di Federico Ameli
In questi ultimi giorni, sui social e sulle principali app di messaggistica istantanea sta facendo molto discutere l’iniziativa promossa su scala nazionale da alcuni ristoratori che, messi a dura prova dai sempre più stringenti provvedimenti messi in campo dal Governo nel tentativo di contenere la diffusione del virus, hanno deciso di dire basta alle chiusure, serali e non, imposte dal Dpcm del caso.
Per raccogliere le istanze di decine di centinaia di titolari di attività in tutta Italia e coordinare gli operatori del settore, nelle ultime ore hanno visto la luce diversi gruppi Telegram creati ad hoc e suddivisi per provincia, all’interno dei quali i rappresentanti locali di #IoApro – questo il nome dell’iniziativa, capitanata da un ristoratore del Pesarese, sebbene più di un collega ne rivendichi la paternità sul web – forniscono direttive e informazioni utili a garantire l’apertura di ristoranti e pizzerie nella serata di venerdì 15 gennaio, indipendentemente dalle decisioni del Governo.
Ad oggi, fanno sapere gli organizzatori, sarebbero oltre 50.000 gli esercizi commerciali aderenti, il che renderebbe la vita difficile a chi volesse stilare una lista dei ristoranti aperti, ma con il passare delle ore nei rispettivi gruppi locali iniziano a trapelare i primi nomi dei “ribelli”.
Dato che, almeno per il momento, negli elenchi ufficiosi non figurano ristoranti nostrani, abbiamo contattato alcuni gestori della zona per sapere che aria stia tirando ai fornelli nelle ultime ore.
«Sono a conoscenza dell’iniziativa e fondamentalmente ne condivido le premesse – spiega Luca de Cesaris del “Piccolo Teatro” di Ascoli- ma abbiamo sempre rispettato le normative e non mi va certo di mettere a rischio licenza e sacrifici di una vita per un “colpo di testa”.
Credo che l’obiettivo sia sollevare un po’ di clamore, ma dubito che qualche cliente voglia rischiare una multa nel tentativo di supportarci. Le motivazioni sono condivisibili, ma non credo che questo sia il modo giusto per farle presenti: noi operatori del settore abbiamo molto da perdere in una situazione del genere, ma ciò non toglie che l’esigenza di organizzare manifestazioni del genere sia concreta».
Dopo quasi un anno di sacrifici e chiusure a singhiozzo, la stretta su bar e ristoranti inizia inevitabilmente a pesare sugli operatori del settore.
«La situazione è diventata insostenibile e, senza il servizio serale, il fatturato subisce un calo del 90%. Stiamo cercando di tenere duro continuando a pagare bollette e dipendenti, anche perché la cassa integrazione spesso tarda ad arrivare».
Nonostante le rassicurazioni degli organizzatori, che su Facebook garantiscono assistenza legale in caso di multe e chiusure punitive – ritenute “illegittime” – la maggior parte dei ristoratori preferisce agire con prudenza e nel rispetto delle normative vigenti.
«Abbiamo deciso di non aderire – dichiara Quirino Argira del ristorante “Il Ruspante”-: preferiamo evitare multe e ricorsi del caso per non peggiorare una situazione già piuttosto complicata».
La precarietà dell’attuale zona gialla, che ha consentito a diverse attività del posto di riaprire i battenti almeno per qualche giorno, non ha convinto lo staff del “Ruspante” a tornare ad accogliere i clienti di sempre, che dovranno attendere tempi migliori per tornare a far visita a Gigi, lo storico titolare.
«Per il momento non ne vale la pena: il nostro è un ristorante che lavora principalmente a cena e nel weekend, pertanto abbiamo preferito fare uno sforzo ulteriore e aspettare il prossimo Dpcm per valutare una programmazione a lungo termine.
