di Claudio Felicetti
Nell’udienza di ieri 26 novembre al Tribunale di Ascoli, in cui era prevista la chiusura del procedimento a carico di Fausto Latini e Longino Carducci (rispettivamente amministratore delegato e presidente della Picena Depur), e di Domenico Procaccini (presidente di Piceno Consind), con l’accertamento da parte del giudice onorario Barbara Bondi Ciutti del pagamento dell’oblazione di qualche centinaio di euro che ha formalmente estinto il reato (riferito al periodo giugno 2017-dicembre 2018), il pm Cinzia Piccioni ha contestato in aula agli imputati due nuovi reati, sulla base della relazione Arpam, già acquisita agli atti processuali, a seguito dei sopralluoghi del 24 luglio e del 21 settembre.
In particolare, le contestazioni riguardano “la violazione delle prescrizione dell’autorizzazione unica ambientale del 20 giugno 2019, non adottando tutte le misure necessarie per il contenimento di tutte le emissioni diffuse e non per la tutela della qualità dell’aria e si accumulavano in maniera incontrollata materiali odorigeni”.
Inoltre, gli imputati, in concorso tra loro, “omettevano di dotare di un sistema funzionante di captazione delle emissioni in atmosfera il depuratore consortile, senza peraltro aver mai proceduto alla richiesta di relativa autorizzazione”.
All’udienza erano presenti Latini e Carducci, difesi dall’avvocato Francesco Marozzi, i legali di Procaccini e l’avvocato Anna Laura Luciani in rappresentanza dei 210 residenti di Villa Sant’Antonio che erano stati ammessi a costituirsi parte civile. Il processo quindi, relativamente alle nuove contestazioni, è stato aggiornato al 15 aprile 2021.
Ma ci sarà anche un seguito giudiziario per quel che riguarda la sentenza del 1 ottobre scorso con cui la giudice Bondi Ciutti ha concesso agli imputati il ricorso all’oblazione. Alla luce di quanto è emerso nell’udienza, quasi certamente la Procura della Repubblica ricorrerà in Appello. Le parti civili, infatti, hanno lamentato che dalla relazione dell’Arpam si desume che non erano state eliminate le conseguenze dannose del reato, cioè i miasmi puzzolenti, quindi non poteva essere concessa l’oblazione.
La relazione Arpam in più punti confermava la persistenza di odori insopportabili, e anzi ribadiva che si trattava di odori molto intensi, avvertiti anche nelle sere precedenti da tecnici che si trovavano nella zona. Nella stessa sera, i miasmi stomachevoli erano stati avvertiti anche nelle zone limitrofe e dunque si trattava della stessa tipologia di puzza segnalata dai residenti. Insomma, sostengono i cittadini, come si fa a dire che quel tanfo mefitico era avvertito solo nei pressi dell’impianto e non invece anche nell’abitato circostante, quando basta un soffio d’aria per diffondere la puzza nelle zone circostanti?
E, come annunciato, puntuale è arrivata anche una nuova denuncia di alcuni residenti ai Carabinieri.
«Nella zona di Villa Sant’Antonio di Ascoli Piceno e nella confinante e limitrofa zona del Comune di Castel di Lama – scrivono – ormai da lungo periodo noi residenti siamo sommersi da cattivi odori. I miasmi si avvicendano nel tempo prevalentemente nelle ore notturne, ma anche nelle ore diurne, in particolare in quelle serali. Con riferimento agli anni 2019 e 2020, le esalazioni nauseabonde sono state continue e frequenti, presenti per tutto l’anno, e la popolazione ne risente in particolare a partire dai mesi estivi perché si sta maggiormente all’aperto e anche le finestre delle abitazioni sono aperte. Si ripetono con più insistenza nei fine settimana».
«La popolazione – si legge ancora nella denuncia – si è attivata ad allertare l’Arpam, con numerose e plurime segnalazioni. Sia di recente che in tempi passati, la popolazione ha verificato di persona l’origine dei miasmi maleodoranti nel depuratore consortile recandosi presso l’impianto al momento della percezione del cattivo odore e accertando che erano gli stessi cattivi odori percepiti presso le proprie abitazioni e in molte vie della zona. Tali esalazioni maleodoranti arrivano improvvisamente, sono sovente molto forti, tali da provocare a volte anche conati di vomito e comunque determinano situazioni di gravissimo fastidio e disagio. Hanno un impatto negativo anche psichico nell’esercizio della quotidiana esistenza e delle normali occupazioni. Le case si impregnano di tali cattivi odori che permangono per lungo periodo. Accade sovente di notte, in particolar modo d’estate, che ci si svegli per l’odore che invade le abitazioni. Risultano infatti plurime chiamate alla pronta reperibilità dell’Arpam inoltrate nelle ore tarde della notte. Per la popolazione è pressoché impossibile difendersi dal disagio perché le ondate maleodoranti sono totalmente imprevedibili e impossibili da fugare».
Intanto, martedì 24 novembre si è tenuta l’udienza conclusiva del processo a carico dell’ascolano G.L.C., accusato di aver bruciato rifiuti con emissione di fumo nero maleodorante. Il pm Mara Flaiani aveva chiesto la condanna a 1 anno e 4 mesi. Il giudice Rita De Angelis ha ritenuto l’uomo colpevole, ma in considerazione della particolare tenuità del reato, in ragione del danno lieve, e della giovane età dell’imputato incensurato, non ha applicato la pena. Si tratta di una condanna a tutti gli effetti, ma senza pena, e viene concessa una sola volta.
L’episodio accadde il 21 gennaio 2019 nell’area di proprietà della ditta “Cedi srl”, a fianco dell’ex Ocma, l’azienda fallita nel cui stabilimento sono ancora ammassate 38.000 tonnellate di scorie di lavorazione dell’ex fonderia, rifiuti pericolosi e inquinanti che non sono stati ancora trattati e smaltiti. La denuncia era partita, anche allora, dagli attivisti del comitato civico ambientalista “Aria pulita”, diventati ormai delle vere e proprie sentinelle che controllano palmo palmo la zona industriale per tutelare la salute dei cittadini e preservare l’ambiente da inquinamenti di ogni genere.
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