di Federico Ameli
«Potrei farla a occhi chiusi, ormai la conosco a memoria». Ci scherza un po’ su Stefano Travaglia, mentre la strada tortuosa che sta percorrendo fa di tutto per mettere i bastoni tra le ruote al nostro dialogo. Il tragitto non è esattamente il più indicato per trascorrere un’oretta al telefono, ma mollare è un’opzione che non siamo disposti a prendere in considerazione.
Da qualche settimana a questa parte, infatti, parlare di certi argomenti è diventato improvvisamente molto più complicato del solito. Con la pratica dilettantistica ferma ai box in attesa di tempi migliori, lo sport si è visto costretto a rinnegare i suoi storici principi democratici, riducendosi a un lusso per pochi eletti. E tutti gli altri? Divano, in pole position per godersi lo spettacolo, per la gioia dei più sedentari.
Certo, non che ci sia molto di cui lamentarsi: la qualità non manca e di scelta ce n’è anche parecchia, ma piuttosto che allargare i nostri orizzonti per una volta preferiamo guardare al nostro orticello. Perché Ascoli sarà anche la città del Picchio, ma negli anni di talento ne ha sfornato parecchio anche in altri campi. Quello da tennis, per esempio.
Mentre chiacchieriamo, Stefano sta tornando a casa da Roma, dove è atterrato giusto qualche minuto prima di ritorno da un torneo ATP Master 1000 disputato a Parigi. «Volendo fare un paragone, siamo sui livelli degli Internazionali del Foro Italico» ci spiega l’attuale numero 74 al mondo, venendoci incontro.
Fatte le premesse di rito – «non seguo molto il tennis, sii comprensivo, ti prego» – tra una chiamata e l’altra, ci armiamo di pazienza e con una buona dose di fiducia proviamo a dare inizio alla nostra conversazione.
«Mio padre Enzo e mia madre Simonetta sono entrambi maestri di tennis. Io ho iniziato a 7-8 anni, quando loro lavoravano alla Mondadori – l’attuale Picchio Village, ndr – e da lì non ho più smesso.
Fino ai 15 anni ho giocato esclusivamente a livello dilettantistico, per divertimento. Arrivato a quel punto però, d’accordo con i miei genitori, ho deciso di provare a competere agonisticamente. Ho trascorso due anni a Jesi in un centro sportivo specializzato, poi altri due a Porto San Giorgio. Nel 2010, infine, sono volato in Sud America ad allenarmi in un centro di alto rendimento. Una sorta di college, con l’obiettivo di fare il salto di qualità definitivo».
E così effettivamente è stato. A pensarci bene, non è proprio cosa da tutti riuscire a trasformare la propria passione in un’occupazione a tutti gli effetti. E non è neppure cosa da tutti i tennisti rientrare in aereo da Parigi dopo un ATP Master 1000. Che poi, vista la situazione, il tennis non si ferma?
«Con l’emergenza sanitaria attualmente in corso le competizioni si sono dimezzate. Prima si disputavano tre o quattro tornei a settimana, ora ne organizzano al massimo un paio, il che fa sì che il livello medio sia piuttosto elevato per via dell’alta concentrazione di giocatori bravi.
A Parigi sono riuscito ad accedere al tabellone principale, da cui sono stato eliminato al primo turno dal numero 23 al mondo – l’australiano Alex De Minaur, ndr. «Una volta arrivati a quel punto ci sta anche perdere, ma se si vince… ancora meglio».
Condividiamo e torniamo al Travaglia che lascia le Marche per trovare la propria strada in Argentina. «All’epoca tornavo poco ad Ascoli, la prima volta sono trascorsi undici-dodici mesi prima di riprendere l’aereo per l’Italia. Sono già passati dieci anni e, anche se sembrerà strano, a livello di voli non era così semplice rientrare a casa con una certa continuità».
La nostalgia si fa sentire, ma per fortuna i risultati non tardano ad arrivare. «Quando sono partito ero il numero 1.000 al mondo, nel giro di un anno sono arrivato al 380° posto». E forse è stato proprio allora che Stefano ha realizzato di poter ambire realmente al professionismo, pur con tutte le incertezze e difficoltà del caso.
