Ascoli Piceno e San Benedetto del Tronto. Oltre alla rivalità sportiva, talvolta becera, c’è di più. Ci sono realtà figlie di passati gloriosi, che ai due centri hanno conferito prestigio. Ci sono state persone, popoli, storie e culture diverse, di pari dignità, separate solo da una manciata di chilometri, da conoscere, raccontare e tramandare. Accomunate, tutte, da un “eroismo” straordinario, che nessun astio, fazioso e municipalistico, può e deve cancellare. Di cui andare, tutti insieme, indistintamente, orgogliosi. L’amore cieco e sordo per il proprio campanile, il fanatismo che, in ogni campo, tutto avvelena, rischiano di farci ignorare, sia sotto il Torrione che in Piazza del Popolo, il meglio che, su entrambe le sponde, nei più diversi campi, con valore, sacrificio e abnegazione, durante lo scorrere degli ultimi secoli le nostre genti sono riuscite a costruire. A puntate, su Cronache Picene, racconteremo senza presunzione la Storia dei due centri. Sportiva e non. Scritta dai grandi personaggi del passato, soprattutto quelli meno celebri, da tramandare ai più giovani, e ai posteri, spesso ignari. Attraverso le glorie e le infamie, i fasti e le tragedie. Le pagine più esaltanti e i giorni più neri. Senza partigianerie e autoincensamenti di sorta. Senza sconti, che la Storia non può concedere a nessuno. Ascoli Piceno e San Benedetto del Tronto. Non più cugine invidiose e malevoli. Ma sorelle unite. E regine, entrambe, del Piceno e delle Marche. Non solo sui campi di calcio.
PUNTATA n. 11
Alla ripresa dei campionati, dopo la fine della seconda guerra mondiale, a partire dalla stagione 45/46, Ascoli e Samb giocano insieme nel girone B, e poi nei gironi F e Q della serie C per tre anni. Chiudono nell’anonimato del centro classifica la prima stagione, quindi la Samb spicca il volo, con due secondi posti consecutivi nelle due stagioni successive mentre l’Ascoli stenta parecchio nella lotta per la salvezza. Al termine del campionato 46/47 soccombe negli spareggi-salvezza inter-gironi, i play-out dell’epoca, ma viene successivamente ripescato in serie C. Ha meno fortuna l’anno dopo. Retrocesso nuovamente sul campo, stavolta non la scampa.
Le strade delle due formazioni picene si dividono dunque al termine della stagione 47/48. Non si incroceranno più per ben quindici anni. Tre lustri di schiacciante predominio calcistico provinciale rossoblù. Che originano, e rinsaldano nei decenni successivi, un orgoglio suprematista e una fede cieca che nascono da un dogma assoluto. La Samba non si critica mai, e non si contesta in nessun caso. Si ama e basta. Visceralmente. E’ un affetto che fa parte della tua famiglia, e che si tramanda di padre in figlio. La fede rossoblù si propaga anche nell’entroterra, risalendo le vallate del Tronto, del Tesino e dell’Aso.
Il periodo di vacche magre deprime invece l’ambiente ascolano. Anche se la passione degli sportivi non viene mai meno, la società si dimena in perenne difficoltà finanziaria, con la carica di presidente che passa ogni anno di mano in mano fra i notabili più in vista della città. E’ quasi sempre il Caffè Meletti ad ospitare le riunioni del consiglio direttivo perchè la società non dispone neppure di una sede. Apprezzati professionisti e figure nobiliari dal sangue blu si alternano al timone della società senza riuscire a risolverne gli annosi problemi economici. Senza riuscire a trasmettere quella scossa di cui ci sarebbe bisogno.
Nel 1947 l’Ascoli stabilisce però, senza saperlo, anche un lodevole primato. Elegge alla presidenza una donna: Ernestina Seghetti Panichi. La prima donna in Italia a riuscire nella storica impresa, quando le parole emancipazione, femminismo e pari opportunità, non figurano ancora sui vocabolari, espressioni come sono di concetti ancora lontanissimi dalla società maschilista e patriarcale di quegli anni.
