Ascoli Piceno e San Benedetto del Tronto. Oltre alla rivalità sportiva, talvolta becera, c’è di più. Ci sono realtà figlie di passati gloriosi, che ai due centri hanno conferito prestigio. Ci sono state persone, popoli, storie e culture diverse, di pari dignità, separate solo da una manciata di chilometri, da conoscere, raccontare e tramandare. Accomunate, tutte, da un “eroismo” straordinario, che nessun astio, fazioso e municipalistico, può e deve cancellare. Di cui andare, tutti insieme, indistintamente, orgogliosi. L’amore cieco e sordo per il proprio campanile, il fanatismo che, in ogni campo, tutto avvelena, rischiano di farci ignorare, sia sotto il Torrione che in Piazza del Popolo, il meglio che, su entrambe le sponde, nei più diversi campi, con valore, sacrificio e abnegazione, durante lo scorrere degli ultimi secoli le nostre genti sono riuscite a costruire. A puntate, su Cronache Picene, racconteremo senza presunzione la Storia dei due centri. Sportiva e non. Scritta dai grandi personaggi del passato, soprattutto quelli meno celebri, da tramandare ai più giovani, e ai posteri, spesso ignari. Attraverso le glorie e le infamie, i fasti e le tragedie. Le pagine più esaltanti e i giorni più neri. Senza partigianerie e autoincensamenti di sorta. Senza sconti, che la Storia non può concedere a nessuno. Ascoli Piceno e San Benedetto del Tronto. Non più cugine invidiose e malevoli. Ma sorelle unite. E regine, entrambe, del Piceno e delle Marche. Non solo sui campi di calcio.
PUNTATA n. 15
Pierluigi “Piero” Pucci approda alla Sambenedettese dalla sua Sant’Egidio alla Vibrata insieme a Paolo Beni all’inizio della stagione 60/61. Esordisce in serie B che non ha nemmeno diciott’anni. E’ brevilineo, ma veloce e molto tecnico. Nella Samb di quegli anni ‘50 e ‘60 hanno trovato spazio moltissimi giovani calciatori della zona o delle province più prossime, abruzzesi e marchigiane, tutti provenienti dalle categorie inferiori. Come Sestili, Mari, Volpi, Garbuglia, Patregnani di Fano, Cherri, Laurenzi di Martinsicuro, Mecozzi di Grottammare, Traini. Prima di loro vi avevano militato, fra i tanti altri, Aldo Alessandri che induce alla fede rossoblù tutta la sua Cossignano, e il locale Gustavo Travaglini, che aveva conquistato la prima promozione in B, poi Matteucci di Ancona, e Rosati di Cupra Marittima. Negli anni successivi arriveranno Pierbattista di Ripatransone, fra i tanti a vestire, successivamente, anche la maglia dell’Ascoli, Di Francesco, Maurili, Di Fabio e Di Giannatale sempre dal Teramano. E ci scusiamo se ne dimentichiamo sicuramente qualcuno, perchè sono stati tantissimi.
Piero Pucci lo chiama alla Samb il mister, Alberto Eliani. Un eccelso scopritore di talenti, oltre che allenatore, con un fiuto quasi infallibile per i giovani più promettenti: da Tacconi a Chimenti li ha scovati e portati a San Benedetto, tutti lui. Recordman di presenze sulla panchina della Samb, si farà valere anche come osservatore e talent scout contribuendo ai successi della Samb fino al 1983. Il presidente della Samb è Domenico Roncarolo, ma molto vicino alla squadra è, come detto, il suo braccio destro, l’ingegner Alberto Gaetani, che ricopre anche incarichi in seno alla Lega.
«La Sambenedettese era una società molto seria – racconta Pucci – pagava poco, ma pagava sempre i nostri stipendi. La società non era ricca, ma era sana. L’entusiasmo era tanto, ma i mezzi economici erano ridotti. Ogni trasferta era un’avventura. Al ristorante se prendevi la minerale frizzante invece dell’acqua liscia, la differenza te la pagavi di tasca tua. Alla vigilia se si andava al cinema dove davano una prima visione, la maggiorazione per il film ce la pagavamo noi giocatori. Il segretario Giancarlo Tacconi spaccava sempre in due il centesimo e non concedeva mai deroghe alle disposizioni della società. Anche per contenere i costi la Samb reclutava i migliori giocatori in zona. E le altre squadre gli cedevano volentieri giovani da valorizzare in prestito perchè erano certi che qui avrebbero giocato con continuità. Pensava Eliani a sceglierli personalmente e a metterli in condizione di rendere al meglio in campo. Lui era moto bravo in questo. San Benedetto è stato un trampolino di lancio per tanti futuri campioni. Era poco più di un villaggio all’epoca, ma i tifosi ci adoravano».
Uomo derby Piero Pucci. Sempre a segno in quattro derby di campionato consecutivi in serie C, nelle stagioni 63/64 e 64/65. Probabilmente un record. Si commuove nel ricordare quei giorni: «Ho segnato quattro gol in quattro derby consecutivi, e altri due mi furono annullati, secondo me ingiustamente. Ricordo ancora le provocazioni di Mazzone che mi chiamava “nanetto” e minacciava di spezzarmi in due, ma questo mi caricava ancora di più. Anche da parte ascolana credo che la pressione dei tifosi fosse la stessa. Ricordo bene i vari Guzzo, Capelli, Tomassoni, Bigoni molto tesi in campo. Ma noi eravamo una spanna più forti, e quasi sempre si vinceva. Nonostante questo in Ascoli, quando mi è capitato di tornarci da spettatore, sono stato sempre accolto benissimo.
I nostri tifosi ci caricavano ancora di più durante la settimana precedente il derby, perchè per loro non era mai una partita come tutte le altre. Passavano al campo dopo gli allenamenti per offrirci una bevuta, o un aperitivo, e non smettevano mai di darci la carica. Venivano persino a trovarci nei ritiri prepartita. Una cosa favolosa per noi giocatori. E poi vorrei ricordare con affetto il nostro vecchio stadio “Ballarin”, con i suoi spogliatoi, che si allagavano puntualmente ogni volta che pioveva, ma che, pieno dei nostri tifosi la domenica, serviva a farci vincere le partite. Cinque anni ho giocato nella Sambenedettese. Sono stati cinque anni indimenticabili».
(continua)
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