di Maria Nerina Galiè
E’ arrivata oggi, martedì 21 aprile, la tanto attesa conferma per Luigi Quaresima, imprenditore ascolano di 64 anni, il primo contagiato del Piceno: è guarito dal Coronavirus. Ha dato esito negativo anche il secondo tampone di controlli, fatto ieri, 20 aprile. Il primo tampone era stato fatto il 15 aprile, a due settimane esatte (era il 30 marzo) dalle dimissioni dall’ospedale “Madonna del Soccorso” di San Benedetto.
Quaresima è uno dei 76 guariti della provincia, dove il numero dei positivi è sceso a quota 183 (ai 206 di ieri non si sono aggiunti nuovi casi).
Come ha accolto la bella notizia?
«Già che la racconto è una grande cosa», ha risposto lasciandosi andare ad una risata liberatoria.
«Sono contento – ha aggiunto – sopratutto per i miei familiari. La mia compagna, mia figlia, mio genero e i nipoti. Tornando a casa mi sono reso conto che sono stati peggio di me perchè sapevano delle mie condizioni dalle brevi notizie che arrivavano con cadenza giornaliera e date con il massimo della disponibilità e umanità dalla dottoressa Tiziana Principi (direttore del Dipartimento di Emergenza e Urgenza dell’Area Vasta 5 e della Terapia Intensiva per Covid di San Benedetto, ndr). Poi, però, altre 24 ore di attesa per avere aggiornamenti, mentre si accavallavano notizie tragiche provenienti da tutta Italia».
L’imprenditore si era ammalato di ritorno dalla settimana bianca a Bormio, in Lombardia, il 3 marzo.
«Dopo due giorni la febbre a 38 gradi, poi 39 e 40. E una forte tosse. Non passava con niente, e nel frattempo cresceva il sospetto che per fortuna mi ha indotto a stare separato da tutti».
Anche i familiari sono stati sottoposti a tampone che ha dato esito negativo. Il 9 marzo Quaresima è andato al Pronto Soccorso del “Mazzoni” di Ascoli e, con un percorso dedicato che si stava perfezionando proprio in quei giorni nell’Area Vasta 5, rimasta ancora indenne dai contagi, è stato sottoposto a tampone. L’esito positivo è arrivato l’11 marzo.
Cosa ha pensato sul momento?
«Non mi sono preoccupato molto. Tutti ancora dicevano che era poco più di un’influenza. Sono tornato a casa. In quella fase la procedura era di aspettare le difficoltà respiratorie. Adesso si interviene molto prima. In ogni caso non è esattamente come un’influenza. Il 9 marzo la Tac era pulita. Il 14, quando poi mi hanno ricoverato al reparto Rianimazione di San Benedetto, avevo già una brutta polmonite».
Da lì un calvario durato una settimana. Qual è stato il momento peggiore?
«Per tutto il tempo in Terapia Intensiva sono rimasto lucido. Non ero intubato, ma mi aiutavano con la respirazione. Dopo due o tre giorni così, con la febbre che non passava, mi stavo scoraggiando. Dopo otto giorni mi hanno detto che andavo in sub intensiva, nel blocco operatorio. Allora ho ricominciato a vedere la luce. Nel nuovo reparto ho potuto, per la prima volta dal ricovero, parlare al telefono con i miei cari. E’ stato un momento molto emozionante».
Come è andato il resto della degenza? Il rapporto con gli altri ricoverati e personale sanitario?
«Fuori dalla Rianimazione, dove intorno a me avevo solo persone intubate, tirava tutta un’altra aria. Eravamo più tranquilli sia io che gli altri pazienti. Ma in tutti i reparti ho avuto modo di apprezzare la grande professionalità preparazione e, nello stesso tempo, umanità dei medici e degli infermieri. Ci facevano coraggio con battute simpatiche mentre utilizzavano macchinari complicatissimi. Erano protetti dai dispositivi. Ma rischiavano. E facevano quasi tenerezza vederli lavorare tra mille difficoltà, e in quegli ambienti, con la mascherina che si appannava».
Il 30 marzo le dimissioni, dopo due settimane il primo tampone di conferma: come è andata?
«Bene perchè ero a casa, ma non è stato semplice. Dovevo continuare a stare isolato e protetto da guanti e mascherina. Adesso ho la consapevolezza di poter tornare ad una vita familiare normale».
Tra i ricordi più brutti di quest’avventura ormai da archiviare?
«La cattiveria e la stupidità corsi sui social, mentre veniva sbandierato il mio nome e quello dei miei familiari».
Ha paura di riammalarsi?
«Ho paura perchè non ci sono certezze sull’immunizzazione. Mi hanno detto che per qualche mese dovrei essere protetto, per tutti i farmaci che ho preso. Ma nessuno me lo ha potuto assicurare. E so che cosa ho passato. Per questo invito tutti a non affrontare con leggerezza le regole imposte per prevenire il contagio».
Per poter lasciare o votare un commento devi essere registrato.
Effettua l'accesso oppure registrati