A San Benedetto il vecchio campo “Littorio” nel 1949 viene intitolato ai “Fratelli Ballarin” e con questo nome diventerà il fulcro dei successi della squadra. Sorge a pochi passi da quel mare ormai decisamente avviato a fare ricca tutta la cittadina, grazie alla pesca, e al turismo di massa che verrà nei decenni successivi. Il terreno di gioco non ha l’erba ma la terra. Come una arena antica. Super capienza che non supera i seimila posti. Dimensioni al limite minimo del regolamentare. Gradinate basse, ma tutte a ridosso del rettangolo di gioco. Location minuscola e suggestiva che diventa una bolgia infernale la domenica, quando c’è la partita della Samb. Un calore assordante che esalta, galvanizza, i propri beniamini in maglia rossoblù, incoraggiati e spronati a gran voce oltre ogni dire, ma che spesso travalica i confini della correttezza sportiva per sfociare nell’intemperanza vera e propria nei confronti dei giocatori avversari e della terna arbitrale. Fin dal loro ingresso in campo, lungo lo stretto passaggio che, prima da sotto la tribuna ovest, e successivamente, dall’angolo di nord-ovest, sotto la gradinata nord, conduce al rettangolo di gioco. Piccolo, come detto, con quella linee bianche laterali di bordo, e fondo campo, vicinissime al pubblico.
Le punte degli ombrelli vengono spesso infilati fra le maglie della rete della recinzione a pungolare i guardalinee e intimidire i giocatori avversari che raccattano il pallone per effettuare le rimesse laterali. E’ in queste occasioni che sono spesso bersagli di sputi e invettive. Un clima abituale che contribuisce però, da solo, a portare punti pesanti in classifica. Il fair-play è un nobile concetto ancora di là da venire, e le regole, all’epoca, molto più permissive ed… elastiche, soprattutto sui campi del sud Italia, sempre infuocati di passione come il “Ballarin”. Dove gli arbitri chiudevano spesso un occhio sui pesanti condizionamenti… ambientali. E tutti e due in sede di stesura dei referti. In ogni caso la Sambenedettese di quegli anni, sostenuta in maniera così determinante dalla sua tifoseria, arriverà ad essere definita la “super provinciale” dal quotidiano sportivo nazionale Il Corriere dello Sport al termine della stagione 46/47, quando stabilisce un primato nazionale vincendo tutte le partite interne. Un exploit che non la fa andare però oltre il secondo posto, per un solo punto, dietro alla Maceratese.
Una beffa che si ripete, sempre per un punto, anche nella stagione successiva. I primi anni del dopoguerra vedono nascere l’astro di Luigi Traini, sambenedettese di nascita, classe 1926, cresciuto nelle giovanili della sua città, diventerà il miglior realizzatore di tutti i tempi in maglia rossoblù con 100 gol messi a segno in poco più di 200 partite. Una media impressionante, che contrassegnerà un decennio di leadership regionale in serie C, strappata definitivamente dalla Sambenedettese, dopo il 1950, alla Maceratese e all’Anconitana. Gigi Traini, sposerà Stella, la figlia dell’allenatore Alfredo Notti, chiamato alla guida della Samb dal 1948 al 1951. Dopo una fugace apparizione in serie A, segnata da un grave infortunio patito, Traini tornerà a deliziare i tifosi della sua città fino al 1955.