«A differenza di altre discipline, il tennis è uno sport di esperienza e competizione. Fino ai 18 anni avevo preso parte a pochi tornei internazionali, ma dopo aver iniziato a disputare anche una ventina di competizioni all’anno ho intuito che poteva valere la pena provare a fare il salto di qualità. Certo, a meno che non ti chiami Nadal o Federer non è semplice riuscire a capire se quella possa essere o meno la tua strada, ma credo che, come in tutti i campi, di fronte al talento si debba sempre investire e puntare in alto, anche senza garanzie di successo».
Una volta appresi i trucchi del mestiere, per Stefano Travaglia è tempo di tornare, finalmente, a casa. «Nel 2015 mi sono ritrasferito stabilmente in città: tornei a parte, qui io e i miei collaboratori riusciamo a ricaricare al meglio le pile in funzione degli obiettivi da raggiungere».
Di questi tempi ci sentiamo di escluderlo, ma in linea di massima ognuno di noi, passeggiando per le vie del centro, potrebbe imbattersi per caso nel numero 74 del tennis mondiale. Mica male. Eppure, qualora vogliate forzare la mano alla dea bendata, vi converrà cercare fortuna nei paraggi dei principali circoli tennis della zona. Chi l’avrebbe mai detto che la vita dell’atleta professionista non fosse tutta rose e fiori: la sveglia, incubo di grandi e piccini comuni mortali, suona presto anche per loro.
«Mi alleno tra il Circolo Tennis Piceno di Ascoli e il “Maggioni” di San Benedetto. Solitamente mi alzo intorno alle 7: colazione, un po’ di palestra e poi si va in campo. Al di fuori dei tornei la mia routine prevede un’ora e mezza di allenamento in palestra e tre-quattro ore di tennis, un programma che eventualmente possiamo rimodulare in base alle esigenze del momento».
Parlando di tennis e di circoli locali, non possiamo fare a meno di aprire una parentesi sulla chiacchierata di qualche tempo fa con Nazario Scarpetti, presidente del Circolo Tennis Piceno e principale promotore a livello locale di una disciplina che nell’ambiente non gode sempre del giusto riconoscimento tra gli addetti ai lavori: il padel (leggi l’articolo). All’epoca ci siamo chiesti cosa ne pensassero a riguardo i tennisti di professione. Quale migliore occasione per svelare l’arcano?
«Parliamo di uno sport che in Argentina andava molto forte già qualche anno fa. Io l’ho scoperto nel 2015: ammetto che quando per la prima volta ho visto un campo da padel non sono stato in grado di riconoscerlo. Ha preso piede soprattutto negli ultimi anni, per me è una sorta di beach tennis “facile”. Mi piace giocare a padel, lo faccio spesso perché lo ritengo meno stancante dello squash e del beach tennis, è più divertente e si può giocare anche d’inverno».
Che l’abbiate incontrato o meno in piazza, Travaglia è un nome decisamente conosciuto in città, e i motivi sono sotto gli occhi di tutti. Stefano, l’uomo, è invece relativamente meno noto al grande pubblico, quello che del tennis conosce a malapena le regole e che di tanto in tanto si interroga sulla vita privata dei campioni.
Cosa fa un tennista nel tempo libero? Avrà del tempo libero, innanzitutto? Coltiva delle passioni? Si fa vedere in giro o per beccarlo bisogna pattugliare i circoli della zona? Beh, chi meglio di Stefano può aiutarci a conoscere più da vicino l’uomo che, suo malgrado, vive nell’ombra patinata dello sportivo di successo?
«Il mio lavoro mi porta a trascorrere molto tempo fuori città. Solitamente riesco a ritagliarmi due o tre settimane libere all’anno, che trascorro in compagnia della mia famiglia e della mia ragazza, a cui sono legato ormai da sette anni». Le lettrici dovranno farsene una ragione.
