di Maria Nerina Galiè
Esperienze ne ha fatte tante Gabriele Viviani, fotoreporter e artista ascolano, 56 anni, autore dell’esposizione che chiude il progetto “Cittadinanza Creativa – Talenti in bella mostra”, promossa dall’Amministrazione comunale di Ascoli nella Sala Cola dell’Amatrice, dal 22 novembre al 20 febbraio.
Ma l’ultima, senza dubbio, è quella che più lo ha segnato. Non abbattuto. E’ stato faccia a faccia con la morte, ma è proprio nella malattia che ha riconosciuto l’amore, la solidarietà e la speranza. «Grazie all’amore, sono tornato a rivedere le stelle. Ne ho ricevuto tanto ed ora voglio ricambiare», racconta davanti ai due dipinti che immortalano il momento del risveglio, dopo 40 giorni di coma, come spiegherà in seguito.
Seppure ancora in una sorta di precarietà – in attesa di un trapianto di cuore, gli è stato impiantato “artificiale” – Gabriele Viviani è diventato un paladino della vita che si cela anche dietro al dolore.
Cuori e paesaggi che emergono dai colori, i suoi temi. E gli abbracci, realizzati con linee continue: «Gli abbracci sono stati “follia” negli ultimi tempi, ma sono questi che tengono insieme un mondo “fragile”», dice il pittore. E non è un caso che li ha dipinti, «su fogli A4 che mi portavano, in pieno lockdown, mentre ero su un letto di ospedale».
«Non posso più viaggiare. Lo faccio con i colori: ciascun dipinto è il ricordo di un luogo che ho visitato». Ed ecco Istanbul, Gerusalemme, il Taj Maḥal (sotto la Fotogallery): «Raramente mi soffermavo davanti ad un monumento. Preferivo raccontare le persone. Eppure, davanti a questo simbolo di amore eterno, mi sono davvero emozionato». Non poteva mancare un omaggio alla sua Ascoli.
Poi c’è il cuore con le ali ed una scritta molto piccola, “Tu sei qui”, con una freccia che rimanda ad un punto preciso, in alto a sinistra. Ed anche in questo caso c’è un pezzo di storia di Gabriele Viviani: «Dopo un viaggio, ma lo faccio ancora, ero solito prendere l’atlante e rivedere il posto dove ero stato. Poi mi sono reso conto che non viaggiavo intorno alla terra ma all’interno di un grande cuore. Le ali rappresentano il partire per poi tornare a casa, simbolicamente il punto dove nasce il battito cardiaco, come mi hanno spiegato, tecnicamente, i medici».
Gabriele Viviani si è diplomato all’Istituto d’Arte (ora Liceo Artistico) “Licini” di Ascoli, dove si è specializzato anche in fotografia artistica. Il suo talento è stato apprezzato da numerose case editrici nazionali e dalla Rai, tanto che a 20 anni è andato a Roma, dove ha intrapreso una brillante carriera, narrando attraverso l’obiettivo di paesaggi mozzafiato ma anche di guerre, distruzione e povertà. Per tanto tempo ha anche accompagnato il papa Giovanni Paolo II. Dopo la morte del Papa polacco, nel 2005, Viviani è tornato a vivere ad Ascoli, da dove però era sempre pronto ad imbarcarsi su un aereo, macchina fotografica a tracolla, per rincorrere storie lontane.
A fermarlo, nel 2010 mentre si trovava su un aereo diretto a Timbuctù, un’ischemia, sentinella di problemi ulteriori. Si salva e «la vita ad Ascoli mi ha aiutato, qui è tutto più semplice rispetto a Roma. A volte penso che non sia stato un caso decidere, 5 anni prima, di tornare a vivere nella mia città».
Passano gli anni ma il cuore di Gabriele Viviani è provato. La situazione peggiora proprio durante il lockdown, per un edema polmonare. E’ costretto a mesi di ricovero, tra Ascoli ed il Sant’Orsola di Bologna, senza poter ricevere visite, in totale isolamento mentre in tanti intorno a lui morivano per colpa del Covid.
Inappellabile la sentenza dei medici, tra loro il professor Nazzareno Galiè, di Castel di Lama, direttore dell’Istituto Universitario di Cardiologia del Sant’Orsola, tra i massimi esperti in campo di ipertensione polmonare. «Gira il mondo per convegni. Durante la pandemia era a Bologna ed ha potuto dedicarmi del tempo. Solo il sapere che è ascolano mi ha dato gioia e serenità. Figure pure molto importanti per me sono state, e lo sono ancora, tutto il team del Centro Trapianti di Bologna, il responsabile, il dottor Luciano Potena, il cardiochirurgo dottor Antonio Loforte, i colleghi Sofia Suarez, Marco Masetti e Antonio Russo. Ringrazio anche il dottor Procolo Marchese del “Mazzoni” di Ascoli, che mi ha dato la prima assistenza».
Ma il cuore nuovo non arrivava e Viviani stava sempre peggio. «Non potevo più aspettare e l’emergenza sanitaria non lasciava adito a molte speranze. Quindi hanno deciso di impiantarmi un cuore artificiale, il Vad Cardiologico, di cui poi ho disegnato il logo per l’Università di Bologna».
L’intervento, il 4 giugno del 2020, è perfettamente riuscito, però il paziente non si svegliava.
«Sono rimasto in coma per 40 giorni. Stavo benissimo a livello di parametri vitali. Ma non riuscivo a riapreire gli occhi. Pensando che non mi sarei ripreso, o almeno non del tutto, i sanitari hanno chiamato i miei familiari».
Nello stesso giorno, il miracolo della vita che ha vinto ancora una volta.
«Mi sono svegliato improvvisamente. Il primo ricordo, un bacio bagnato: era la dottoressa che piangeva. Mi ha chiesto: “Gabriele sai chi sono?”. Con le dita ho rappresentato il suo nome sul lenzuolo. E lei ha urlato di gioia: “Gabriele c’è, è tornato con noi, fate entrare i familiari. E’ stato un momento… bellissimo».
Gabriele Viviani è rimasto mesi in ospedale, ha dovuto fare una lunga riabilitazione ed un altro intervento, alle corde vocali rimaste lesionate dalla tracheotomia. «Faccio fatica a parlare, ma non me ne preoccupo», afferma. Anzi sorride trovandosi d’accordo con le parole dei medici: «Meglio non poter parlare che non riuscire a respirare».
Non sono molte le cose che Gabriele Viviani può fare, in attesa dell’intervento: «Devo essere sempre pronto. La chiamata potrebbe arrivare da un momento all’altro. Inoltre, devo sottopormi a continui controlli perché devo essere in buona salute. Altrimenti niente operazione se dovesse arrivare un cuore per me». Ma riprendere in mano il pennello, per dare sfogo alla sua passione, forte del talento naturale e degli anni di formazione, è tra le sue possibilità. E lo ha utilizzato, per trasmettere sentimenti e condividere, insieme con il mondo che ha più volte immortalato, il coraggioso viaggio che lo porterà fuori dal tunnel della malattia.
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