di Luca Capponi
Quando, con estrema lungimiranza, intuì che quel film, uscito alla chetichella, aveva un (gran) potenziale. Difatti fu uno dei pochissimi a scommetterci, e ad imporlo tra i titoli natalizi del dicembre 1996: la pellicola era “Il ciclone“, e rimase in cartellone per mesi risultando tra gli incassi maggiori di sempre, per un allora poco noto Leonardo Pieraccioni.
O quando, lui che non le mandava mai a dire, ebbe l’ardore di richiamare Carlo Verdone, reo di avere utilizzato un linguaggio troppo “televisivo” nel sacro tempio del cinema. Era l’anteprima nazionale di “Viaggi di nozze”, in quel di Bologna: «Bel film, avrà successo. Ma quel “buona visione” prima dell’inizio l’ho trovato fuori luogo». «È vero, ho fatto una gaffe», ammise l’attore/regista romano.
E poi gli incontri coi grandi. Una galleria che mette i brividi: da Steven Spielberg a Tom Cruise, da Cristopher Walken a Gary Oldman passando per Nicole Kidman, James Cameron, Russell Crowe ed Anthony Hopkins, fino a quello commovente col grande Muhammad Alì, all’epoca già malato. E, segno del destino, dello stesso male che poi si è portato via anche il protagonista di questa storia, Pietro Stipa.
Un dei veri personaggi della Ascoli che non c’è più. Schietto, intuitivo, viscerale. Con una passione abnorme, unica e toccante per il cinema. Fin dalla nascita, avvenuta nel 1939. E non si dica che il dna non c’entra nulla. Suo padre, che non ha mai conosciuto, era un proiezionista come lui. Sua figlia Carla, la quarta di cinque, ha seguito le stesse orme. Quelle fatte di sogni e fantasia. Quelle della settima arte.
A tre anni dalla scomparsa di Pietro, proprio lei ha deciso di dedicargli un libro dal titolo esplicativo: “Sono la figlia di mio padre”. La prefazione è di Enrico Vanzina. Sarà presentato al pubblico domenica 3 ottobre al Nuovo Cineteatro Piceno, con inizio alle 18,30.
«Un’opera che nasce in primis da un’esigenza privata, un modo per incanalare il dolore e provare a gestirlo-racconta Carla-. Non è stato facile accettare la perdita di mio padre, ancora faccio difficoltà: oltre al legame genitoriale ci univano 25 anni di vita lavorativa insieme. Proprio il lavoro è un altro dei motivi che mi hanno spinta a scrivere, perché quanto fatto da mio padre per la città in ambito cinematografico venisse in qualche modo riconosciuto. Non amava molto apparire, nonostante avrebbe potuto fregiarsi di molti meriti».
Ciò a cui si riferisce Carla, soprattutto per chi ha qualche anno in più o per chi ama il cinema, è cosa nota: Pietro era il proiezionista per eccellenza, colui che, un po’ come faceva il protagonista di “Nuovo Cinema Paradiso”, dava il via allo spettacolo di celluloide. La mano che alzava il sipario sulla magia.
Un lavoro iniziato all’età di 16 anni, e che lo ha portato a girare il mondo. Nel 1964 divenne direttore del mitico Supercinema di Ascoli, una delle sale più grandi d’Italia dentro cui si è fatta la storia. Il sodalizio umano e lavorativo col conte Nazzareni Saladini, altro storico personaggio, a cui fu legato da grande amicizia. Poi il passaggio al Piceno e all’Odeon. I viaggi negli Usa, le anteprime dei film in Italia, a tu per tu coi grandi della settima arte. Ma soprattutto l’intuito che riusciva spesso a distinguerlo.
«Riusciva a capire immediatamente se un film avrebbe avuto successo o meno -continua Carla- Potrei citare decine di casi, da “Il ciclone” fino a “Il mostro” di Benigni, che nel 1994 trovò molte difficoltà ma che poi divenne campione d’incassi. Questo perché per lui il cinema non è mai stato un lavoro ma una grande passione. Per il cinema faceva di tutto, organizzava, proiettava e programmava; amava la settima arte come pochi. Al tempo stesso era anche molto diretto, davanti a lui poteva esserci chiunque ma se doveva dire una cosa la diceva. Questo gli portò la stima di molti addetti ai lavori, che quando volevano un parere sincero lo interpellavano traendo utili indicazioni».
Tra questi c’era anche Enrico Vanzina, uno che poi nel corso del tempo è divenuto di famiglia. «Lo considero il mio mentore, quando si è trattato di pensare a qualcuno per la prefazione ho pensato subito a lui, l’unico in grado di offrire un punto di vista rispettoso e veritiero, perché conosceva bene entrambi», ricorda Carla.
Tra luci della ribalta e ricordi personali, dunque, si sviluppa un libro che restituisce lo spaccato necessario di un mondo che oggi (forse) non c’è più. Tra nostalgia, qualche lacrima e un sorriso che non deve mancare mai. Un po’ come accade in quella sala buia che tutti noi amiamo.
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