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Ilenia Silvestri,
medico e donna coraggio,
cura in casa tutta la sua famiglia
positiva al Coronavirus

EMERGENZA - Contagiata anche lei, la dottoressa di Monsampolo si è trovata a fronteggiare la violenza della malattia sul nonno di 92 anni che ha rifiutato il ricovero ospedaliero. Momenti di disperazione si sono intrecciati con la gioia per nascita della nipotina, all’ospedale Covid di Civitanova, e alla speranza con il miglioramento del nonno. Ora sono tutti guariti. I ringraziamenti a colleghi e dirigenti di Area Vasta 5 e al sindaco Narcisi
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Ilenia Silvestri

di Maria Nerina Galiè

Nella sua tremenda opera di contagio il Cornavirus ha concesso di accumulare esperienze in ogni settore della vita sociale, dal lavoro alla famiglia, passando per l’ospedale, senza lesinare gli epiloghi peggiori.

C’è una donna medico che vissuto la malattia in tutte le sue sfaccettature. E ne è uscita vincitrice, insieme con tutta la sua famiglia, genitori con patologie polmonari e cardiache, cognata all’ottavo mese di gravidanza, nonni di 86 e 92 anni.

 

La malattia si è manifestata in tutta la sua violenza nei confronti del nonno, spesso sull’orlo di non farcela ma ostinato a non voler lasciare la sua casa per un reparto che, secondo lui, non lo avrebbe restituito. Guarito grazie alle amorevoli e competenti cure della nipote di cui ora è ancora più orgoglioso.

Ilenia Silvestri con i colleghi di “Una mela al giorno”, negli studi di Radio Ascoli

Protagonista di questa vicenda che ha del paradossale è Ilenia Silvestri, di Monsampolo del Tronto, medico di medicina generale e di continuità assistenziale, da tempo in prima linea con diversi colleghi nel diffondere utili informazioni sulla sanità dai microfoni di Radio Ascoli attraverso la trasmissione “Una mela al giorno”.

L’argomento impone una precisazione: la dottoressa Silvestri non si è ammalata in servizio, ma tra le mura domestiche come poteva capitare a chiunque.

«Il 26 marzo ho saputo che tutti i membri della mia famiglia erano positivi al virus. Anch’io, che qualche settimana prima avevo fatto il tampone, per lavoro, risultando negativa.

E’ stato un momento bruttissimo. Come medico avevo la consapevolezza di non sapere dove la malattia ci avrebbe portati. Avrei perso qualcuno dei miei cari? Come persona ero devastata».

Chi dei sette è stato il primo confermato positivo?

«Il nonno. Ma il primo a manifestare i sintomi è stato mio fratello. Aveva un po’ di febbre i primi di marzo. Mia cognata un forte raffreddore. Tutto lì. Chi poteva pensare al Coronavirus».

Poi com’è andata?

«Che si è ammalata la nonna e, a seguire, il nonno. Ha avuto febbre per diversi giorni, poi è insorta la polmonite e non rispondeva alla terapia antibiotica. A quel punto il sospetto. Con l’ambulanza lo abbiamo portato al Pronto Soccorso di San Benedetto seguendo il percorso Covid».

Come l’ha presa?

«Malissimo, urlava e continuava a dire: “Non voglio morire in ospedale”. E ancora: “Io ce l’ho la dottoressa che mi cura”. Lui che ha conosciuto la guerra e la durezza della vita. Era spaventato».

Come biasimarlo. Si entra, da soli perché i parenti non sono ammessi, nemmeno nell’ultima fase.

«L’ho assecondato, firmando per farlo dimettere. L’esito del tampone è arrivato il giorno dopo la dimissione.  A quel punto lo abbiamo fatto tutti. Tutti positivi. Ma in nessun altro la sintomatologia è stata grave.

Abbiamo riscontrato perdita di olfatto e gusto, episodi di tachicardia e altre manifestazioni che ora sto condividendo con i colleghi e utilizzo io stessa, sul lavoro, dove ho affinato la capacità di riconoscere la patologia. Nel frattempo i protocolli si sono anche definiti».

Ilenia Silvestri infatti dal 27 aprile, cioè pochi giorni dopo che è stata conclamata guarita come i familiari, è tornata a lavoro. Ma difficilmente dimenticherà quei giorni dove lei stessa ammette che lo sconforto ha rischiato più volte di prendere il sopravvento.

«Il nonno, oltre alla febbre alta, aveva difficoltà respiratorie e emoglobina bassa. Ha avuto bisogno di ossigeno, trasfusioni di sangue e assistenza, 24 ore su 24».

Ha fatto tutto da sola?

«Mi ha aiutato tantissimo mio fratello. Gli altri familiari erano distribuiti si diversi piani dell’abitazione, in stanze separate, dotati di saturimetro e telefono.

La dottoressa Teresa Nespeca

Ho sentito vicini il sindaco (Massimo Narcisi, ndr) e i ragazzi del servizio civile. Il direttore del Distretto di San Benedetto, Teresa Nespeca, è stata fantastica così come i colleghi del Pronto Soccorso e di tutta l’Area Vasta5.

Mi hanno supportata in tutti i modi. Anche per mia cognata, trasportata a Civitanova per i controlli con l’ambulanza Covid attivata nel giro di due giorni».

Quando ha iniziato a vedere la luce?

«Con la consulenza di diversi colleghi per il nonno ho adottato il percorso terapeutico e pian piano sono iniziati i primi segni di miglioramento. La speranza si faceva largo tra le mille insidie. Poi la grande schiarita, il 16 aprile.

Quando è nata Eva Maria, la mia bellissima nipotina, all’ospedale di Civitanova dove mia cognata ha partorito da sola. L’annuncio è arrivato con una videochiamata».

E’ ancora scossa la dottoressa nel raccontare la sua storia. Ma su una cosa non tentenna: «Ho avuto la conferma che quella del medico è una professione durissima, dall’elevato coinvolgimento emotivo, ma altrettanto meravigliosa».

E con soddisfazione può affermare non solo di aver tenuto testa al peggior volto del virus, ma anche del fatto che né lei in ambulatorio né qualcuno dei suoi cari ha contagiato altre persone, rispettando alla lettera le regole per il contenimento del virus.

 

 


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