di Luca Capponi
C’era chi non aveva una casa, e chi sì. C’era chi ancora dormiva e chi invece non riusciva a dormire, da mesi. C’era chi era rimasto ancora nel letto a godersi un po’ di riposo domenicale, tra le braccia della persona amata, tra le carezze dei figli, in solitudine. Qualcun altro si era già svegliato, c’era chi progettava un giro al mare e chi già camminava tra i sentieri delle nostre montagne. Ma, soprattutto, c’era anche chi provava guardare al futuro. Con la consapevolezza viva di non poter comunque dimenticare.
Quella sveglia, alle 7,40, non guardò in faccia a nessuno. Proprio come accaduto un paio di mesi prima. Un botto sordo, un boato famelico, un missile spietato spedito in terra da sotto terra, il rumore della fine. Qualcosa da cui sembrava impossibile sfuggire. E chi lo scorda più.
Per molti, il 30 ottobre del 2016 entrò diretto nella collezione di date che restano lì, sempre accese, a volte a ricordare il bene, altre a ricordare il male. Quattro anni fa la speranza vacillò più di una volta, e la lista di eventi nefasti sembrava avere preso gusto ad allungarsi beffardamente. Solo qualche giorno prima fu intorno alle 21,30, con una magnitudo di 5,9. Quel giorno alle 7,40, però, fu l’apice: 6,5. Mai successo.
Il terremoto.
Ancora, dopo i morti del 24 agosto. Veniva a reclamarne altri, forse, proprio nell’imminenza della celebrazione a loro dedicata. Ma per fortuna non accadde. Le ferite, stavolta, tagliarono “solo” il cuore delle città, dei borghi, dei paesi. Per la maggior parte, oggi, non ancora rimarginate.
Alla sceneggiatura folle del folle film, però, mancavano ancora molti passaggi. La neve da record, a gennaio. E poi ancora le scosse al buio, al freddo, sommersi dalla coltre bianca. Gente isolata senza luce, gas. Isolati nell’isolamento. Un altro incubo per chi dagli incubi non sapeva come liberarsi. Col sole che non sorgeva più.
Riprendersi da tutta quella sofferenza, per qualcuno, è stato impossibile.
E lo è ancora oggi, davanti alla ricostruzione fantasma, alla ventilata ripartenza, alle macerie che restano. Davanti alle difficoltà, tante, troppe, e a un percorso disseminato di mille ostacoli, di esili e distacchi, di promesse e burocrazia, di disillusione e scoramento. Che da qualche mese si è deciso a divenire ancora più duro, durissimo, con l’avvento di un maledetto virus e la conseguente pandemia a minacciare il mondo, in primis le zone già in sofferenza.
Come il cratere dell’Italia centrale. Un buco nello Stivale. Un vuoto dell’anima. Con dentro la gente di Marche, Umbria, Abruzzo e Lazio.
Gente che ne ha viste tante, vero. Gente che non molla, vero anche questo. E che si rialzerà, sicuramente.
Ma, per favore, qualcuno dica agli sceneggiatori che può bastare così.
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