di Maria Nerina Galiè
Nella lotta al Covid, il 2021 si è aperto con i vaccini. Il 2022 sarà quello dei farmaci, ancora «una svolta, soprattutto perché la cura si potrà fare a casa, tenendo i pazienti contagiati lontani dagli ospedali» è il commento del dottor Isidoro Mazzoni, direttore del Servizio Farmaceutico dell’Area Vasta 5, lo stesso che, carico di emozione e speranza, il 27 dicembre 2020 per primo ha preso la scatola contenente le prime 15 dosi di vaccino.
Ed è sempre lui a sottolineare: «I farmaci non servono a prevenire il Covid. La profilassi è efficace soltanto con il vaccino».
E la Sanità picena è pronta alla sfida.
«Il Remdesivir – spiega il dottor Mazzoni – già veniva utilizzato nei pazienti ospedalizzati in ossigenoterapia, ma non ancor intubati. Ora potrà essere somministrato a casa, per via endovenosa, una volta al giorno per tre giorni».
L’infusione sarà, probabilmente a cura dei medici delle Usca, «ma lunedì 3 gennaio decideremo la procedura», precisa il direttore dell Servizio Farmaceutico. Il Remdesivir è già disponibile in Area Vasta 5, mentre la compressa di Molnupiravir (nome commerciale Lagevrio) arriverà nelle Marche il 3 gennaio, dal 4 potrà iniziare la distribuzione ai pazienti, «nella dose di 800 milligrammi al giorni, suddivisi in 4 compresse, a 5 giorni dalla comparsa dei sintomi».
Sull’efficacia dei farmaci?
«Il Remdesivir ha prodotto buoni risultati. Sulla compressa, gli studi dicono che può ridurre del 30% le ospedalizzazioni. A breve arriverà un altro farmaco, da somministrare sempre per via orale e che sarà prodotto anche dallo stabilimento ascolano della Pfizer, il Paxlovid. Questo sembra che ridurrà la necessità di ricovero del 50%. Entrambi agiscono ostacolando la fase di replicazione del virus, una volta che questo si è introdotto nell’organismo. Pertanto si ritiene che siano efficaci contro tutte le varianti, mentre le terapie con anticorpi monoclonali, in qualche caso di variante, hanno fatto fatica ad agire».
I nuovi quindi andranno a soppiantare le terapie con anticorpi monoclonali?
«No, assolutamente. Saranno piuttosto un’arma in più, nella lotta al virus e alle varianti. Nell’Area Vasta 5 le monoclonali, grazie al grande lavoro dei dottori Vittorio D’Emilio e Giuseppina Petrelli, sono state somministrate in gran numero e con ottimi riscontri. Sono state fatte anche a vaccinati. Anche nei reparti ospedalieri, dalla Rianimazione ai reparti non intensivo per Covid, oltre a D’Emilio e alla Petrelli, tutti i medici, tra cui i dottori Riccardo Pela e Tiziana Principi, hanno utilizzato tutti i farmaci di volta in volta ritenuti validi per curare i pazienti. Non si sono risparmiati, riducendo il tasso di mortalità che nel Piceno è il più basso che nel resto delle Marche».
Dottor Mazzoni, a chi spetta prescrivere questi nuovi farmaci?
«Ai medici di medicina generale, delle Usca o di coloro che si troveranno a gestire il caso in ospedale. In ogni caso, sarà necessario attivare il registro Aifa, che guiderà anche il professionista nel definire l’appropriatezza della somministrazione. Il farmaco, che si somministra per via endovenosa, sarà rivolto ai pazienti più gravi, mentre la compressa a chi ha sintomi lievi, soprattutto nei pazienti a rischio di complicanze. Sarà il medico, in ogni caso, a stabilire la eventuale necessità».
La speranza nei vaccini, a distanza di un anno, è stata in parte vanificata per contrastare l’avanzata del Covornavirus?
«No, per nulla. Senza i vaccini – sono ancora le parole del dottor Mazzoni – e con tali numeri di contagiati, i ricoveri e i decessi sarebbero stati tantissimi. Le varianti hanno messo i bastoni tra le ruote, senza dubbio. Ma basti vedere l’ultima, la Omicron. Sembra più “buona”, ma non si può ancora affermare con certezza se sia per le sue caratteristiche o perché produce meno effetti gravi, proprio grazie ai vaccini».
Fiducia nella scienza, dunque, e nel vaccino per mettere fine alla pandemia che anche quest’anno, durante le festività natalizie, ha costretto gli italiani a ridimensionare le occasioni conviviali e di aggregazione.
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