«Quando sono da queste parti ne approfitto per andare a pesca con mio padre, un hobby che mi ha tramandato e che ci aiuta a rilassarci. Per me è fondamentale, anche perché viaggiare e stare a contatto con molte persone è un aspetto che a lungo andare mi stressa un po’. Mi piacciono anche le classiche passeggiate in montagna o anche al mare, ma solo quando non c’è confusione. Il periodo ideale è quello tra fine aprile e maggio. Non oltre: d’estate c’è un po’ troppa gente per i miei gusti».
In fin dei conti, malgrado l’esperienza accumulata in giro per il mondo, “Steto” – come lo chiamano amici e tifosi – deve ancora compiere 29 anni ed è a tutti gli effetti un ragazzo come tanti altri. Magari un filo più bravo con la racchetta in mano, mettiamola così.
A questo proposito, è interessante – e per certi versi anche paradossale – approfondire insieme la percezione distorta del tenore di vita dello sportivo di successo nell’immaginario collettivo, spesso distante anni luce dalla realtà di tutti i giorni, che come già anticipato è fatta anche di duri allenamenti e sveglie alle 7.
Eppure, nella maggior parte dei casi sono sempre fama, denaro e apparente serenità a rubare l’occhio, beati loro. Fortunatamente, già da qualche anno questa sorta di dorato velo di Maya è stato squarciato una volta per tutte. A fare da apripista, in questo senso, è stato proprio un tennista, Andre Agassi, che nella sua autobiografia ha denunciato le pressioni, lo stress e le ossessioni provocate dall’essere, per certi versi, “condannati” a vincere, vuoi per le aspettative del pubblico, vuoi per quelle degli sponsor e degli addetti ai lavori. Abbiamo colto l’occasione per chiedere a Stefano cosa pensasse a riguardo, riscontrando una certa serenità nel trattare un tema particolarmente delicato.
«All’inizio della mia carriera, vivere lontano da casa mi creava molta ansia: quando ti abitui a vivere certi ritmi, l’instabilità improvvisa non è semplice da affrontare. Poi, però, ti rendi conto che in fondo quello è il tuo lavoro e alla fine riesci a superare le tue insicurezze. Al momento la mia preoccupazione più grande ha a che fare con le turbolenze. Una volta arrivati a destinazione è già tutto programmato e organizzato nei minimi dettagli, mentre in volo non sai mai a cosa vai incontro».
Ad Ascoli invece sì. Neppure il turista più ingenuo e svampito può fare a meno di cogliere che la città viva di sport, ma che è una e una sola la palla che regna sovrana. Che ci sia forse un pizzico di amarezza a riguardo da parte di uno dei nostri principali testimonial in giro per il mondo? Macché: lui stesso, quando gli impegni tennistici glielo concedono, è il primo tifoso del Picchio, pur non essendo un grande appassionato del genere. «È normale che il calcio sia lo sport più seguito, non solo ad Ascoli, sia per un discorso di visibilità, sia perché praticarlo non è poi così proibitivo a livello economico. Il tennis, invece, richiede un’attrezzatura più specifica e di conseguenza costosta: a partire dall’abbigliamento, passando ovviamente per racchetta e palline, fino ad arrivare all’affitto del campo.
A dispetto di quanto si possa pensare, generalmente durante i tornei ho più tempo libero e le giornate sono meno impegnative dal punto di vista dello stress tennistico. Quando posso, mi piace seguire le partite dell’Ascoli su Dazn o anche solo controllare il live score: è bello fare il tifo per la squadra della propria città».
Tennis e calcio a parte, nel tempo libero di Travaglia c’è spazio anche per qualche altra disciplina, come la pallavolo o il basket. «A Foligno ho avuto l’opportunità di conoscere dei pallavolisti di Perugia e da lì ho iniziato a seguirli. Questa estate invece, mentre ero a New York per gli US Open, ho vissuto in presa diretta l’esperienza della “bolla” NBA a Orlando: tra un match e l’altro mi tenevo costantemente aggiornato sulle partite e sugli sviluppi dentro e fuori dal campo».
Dal primo viaggio in Sud America, di strada Steto ne ha fatta davvero tanta, non solo in aereo – e meno male. Torneo dopo torneo, posizione dopo posizione, quel ragazzino figlio d’arte che si divertiva con le racchette di mamma e papà ora è un tennista di fama mondiale e, come tale, deve avere tutto sotto controllo.
