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Quando lo sport è di tutti
Aida Xhaxho si racconta:
«È il futsal che ha scelto me»

ASCOLI - Esistono discipline maschili e femminili? Quanti pensano che una ragazza che ne pratichi una definita maschile annulli la sua femminilità e sia da considerare “maschiaccio”? Storia della giocatrice italo-albanese, una delle campionesse più celebrate di calcio a 5: «Grazie ai sacrifici della mia famiglia è arrivato il successo»
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di Marzia Vecchioni 

 

Esistono sport maschili e sport femminili? Quanti pensano che una ragazza che pratichi uno sport considerato maschile annulli la sua femminilità e sia da considerare “maschiaccio”?

Fin da piccoli ci viene inculcato che il maschio deve fare calcio e la femmina danza, ma non è così. È una visione limitata e limitante, piena di pregiudizi e stereotipi. È l’imposizione di una società retrograda che vuole confinare in ruoli predefiniti uomini e donne, anche nel loro tempo libero.

Aida in azione con la maglia del Montesilvano

Attraverso una serie di interviste, che prende il via oggi con la calciatrice Aida Xhaxho, diamo spazio alla riflessione su quanto sia importante avere una cultura sportiva libera e aperta fin da bambini. Dimostrare quanto sia necessario dare l’opportunità ai ragazzi di fare ciò che vogliono, sostenendoli nelle loro scelte personali e nel fargli realizzare i propri sogni

Aida Xhaxho ha 28 anni ed è di origine albanese ma si sente ascolana a tutti gli effetti perché all’età di sei anni si è trasferita con la sua famiglia a Folignano e avendo frequentato tutte le scuole nel Piceno, e avuto le sue prime amicizie e relazioni qui, la sua evoluzione è avvenuta nel nostro territorio.

Come è iniziata la tua vita sportiva?

«Già a 6/7 anni giocavo nella palestra della scuola, durante la ricreazione, con i miei compagni di classe. Ho sempre avuto una passione nel calciare palloni; è questo sport che ha scelto me e non viceversa. Ho iniziato a calcio a 11 con la Carbon, poi sono stata contattata da un allenatore di una squadra che militava in serie B femminile. Dopo tre anni ho provato l’esperienza di giocare in serie A con l’Imolese. Ho ricevuto una proposta da parte di una squadra ascolana di calcio a 5, che ho accettato, perché era l’ultimo anno di scuola e avevo intenzione di diplomarmi ad Ascoli. Sono approdata velocemente in serie A, infatti sono quasi 10 anni che gioco in questa categoria. Negli anni sono stata in tante città, Chieti, Firenze, Ancona, Roma; attualmente sono nel Pescara».

Come descriveresti questo vissuto?

«Un’esperienza di vita fantastica ed enorme. Mi ha reso indipendente da subito. Vivendo distante dalla famiglia fin da ragazza, crescendo in diversi luoghi, respirando l’aria di ambienti così differenti, sono cresciuta più velocemente delle mie coetanee. Uno dei paragoni potrebbe essere questo: mentre le mie compagne a 13/14 anni prendevano l’autobus percorrendo i pochi chilometri casa/scuola, io prendevo taxi e aerei per percorrere centinaia di chilometri per le trasferte».

I componenti della famiglia, suoi immancabili tifosi

Sei stata sostenuta e accompagnata in questo percorso?

«Decisamente si, in primis dai miei genitori e poi dai miei due fratelli. Riguardo a loro, quando giocavo nel territorio Piceno, staccavano da lavoro, venivano a prendermi per portarmi al campo di Castel di Lama, mi lasciavano lì, tornavano a casa per mangiare e sistemarsi e mi venivano a riprendere dopo l’allenamento. I loro sacrifici hanno permesso il mio successo».

A che livello sei arrivata?

«Gioco in serie A, ho vinto scudetti, sono stata in Nazionale. Ho raggiunto il top per il mio sport ma sono molto ambiziosa quindi il mio massimo ancora lo devo raggiungere. Infatti continuo ad allenarmi duramente, mi faccio trovare sempre pronta».

Come è considerato il ruolo femminile in questo sport?

«Il calcio a 5, a differenza di quello a 11, che si sta scoprendo adesso, è considerato bello da vedere. Però ci sono delle diversità. All’interno del movimento esiste una disparità a livello economico, anche se non è netta come nel calcio a 11. Per quanto riguarda il rapporto donna/uomo, all’inizio, quando si comincia a praticare questo sport, alcune ragazzine potrebbero incontrare delle difficoltà nell’approccio con i loro compagni maschi. Questa cosa l’ho notata anche da allenatrice. La cosa positiva e che fa ben sperare è che questa problematica si risolve velocemente da sola perché si va creando un gruppo. Il problema reale è il pensiero sbagliato, discriminante e sessista dei non praticanti, altrimenti tra giocatori e giocatrici non ci sono disuguaglianze. Io vengo considerata dilettante e mi alleno ogni giorno, faccio trasferte lunghe, pratico questo sport fin da piccola quindi gli ho dedicato molto tempo però se ho un infortunio non sono tutelata. È una cosa gravissima. Va considerato che le partite della nostra serie, vengono trasmesse da canali come Sky e veniamo riprese spesso. All’interno del movimento veniamo considerate professioniste a tutti gli effetti, dai vertici no. In questo contesto, c’è parità di genere perché i miei colleghi uomini sono nella nostra stessa lega, la Lega Nazionale Dilettanti».