Con i numeri a cui siamo abituati, riaprire solo per quattro tavoli sarebbe stato avvilente. I costi fissi, peraltro, sono rimasti gli stessi: stiamo continuando a pagare tasse, bollette e affitti quasi per intero. Sarebbe opportuno prevedere più attenzioni e aiuti nei confronti di noi ristoratori, che ormai andiamo avanti solo grazie ai risparmi degli anni passati».
Nonostante le difficoltà, venerdì 15 gennaio le porte del “Ruspante” resteranno chiuse. «In questo modo passeremmo dalla parte del torto, non è questa la strada che vogliamo intraprendere per tornare alla nostra storia, che è fatta di accoglienza e tradizione. In questi casi, trovo inopportuna ogni genere di strumentazione politica».
A questo proposito, i coordinatori di #IoApro precisano che l’iniziativa è del tutto apartitica, ma più di un ristoratore fatica a tenere per sé i legittimi dubbi sulla connotazione politica del movimento. C’è chi teme di passare per negazionista e, dopo un iniziale abboccamento, lascia in fretta e furia il gruppo, ma anche chi sottolinea che «Chi è per il ristoro è contro il lavoro». Anche la Confartigianato ha recentemente espresso il suo parere sulla questione, invitando gli esercenti alla collaborazione senza scadere nell’illegalità e nelle sue tentazioni (leggi l’articolo).
Ad ogni modo, anche spostandoci in provincia la situazione non sembra cambiare: pare proprio che venerdì 15 gennaio ognuno cenerà a casa sua.
«Sinceramente – spiega Raffaele Santori, titolare della “Locanda degli Amici” di Pagliare- non sono d’accordo con gli organizzatori.
È vero che la nostra categoria non è adeguatamente rappresentata da un’associazione in grado di tutelarci, ma se lo Stato decide di emanare una legge noi siamo tenuti a rispettarla. Altrimenti…». Si passerebbe dalla ragione al torto, un leitmotiv che abbiamo già sentito.
«Per me la colpa è della politica, sia di destra che di sinistra, sempre alle prese con imbrogli e dispetti infantili. In questi mesi ho rispettato le regole sanificando i locali, riducendo il numero dei posti da 120 agli attuali 60, osservando i giorni di chiusura anche con mezza giornata di preavviso e investendo migliaia di euro in attrezzature e formazione per lavorare nel rispetto delle norme.
Ho fatto la mia parte, ma anche in un periodo in cui tutto è in vendita la mia dignità non ha prezzo. Non voglio offrire agli altri la possibilità di darmi dell’untore: oltretutto, restando aperti venerdì sera rischierei anche di offendere parte della mia clientela che è a favore del Governo. Il cameriere è un servitore di Dio e non può essere di parte: voglio lamentarmi, ma con dignità».
Da buon ristoratore, Raffaele avrebbe avuto una buona ricetta per evitare l’ondata di contagi che sta costringendo Palazzo Chigi a valutare provvedimenti ancor più restrittivi per le prossime settimane.
«Se ci avessero permesso di lavorare regolarmente a Natale e a Capodanno non avremmo avuto i tanti casi di Fermo, Offida e Monteprandone, con alcuni ristoranti che hanno preparato menù di asporto anche per 20 persone, perlopiù giovani.
Farmacie, supermercati e banche sono ancora aperti, la colpa ricade sempre su bar, ristoranti e pizzerie. Dovremmo chiudere tutto per un mese e far scendere in strada l’esercito: solo a quel punto potremmo risolvere il problema».
Ringraziamo Raffaele per l’ormai consueta disponibilità e, proprio mentre stiamo per demordere, incontriamo un ristoratore ascolano che, appena messo a conoscenza dell’iniziativa, annuncia di voler partecipare con i suoi tre locali. Attendiamo la conferma, ma dopo qualche ora ecco il ripensamento: niente da fare, anche i suoi ristoranti resteranno chiusi. Non resta altro che iniziare a pensare alla spesa di venerdì: la cena fuori potrà attendere, almeno nel Piceno.
Confartigianato: «Ok il mal di pancia, ma stop all’illegalità»
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