A partire dall’aspetto tecnico e psicofisico, curato in maniera maniacale da un allenatore d’eccezione, quel Simone Vagnozzi – anche lui ascolano – che da qualche anno a questa parte è uno dei coach più stimati d’Italia. «Con Simone stiamo lavorando duramente su diversi aspetti, grazie a lui sono cresciuto molto. Nel tennis non sai mai come giocherai finché non entri in campo e, personalmente, le sensazioni positive contano moltissimo. L’obiettivo è riuscire a trovarle più spesso, in modo da arrivare sempre più in alto».
Se oggi le cose sembrano finalmente andare per il verso giusto e Travaglia può contare su un team di professionisti al suo seguito, buona parte del merito va a chi ha creduto ciecamente in lui, anche quando farlo non era poi così scontato. Mamma Simonetta e papà Enzo in primis, ma anche la fidanzata Maria Paola – «riesce sempre a “indirizzarmi” nella maniera giusta, dandomi una grande stabilità mentale» – e tutte le persone che nel corso del tempo non hanno mai perso l’occasione per far sentire il loro supporto e la loro vicinanza.
Un ringraziamento particolare Stefano lo rivolge anche alle aziende che hanno scelto di puntare su di lui per promuovere il loro marchio e dare contestualmente una mano a questo grande talento nostrano. Come Fainplast, realtà da sempre attenta alle dinamiche sociali – e in questo caso sportive – del territorio e particolarmente sensibile alla valorizzazione delle sue potenzialità, che da un annetto a questa parte accompagna Stefano sui campi di tutto il pianeta.
«Il rapporto di collaborazione e i continui attestati di stima da parte di Fainplast sono per me motivo di grande orgoglio. Il sostegno di un’azienda del genere è di fondamentale importanza per poter continuare a competere a questi livelli. Anche perché nel mio caso non rappresento solo un atleta, bensì un’intera società: l’organizzazione delle trasferte, dai voli al pernottamento, è interamente a carico mio, ma ho la fortuna di avere al mio fianco un’azienda che mi dà una grossa mano a sostenere i costi. Mi rendo perfettamente conto che in un momento del genere non sia facile investire, per di più in uno sport che di per sé non gode di grande visibilità.
Grazie alla partnership con Fainplast sono riuscito a fare scelte diverse rispetto all’anno scorso, come ad esempio portare con me il mio staff ai tornei. Dal canto mio, sto facendo il massimo per ripagare la loro fiducia, grazie alla quale sono già riuscito a raggiungere alcuni degli obiettivi che ci eravamo prefissati. D’altra parte, credo che il sostegno dell’azienda permetta allo sportivo di crescere e migliorarsi, e viceversa».
Ora che le cose procedono per il meglio e le difficoltà sembrano ormai definitivamente alle spalle, è tempo di guardare al futuro, ovviamente emergenza sanitaria permettendo. Ma non prima di aver dato una rapida spolverata al cassetto dei ricordi, da cui riemerge la magica settimana di Wimbledon 2017, quella che ha consacrato Stefano Travaglia nel tennis internazionale.
«Ho sempre sognato di giocare su quei campi e non dimenticherò mai le sensazioni e le emozioni di quelle giornate. Non avevo mai giocato sull’erba e nel giro di tre giorni ho vinto tre partite su tre, guadagnando l’accesso al tabellone principale. Un’esperienza che porterò per sempre nel cuore».
Si parlava, però, di futuro. L’obiettivo annunciato per questa stagione era di finire tra i primi 50 al mondo. La classifica ATP ad oggi vede Stefano in settantaquattresima posizione. C’è ancora molto lavoro da fare, ma Travaglia di certo non molla, anzi, rilancia. «Rilancio perché, nonostante tutto, sento di aver giocato bene e ho ottenuto dei grandi risultati. Voglio riconfermare l’obiettivo anche per il 2021, sperando di raggiungerlo prima possibile per fissare altri traguardi».
La determinazione c’è, la squadra anche, il talento di certo non manca, così come la tipica ambizione del campione. In fondo, se è più facile beccarlo al circolo tennis che in piazza, un motivo ci sarà pure.
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