bravi

di Adelio Bravi

(psicologo e psicoterapeuta)

I mass media sono pieni di consigli sul modo migliore per trascorrere questo periodo di isolamento sociale. Tutti consigli molto utili e assennati che indicano comportamenti e strategie corrette da mettere in atto nelle ristrettezze in cui siamo costretti a vivere. In realtà, quasi tutti i consigli sono facilmente intuibili utilizzando anche soltanto un po’ di buon senso, ma , nei fatti, non sono per niente facili da applicare e vedremo perché. I più ottimisti e positivi ci spiegano che l’isolamento sarebbe la condizione ideale per rivedere il nostro modello esistenziale e renderlo più funzionale e soddisfacente, in quanto ci spingerebbe a essere migliori, superando le nostre consuete difficoltà. Anche qui c’è certamente un fondo di verità anche se non è per niente scontato un rapporto causa-effetto tra l’isolamento e la nostra crescita personale, anzi. Nella realtà, purtroppo, accade esattamente l’opposto: una situazione di stress acuto non può che accentuare le nostre difficoltà e far emergere i nostri problemi. In altri termini, in isolamento restiamo quello che siamo, nel bene e nel male. Una generalizzazione dei modelli di reazione è quanto mai inopportuna poiché la casistica è molto numerosa e le differenze individuali lo sono altrettanto.

Tuttavia, cercherò di indicare alcune situazioni critiche, molto in generale, lasciando da parte situazioni personali che non possono essere affrontate in questa sede. Certo, cercare di organizzare la giornata e prevedere attività e momenti di condivisione in famiglia è assolutamente corretto. Occorre, tuttavia, prevedere, per ciascuno, anche spazi di autonomia individuale, cioè momenti di solitudine, salvaguardando uno spazio personale in cui fare qualcosa da soli o semplicemente riflettere. Un altro aspetto da tenere in considerazione, collegato a quanto detto sopra, è quello di lasciare spazio e tempo per coltivare quello che le neuroscienze chiamano “default mode network”. Si tratta di praticare e insegnare, soprattutto ai bambini, a stare senza fare assolutamente niente, senza annoiarsi. Questo aspetto è molto più importante di quando non sembri, lasciare che la mente vaghi “per conto suo”, un po’ come quando andiamo a dormire e la nostra mente comincia un flusso di coscienza non diretto dalla volontà. Bastano 10 minuti al giorno ma è molto importante sia dal punto di vista emotivo che cognitivo. La famiglia del Mulino Bianco non ha questi problemi ma in tutte le altre famiglie bisogna anche mettere nel conto che possono esserci dei momenti di difficoltà, scoramento, paura cioè, come si dice, momenti down. Bisogna cercare di accogliere, comprendere e ascoltare chi può essere momentaneamente in difficoltà senza farsi contagiare. Occorre che chi è vicino a chi è down resti up, scambiandosi, eventualmente i ruoli laddove occorra, evitando di lasciarsi andare tutti insieme. Non è necessario dare risposte o rassicurazioni, a volte l’unica cosa che serve è quella di consentire uno sfogo, accogliere, manifestare presenza e vicinanza a chi può avere un momento di debolezza. Come anticipato, ho tralasciato situazioni di specifiche difficoltà, che possono andare dalla depressione, agli attacchi di panico, perché necessiterebbero di un approccio individuale.

 



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