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«La ripartenza dopo la pandemia
deve passare per gli asili nido»

SAN BENEDETTO - E' quanto propone Tonino Armata, coordinatore dell'Osservatorio permanente Infanzia e Adolescenza del Comune di San Benedetto. «Azione che permetterebbe all'intero Paese di progredire» «Nelle Marche ne usufruisce un bambino su 4»
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Tonino Armata

 

«Sessanta per cento di bimbi al nido nei prossimi 5 anni. Ora o mai più». E’ questa la proposta di Tonino Armata, coordinatore dell’Osservatorio permanente Infanzia e Adolescenza del Comune di San Benedetto, sull’utilizzo dei fondi per la ripartenza dopo la pandemia.

«È un obiettivo necessarioaggiunge il coordinatore sambenedettesee dobbiamo perseguirlo adesso quando arriveranno i fondi per la ripartenza. Crescerebbe l’occupazione femminile di più di 100 mila unità solo per la cura e l’educazione dei bimbi, senza considerare l’effetto che si otterrebbe nella diminuzione del tasso di interruzione del lavoro da parte delle donne e dell’incentivo all’ingresso nel mercato del lavoro.

Secondo la stima dell’Istat in 11 anni, dal 2008 al 2019, i posti nei nidi sono aumentati di circa 100 mila unità. Andando avanti di questo passo ci vorranno più di 20 anni per arrivare al 60% degli attuali aventi diritto. Ma nel frattempo gli effetti sarebbero devastanti sia per l’occupazione femminile che per il calo del numero dei nati.

Quello dei nidi è un esempio paradigmatico di come adottare azioni per risolvere un problema che si scarica sulle spalle delle donne, possa far progredire l’intero Paese e non soltanto le donne.
La dotazione di nidi è ancora al di sotto del parametro del 33% che l’Unione europea aveva fissato già nel 2002 con il Consiglio europeo di Barcellona, come traguardo per gli stati membri da raggiungere entro il 2010. Solo 5 regioni l’hanno raggiunto. Siamo al 25% a 8 anni di distanza dal 2010 con poco di più del 10% al Sud.

E badate bene, ci si era dati quell’obiettivo per sostenere la conciliazione dei tempi di vita e promuovere la maggiore partecipazione delle donne nel mercato del lavoro. E noi che ne avremmo avuto più bisogno di tutti, perché sono anni che abbiamo i tassi di occupazione femminili più bassi in Europa, non ce ne siamo curati abbastanza. Perché tanto ci sarebbero state le donne: madri, nonne, zie, o chi per loro.

E così abbiamo risparmiato, sovraccaricando le donne e contribuendo all’uscita dal mercato del lavoro di molte di loro, le più vulnerabili, senza aiuti di familiari, o incentivandone la non entrata. Purtroppo abbiamo risparmiato anche penalizzando i nostri bimbi.

Primo, perché è stato mostrato da ricerche internazionali che frequentare il nido aumenta la probabilità dei bimbi di avere esiti positivi nel loro percorso scolastico.

Secondo, perché è stato analogamente dimostrato che far frequentare ai bimbi anticipatamente la scuola per l’infanzia o la primaria aumenta la probabilità di esiti negativi nel percorso scolastico. E non sono pochi questi bimbi. Il 15% di quelli di 2 anni vengono inseriti nella scuola dell’infanzia attrezzata con strutture congrue alla fascia di età successiva, senza adattamenti organizzativi. Nel Sud ciò succede al 20% e in Calabria al 31,3%. Nelle Marche un bambino su quattro. 

Terzo, perché i bambini delle famiglie deprivate o povere sono i più esclusi dai nidi, il loro tasso di frequenza è pari alla metà degli altri e quindi non possono usufruire dei vantaggi che i nidi forniscono.
Il bambino è un soggetto a cui è dovuto investimento e attenzione, la qualità della crescita è fondamentale. Il clima sociale sereno è bene prezioso e irrinunciabile. La socializzazione nei primi anni di vita è aspetto fondamentale della sua armonica crescita.

Dobbiamo dare una svolta vera, che interrompa il proliferare di storture dovute alla carenza dell’offerta, dai nidi abusivi che non garantiscono la qualità del servizio, alle iscrizioni anticipate alla scuola dell’infanzia e alla primaria.

Nidi equamente diffusi sul territorio, con personale qualificato, con servizio di elevata qualità devono essere considerati servizi educativi essenziali del nostro Paese. Raggiungere il 60% di copertura in cinque anni è il minimo che possiamo fare. Lo propone anche il documento Colao.

Nel maggio del 2019 sono uscite le Raccomandazioni del Consiglio dell’Unione europea relative ai sistemi di educazione e cura di alta qualità della prima infanzia.

Oltre a parlare della necessità di estendere l’offerta dei servizi, le raccomandazioni si soffermano sulla necessità di rafforzare l’inclusione sociale e accogliere la diversità e sulla opportunità di sfruttare i finanziamenti europei.

Facciamolo, coscienti che investendo finalmente sull’alleggerimento del carico di lavoro familiare sulle donne, investiamo anche sul futuro dei nostri bimbi, sul futuro del nostro Paese».

 


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