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Canzian, lettera aperta
al vescovo D’Ercole:
«Anche lei è soggetto
alla legge dello Stato»

EMERGENZA CORONAVIRUS - Dopo le esternazioni del capo della Diocesi di Ascoli, ecco la risposta del consigliere comunale di "Ascolto e Partecipazione" e medico ospedaliero
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Antonio Canzian (Foto Vagnoni)

di Antonio Canzian

(consigliere comunale e medico ospedaliero)

Signor Vescovo, mi permetta di dirle che la sua esternazione con tanto di video (il primo! Non il secondo riveduto e corretto!), mi ha lasciato interdetto, anzi esterrefatto non solo per l’arroganza, la protervia che trasudava,
ma soprattutto per la superficialità delle considerazioni espresse. Con grande pressapochismo lei afferma: “L’esperienza mi dice che la Chiesa non è il luogo dei contagi. Comitato scientifico, ma chi ve lo ha detto che
la Chiesa è il luogo dei contagi?”. Le sfugge che non la Chiesa in quanto tale (ci mancherebbe altro), ma ogni luogo che prevede un assembramento di persone lo è quando è in corso un’epidemia o, peggio, una pandemia come quella attuale. Si tratta di una nozione elementare di sanità pubblica. Ancora: “è un arbitrio,
una dittatura quella di impedire il culto. O il diritto di culto ce lo date, altrimenti ce lo prendiamo”.

ll vescovo Giovanni D’Ercole (Foto Vagnoni)

Signor vescovo, ma si è reso conto di quello che ha affermato? È consapevole che anche Lei, come tutti noi, è soggetto alla legge dello Stato? E la successiva frase “la figuraccia che il governo ha fatto di fronte al mondo va lavata” sa tanto di minaccia o di brutto slogan da campagna elettorale. Lei è descritto come uomo di
cultura, conoscerà sicuramente l’episodio riportato dal Manzoni ne “I Promessi Sposi”. Vi si racconta che nel corso della terribile pestilenza del 1630, l’arcivescovo di Milano, Federigo (per così dire un suo collega), a malincuore e conoscendone i rischi, acconsentì che si facesse una processione solenne con le reliquie di S.
Carlo, nonostante il presidente del Tribunale della Sanità avesse proibito qualunque tipo di riunione, anche sacra. I verbali storici del tempo riferiscono che dopo una decina di giorni dalla processione (22 e 23 giugno
1630) “…le morti crebbero in ogni classe, in ogni parte della città che non ci fu chi non ne vedesse la causa o l’occasione nella processione medesima” (cap. XXXII de I Promessi Sposi). Le chiedo: che c’entra la libertà di culto, la libertà religiosa con il problema epocale che stiamo affrontando tanto da rivolgersi con sufficienza a quello che Lei chiama “Comitato scientifico”, costituito peraltro da personalità indiscusse, con argomentazioni che neanche nel 1630 venivano più usate?

Signor Vescovo, riguardi l’immagine sconvolgente ed emozionante di un Papa che, solo, nella sterminata piazza S. Pietro con passo lento, ma fermo, si avvia verso l’altare e, solo, si rivolge all’umanità intera. Riguardi l’immagine di un Presidente della Repubblica che, solo, con passo lento, ma fermo, si avvia, solo, verso l’Altare della Patria. Forse queste immagini le daranno, più di ogni altra, la misura della realtà che ci troviamo ad affrontare e che richiede anzitutto responsabilità,  linguaggio misurato e grande coesione. Un saluto cordiale.



Le reazioni alla presa di posizione del prelato in merito alla chiusura delle Chiese a causa dell'emergenza coronavirus. "Le sue affermazioni sanno tanto di minaccia o di brutto slogan da campagna elettorale". La pestilenza descritta nei "Promessi Sposi"

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