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Coronavirus, l’appello di Ippolito Ventura,
93 anni e reduce di guerra,
ad accettare i sacrifici:
«Il nemico stavolta non ha fucili,
insieme lo possiamo sconfiggere»

LETTERA di un nonno di Agore di Acquasanta, che stupisce per le analogie tra il momento che stiamo vivendo con le restrizioni imposte durante la seconda guerra mondiale. Ricordi di sacrifici, controlli su assembramenti, severe sanzioni durati cinque anni. E un grande incoraggiamento: «Tutto ciò ci farà capire e riscoprire i valori, le tradizioni, l’amore che con il tempo si sono sbiadite»
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Ippolito Ventura

A casa, da oltre un mese e per altrettanto tempo ancora. E’ dura. Famiglie smembrate, nessun ritrovo per festeggiare insieme la Pasqua. Nonni e nipoti divisi. Misure per contenere il contagio da Coronavirus, necessarie, senza dubbio, ma difficili da sopportare. Un incoraggiamento può servire. E arriva. Niente di meno che da un 93enne, Ippolito Ventura, di Agore (frazione di Acquasanta Terme), forgiato dalla vita e dalle esperienze passate che invece di indurirlo, gli hanno allargato cuore e orizzonti. Con una grinta da fare invidia alle due generazioni che lo hanno seguito, in una toccante lettera rivolta a tutti, racconta la sua esperienza di recluso in casa al tempo della Seconda Guerra Mondiale, dei sacrifici fatti in nome di un nemico che, alimentato dall’odio, uccideva con la polvere da sparo. «Questa è la Terza Guerra Mondiale» dice evidenziando  inconfutabili analogie con il momento che stiamo vivendo, dove però stavolta il nemico è subdolo, colpisce senza farsi vedere, può essere ovunque. Ma è pure vero che le persone adesso hanno la fortuna di essere dalla stessa parte della barricata. Lontane fisicamente, ma unite per combattere lo stesso avversario. Vale la pena rispettare le regole, ce la possiamo fare. Se lo dice Ippolito, dobbiamo crederci.

«Mi presento, sono Ippolito Ventura, sono sposato da oltre 60 con Dina e vivo da sempre nella piccola frazione di Agore, una ventina di famiglie, una piazza e una chiesa, nel cuore dei Monti della Laga, a circa 1.000 metri di altitudine.

Ricordo benissimo che i tempi in cui le abitazioni erano sprovviste di finestre e porte e soprattutto di riscaldamenti. Gli inverni erano rigidi e la neve superava i due metri e si affacciava sulla soglia della porta. Sono qui per ricordare e, soprattutto, per  far riflettere su quello che sta accadendo oggi. Io ho vissuto per cinque lunghi e duri anni la seconda guerra mondiale e oggi mi sembra di vivere in un modo diverso la terza guerra mondiale. A quel tempo i sacrifici avevano la lettera maiuscola in quanto i miei coetanei morivano in ogni luogo, nei boschi nei mari e soprattutto nelle città, ogni persona che ci abbandonava non è stata degna di una sepoltura, ogni lettera che scrivevamo alle nostre famiglie veniva filtrata e verificata e soprattutto censurata se nel testo erano presenti parole riguardanti il fronte. In campo ogni ordine doveva essere eseguito senza replicare, altrimenti vi era anche la fucilazione.

Ippolito Ventura con la moglie Dina

La mia famiglia, come pure le famiglie dei miei compaesani, in questi cinque anni di controlli delle armate tedesche e fasciste, sono stati costretti a vivere in grotte che fortunatamente il territorio dove sono nato offriva. Una persona a turno era mandata per i rifornimenti alimentari che nelle stagioni precedenti avevamo immagazzinato, come castagne, farine, patate e mele, questi erano i nostri alimenti non di più. I soldati effettuavano controlli sul territorio per vedere se vi erano delle persone. E la regola era che non vi potevano essere più di due persone assembrate altrimenti veniva recepito come complotto ed era sanzionato con una multa chiamata “dieci più dieci”, (10.000 lire).

Tutti i mulini ad acqua per le farine erano stati assaltati e chiusi in modo da non poterci macinare le nostre farine. Ad ogni sgarro di qualsiasi ordine assalivano e davano fuoco alle nostre case dopo aver rubato tutte le nostre provviste ed arrivavano anche a fucilare gli innocenti.

Ovviamente questa è una piccola parte di quello che ho vissuto durante quel brutto periodo che purtroppo è molto difficile dimenticare nonostante l’età che ho, e nonostante tutti gli anni che sono passati. Però ci tengo a ricordarvi e a mettervi a conoscenza dei sacrifici fatti dalle nostre generazioni, vissute nella povertà e nella miseria, in cui un un pasto veniva diviso in grammi per ciascuna persona, considerando le famiglie numerose, come la mia, in cui io sono figlio di nove fratelli.

Oggi siamo qui di fronte ad un nemico che non ha né rivoltella né fucile, ma di fronte ad un nemico invisibile, che corre molto veloce, lascia senza speranza le persone più deboli. E soprattutto un nemico che pesa sulla nostra responsabilità dei nostri gesti quotidiani. La nostra burocrazia è un sistema molto complesso che negli anni si è fatto sempre molto più complicato, ma quello che ci è stato chiesto è di rinunciare alle nostre abitudini per qualche mese, di rimanere nelle nostre case con le nostre famiglie. Un obbligo che di primo impatto ci stravolge ci disorienta. Ma, riflettendo sulle righe qui sopra scritte, in confronto è un sacrifico che tutti noi, nessuno escluso, possiamo fare. E tutto ciò ci farà capire e riscoprire i valori, le tradizioni, l’amore che con il tempo si sono sbiadite.

Il mio invito è quello di rispettare, riflettere e pensare a tutte le persone che sono sul fronte ad aiutarci con i mezzi disponibili i quali rischiano la loro vita giornalmente, quindi un piccolo contributo di ciascuno di noi ci porterà a sconfiggere questo virus invisibile. Restate a casa! Ippolito Ventura».



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