di Claudio Maria Maffei
(medico e dirigente sanitario in pensione)
La nostra Sanità marchigiana, al pari di quella di tutte le altre Regioni, sta passando un periodo difficilissimo e sono ovviamente i cittadini i primi a pagarne le conseguenze. Già non eravamo messi particolarmente bene, ma negli ultimi due anni tra il covid prima e la crisi dei Servizi di Pronto Soccorso e le liste di attesa interminabili adesso la situazione è decisamente peggiorata.
Di fronte a questi problemi l’attenzione di tutti è rivolta quasi esclusivamente all’ospedale e alla medicina specialistica. Per una volta concentriamoci invece su quella rete di operatori che in modo capillare copre tutto il nostro territorio e che è il nostro primo riferimento quando abbiamo un problema di salute: il medico di medicina generale, o medico di famiglia o anche medico di fiducia. In pratica il “nostro” medico.
Oggi se si ha bisogno di un esame o di una visita per averla in tempo utile spesso ci si rivolge al Pronto Soccorso. E se invece questi casi venissero gestiti con un maggiore coinvolgimento e quindi un maggior filtro dai “nostri” medici di famiglia? Sono loro a conoscere tutta la nostra storia di salute e quindi chi meglio di loro potrebbe anticipare i nostri problemi di salute e molto spesso risolverli?
Ce ne sono tanti di medici di famiglia che cercano di lavorare con questo spirito, ma un esempio specifico lo voglio dare. Si tratta di un medico di medicina generale di Arquata del Tronto, Italo Paolini. Questo medico alcuni anni fa venne nominato “il medico del terremoto” dal giornale nazionale della Previdenza dei medici per la iniziativa che prese in occasione del terribile terremoto che colpì nel 2016 la sua comunità: allestì subito in un container un ambulatorio. Questa attività venne prima trasferita in un prefabbricato donato dalla Associazione Cuamm per l’Africa e poi è diventata parte della attività più ampia del centro socio-sanitario “Assieme” (Assistenza Socio-Sanitaria Integrata per Evoluzione e Miglioramento dell’Erogazione dei Servizi di Cure Primarie) di Borgo d’Arquata pure nato con il contributo di tanti.
In tutti questi posti si è lavorato sempre secondo lo stile del dottor Paolini: il medico di famiglia quando serve visita, fa lui stesso alcuni esami diagnostici di base (ad esempio di tipo ecografico) e si collega direttamente con gli specialisti grazie alla telemedicina (ad esempio per i comunissimi problemi cardiologici e dermatologici). E soprattutto non lavora da solo: nel “suo” poliambulatorio dove ha il suo studio Italo lavora con la collaborazione di altri specialisti come pediatri e ginecologi, ma soprattutto con la collaborazione in specifici giorni di un infermiere. Diventa così possibile fare in ambulatorio la spirometria, la densitometria calcaneare, l’elettrocardiogramma per la telemedicina e la valutazione di soggetti a rischio di malattia cardiovascolare con l’indice ABI. Tutte attività che richiedono la collaborazione dell’infermiere.
In fondo è questa la idea alla base delle cosiddette Case della Comunità finanziate coi fondi del Pnrr: una assistenza sociosanitaria di base erogata da equipe multi specialistiche che grazie anche alla telemedicina anticipa e filtra i problemi prima che ingrossino le liste di attesa e affollino i Servizi di Pronto Soccorso. Perché questa e altre analoghe esperienze non rimangano isolate occorre però credere nella possibilità di una “nuova” medicina di famiglia, sburocratizzata e sostenuta da investimenti sia di personale che di tecnologia. Si può, come l’esperienza del dottor Paolini dimostra.
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