Nella stagione successiva, 56/57, si trasferirà proprio all’Ascoli, chiamato dal suocero, che ne ha appena assunto la guida tecnica. Notti siederà sulla panchina bianconera per tre stagioni, Traini invece fino al termine dell’annata 60/61 continuando a segnare a ripetizione (37 gol in 97 partite) anche con la maglia bianconera. Nel 1948 alla presidenza della Sambenedettese arriva Domenico Roncarolo. Un personaggio straordinario, di cui avremo modo di riparlare più avanti, che ricoprirà questa carica per quasi un ventennio segnando un’epopea irripetibile. Quando il ristorante “Da Fattò” in viale Risorgimento, Offidani, a sua volta giocatore nella Samb degli anni Trenta, ospitava a pranzo e a cena, e coccolava, i giocatori scapoli. Moltissimi di loro, di ogni epoca, hanno poi messo su famiglia, o attività commerciali, e nuove radici, proprio a San Benedetto. Come del resto è accaduto anche ad Ascoli a molti ex giocatori bianconeri. Di queste due città insomma si sono innamorati in tanti.
A partire dall’annata 48/49, come detto, l’Ascoli, appena retrocessa, conoscerà un lungo declino in tutte le serie inferiori, fino a toccare il fondo con la retrocessione dalla IV° serie al termine della stagione 1954/55. In quella estate è solo per merito del provvidenziale intervento dei potenti editori e mecenati Cino e Lillo Del Duca, originari della vicina Montedinove, che il sodalizio ascolano riesce a salvarsi dal fallimento. Grazie alla fusione con la S.S. “Lillo Del Duca”, a partire dalla stagione 55/56, la S.S. Ascoli diventa infatti Associazione Sportiva “Del Duca Ascoli”. La società bianconera si onorerà di intitolare ai due fratelli benefattori Cino e Lillo del Duca anche il nuovo, moderno stadio delle Zeppelle, inaugurato nel 1962, e di far portare il loro cognome, con orgoglio e riconoscenza, anche alla squadra, per diciassette anni, fino al 1971. Una soddisfazione, ed un sollievo, sotto l’aspetto sportivo, immensi per la città di Ascoli Piceno, che nelle due stagioni successive sarà protagonista di campionati di alta classifica in Promozione.
Vincerà il campionato 56/57 con sette punti di vantaggio sulla seconda e tornerà in IV serie, ma la riammissione in serie C arriverà solo a tavolino, nell’estate del 1959, grazie alla ristrutturazione dei campionati, e sfruttando il fatto di essere rappresentativa di un capoluogo di provincia. Sono gli anni di mister Alfredo Notti, che, come detto, porta in bianconero anche il genero, il bomber Gigi Traini. Due ex Samb, che anche in Ascoli saranno molto amati alla pari di Palestini e, qualche anno dopo, di Persico. Primi esempi di una lunga lista di giocatori che hanno vestito, onorandole, entrambe le maglie, senza far gridare, per questo, allo scandalo, all’insopportabile vergogna, all’imperdonabile tradimento, su nessuno dei due fronti.
Questo è lo sport vero. Quello che ci piace raccontare. Come la grande festa che c’è a San Benedetto nell’estate del 1956. Al termine della stagione 1955/56 la Sambenedettese vince infatti il campionato di serie C, ed è promossa in serie B. E’ la prima squadra picena ad accedere alla serie cadetta nazionale. Non solo. Sull’intera costa adriatica, lungo gli 820 chilometri che corrono da Bari a Venezia, così come nelle sette regioni più prossime (Umbria, Abruzzo, Molise, Toscana, Lazio, e Campania) non figurano altre formazioni in quel torneo. Nelle Marche la promozione in serie B era già riuscita in precedenza ad altre due squadre. L’U.S. Anconitana-Bianchi, per la prima volta, al termine della stagione 36/37, e che riuscirà negli anni a cavallo della guerra, fra alterne vicende, a totalizzare otto stagioni nella seconda serie nazionale fino al 1951. E il Macerata F.C., che aveva centrato la promozione in B anche lui nella stagione 40/41, ma la sua era stata una fiammata isolata, una meteora passeggera, sotto lo spettro della guerra incombente.
(continua)
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