Hai visto cambiamenti da quando hai iniziato?

«Sì. Dal punto di vista economico in questo arco di tempo sono passata ad avere quasi tutte compagne di squadra che lavoravano a giocatrici che hanno deciso di svolgere come “lavoro” esclusivamente il Futsal (calcio a 5). Questo è dovuto probabilmente al fatto che sono aumentati i rimborsi spesa e che sono più assistite. Dal punto di vista del gioco, il calcio a 5 è sempre stato molto praticato in Italia; ora però il 60/70 % degli sportivi sono stranieri (argentini, brasiliani, spagnoli) e in questi paesi è considerato un grande sport paragonabile al calcio a 11. Questo ha fatto alzare di molto il livello, sia fisico sia tattico».

Il giorno della laurea

Quali strumenti potrebbero essere utilizzati per far avere più visibilità alle donne negli sport considerati esclusivamente maschili?

«Ti rispondo con un esempio: nelle finali scudetto dell’anno scorso sono venuti a vedermi dal vivo alcuni miei amici che prima di allora avevano assistito alle mie partite solamente guardandole in tv. È stata un’esperienza incredibile per loro, si sono appassionati moltissimo e si sono sentiti partecipi, hanno provato emozioni forti che tuttora ricordano come se fossero accadute da poco. Questo per dire che bisogna investire in questo sport, è necessario dare una possibilità senza creare dissidi, senza fare paragoni perché non c’è nulla da mettere a confronto, bisogna essere tifosi per quello che è lo sport in generale. Se rimaniamo affossati nello stereotipo della “donna più lenta dell’uomo” non progrediremo mai. Non posso andare a vedere una partita di calcio maschile di seconda categoria e paragonarla a una partita di serie A. Lo sport va reputato e apprezzato per la bellezza che rappresenta».

Hai subito discriminazioni di genere?

«No. Faccio parte della Nazionale dalla sua nascita e in tutto questo tempo non ho notato nulla. Anzi ricordo con piacere un aneddoto. Quando sono andata in Iran in trasferta, nonostante sia un paese complesso che ha palazzetti suddivisi per spettatori uomini e spettatrici donne, moltissimi ragazzi, di entrambi i sessi, ci hanno chiesto autografi, ci stimavano, ed eravamo considerati idoli. Questo ha dato alla mia squadra una grande speranza, perché anche in un paese così difficile, soprattutto per la donna, allo sport viene data grande importanza. Sono fiduciosa anche per l’Italia perché sotto molti aspetti siamo un paese decisamente più evoluto».

Da piccola e da grande: il sogno azzurro

Come fai a gestire lavoro e sport?

«Personalmente l’idea di vivere solo di sport mi ha sempre spaventato perché non percepiamo stipendi alti, non siamo considerate professioniste e non abbiamo il versamento dei contributi e quindi ho deciso di costruirmi un percorso parallelo. Ci vuole molta organizzazione: il lavoro è impegnativo, la mia pausa pranzo è il mio primo allenamento della giornata. Far conciliare le due cose non è molto semplice; a livello fisico e mentale l’allenamento è dispendioso, anche perché mi alleno tutti i giorni e con doppio allenamento. Sono fortunata perché fin da adolescente mi alterno tra studio e sport e sono navigata nella pianificazione di entrambi».

Cosa speri possa cambiare nei prossimi anni?

«In Spagna il Futsal femminile è passato nel professionismo. Spero che questo accada anche qui. Noi donne non abbiamo un Europeo considerato alla stregua di quello maschile e per noi non è mai stato creato un Mondiale. Mi auguro ci sia un futuro roseo per noi in Italia».

Cosa diresti a una ragazza che volesse intraprendere il tuo stesso percorso ma ha paura dello stigma sociale?

«Direi di seguire la sua passione che è l’unica cosa che conta, senza curarsi delle considerazioni esterne; di divertirsi, esprimersi, di giocare solo per sé stessa e di non arrendersi mai. Sognare di farlo come mestiere perché mi auguro che questa sia la proiezione nel futuro».

Aida Xhaxho: c’è un po’ di Ascoli nel tricolore del futsal rosa


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