di Maria Nerina Galiè
Un boato improvviso che però non finiva mai. Poi il silenzio, per pochi secondi di terrore e sbigottimento, squarciato dalle urla, subito dopo e fino a che non sono state sovrastate dalle sirene dei soccorritori.
Il dolore era in agguato. E’ spuntato dalle macerie, sotto le quali erano intrappolate centinaia di persone. Di queste, 52 non ce l’hanno fatta ad Arquata. Ma lì per lì non si sapeva. La consapevolezza della tremenda catastrofe che si era abbattuta sul bel borgo montano è arrivata a poco a poco.
Tra chi non potrà mai dimenticare quella notte del 24 agosto di 6 anni fa, c’è il dottor Italo Paolini, medico di famiglia di Arquata. Fin dalle prime ore si è messo a disposizione non solo dei suoi assisiti, ma di tutti coloro che ne avevano bisogno. Restando al suo posto, o spostandosi laddove l’esigenza lo richiedeva, è riuscito a mantenere un perno intorno al quale la vita, pian piano, è ricominciata, per chi è rimasto e per chi, se alla ricostruzione si affiancherà il mantenimento dei servizi primari, deciderà di tornare.
Il dottor Paolini, alle 3,36 del 24 agosto 2016, era a casa con la moglie ed una delle figlie, a Borgo di Arquata. E’ uscito fuori, come tutti quelli che hanno potuto e per prima cosa – pure come tutti – si è attaccato al telefono per avere notizie dei familiari più stretti.
«Stavano bene per fortuna – racconta il medico – ma per uscire dal centro di Arquata, dove abitava anche mia suocera, dovevano scendere da un dirupo perché la strada era bloccata. Per fortuna nel frattempo sono arrivati i Vigili del fuoco e li hanno aiutati. I soccorsi sono stati tempestivi».
Le prime fasi erano di disorientamento, paura che lasciavano posto alla disperazione intanto che arrivavano notizie di morti e feriti. Ma per al professionista non è mancata la razionalità.
«Ho preso il nostro camper, parcheggiato davanti casa e sono andato al campo sportivo, che è subito diventato un punto di raccolta per i cittadini, poi di primo soccorso».
E lì il medico è rimasto per mesi a prestare assistenza.
«Fin da subito, nell’emergenza, si è presentato un problema che conoscevo dopo l’esperienza del terremoto dell’Aquila, nel 2009, dove sono andato come volontario: molti anziani sono scappati dalla loro abitazione lasciando i farmaci da cui erano cronicamente dipendenti. Era necessario farglieli riavere nel più breve tempo possibile. Avevo con me il portatile con la storia di tutti i pazienti e, prima dentro al tendone accanto al punto di primo soccorso, poi nel container, ho iniziato a prescrivere quanto necessario».
Nel container, realizzato pochi giorni dopo, il dottor Paolini aveva collocato la strumentazione di cui disponeva nel suo studio privato, dall’ecografo all’elettrocardiografo, passando per il dermatoscopio ed altri macchinari per fare diagnosi immediate. E’ stato un pioniere si potrebbe definire, riuscendo ad assistere i pazienti anche nel luogo più devastato dal terremoto. Ma anche dopo, con il Covid che impediva le visite, la telemedicina – rivelatasi indispensabile – per il dottor Paolini ed i suoi pazienti era già una modalità efficace e consolidata.
«C’è da dire – sottolinea il professionista – che la macchina della Sanità non si è mai fermata, nemmeno nelle prime fasi, grazie all’impegno degli operatori, delle strutture regionali come l’Inrca di Ancona, dell’ospedale di Ascoli e della direttrice del nostro Distretto Sanitario, la dottoressa Giovanna Picciotti. Non mi sono mai sentito abbandonato. Ci hanno sostenuto in tutti i modi e dato ogni cosa di cui c’era bisogno. E devo ringraziare anche i numerosi colleghi che venivano a darmi il cambio, come volontari: sono arrivati da tutte le Marche, dall’Umbria, dall’Abruzzo. Ma anche da Ascoli, come il dermatologo Sergio Panichi e gli infermieri. E la mia segretaria Elisabetta Orsini».
Nel dramma, l’ambulatorio provvisorio del medico di famiglia era – si può dire – l’unica fonte di normalità, dove i cittadini, per lo più anziani, trovavano sempre l’assistenza necessaria insieme con il conforto.
«Man mano che i residenti iniziavano a trovare posto nei tendoni, a Spelonga, Pretare, Borgo, successivamente sostituiti dalle Sae, mi spostavo per fornire assistenza domiciliare. Tutto come prima, nei limiti del possibile».
Un bel ricordo, nei limiti del possibile?
«E’ stata un’emozione ogni volta che rivedevo uno dei miei amici o assistiti. Alcuni li ho persi, per la scossa, altri piangevano familiari. Ma rivedersi, stringersi le mani, è stato motivo di gioia e speranza».
Fino al 30 ottobre, quando la scossa ancora più forte ha reso Arquata un paese fantasma: vuoto.
«Non potrò mai dimenticare i cittadini, molti piuttosto avanti con l’età, con i bagagli in mano salire sui pullman che li portavano negli hotel della costa. Li ho ancora tutti davanti agli occhi».
E nemmeno in quell’occasione li ha abbandonati, lui – il dottor Paolini – pure costretto a lasciare Arquata e la sua casa diventata inagibile e dove non è ancora riuscito a tornare.
«Ogni settimana facevo il giro dei pazienti, dislocati in varie località costiere, insieme con i colleghi che si erano resi disponibili. In questo modo ho anche organizzato le campagne vaccinali. Il dottor Enea Spinozzi, in particolare, anch’egli medico di medicina generale, mi aveva messo a disposizione il suo studio».
Da dopo il sisma, gli occhi di chi è al timone delle istituzioni sono puntati su Arquata, dove nel frattempo molti residenti sono tornati, pochissimi nelle loro case, i più nelle Sae.
«Ci sono circa 650 abitanti adesso – afferma il dottor Paolini – e grazie alle donazioni di tante organizzazioni private, ma anche della disponibilità della parte pubblica nel fornire strumentazioni e personale, possiamo offrire loro un Poliambulatorio in grado di fornire, gratuitamente, ogni tipo di assistenza».
La normalità è ancora lontana, però, e deve necessariamente passare per la ricostruzione. Anche qui il medico di famiglia di Arquata è in prima linea.
«Passeranno dai 7 ai 10 anni prima che tutto tornerà come prima. Penso ai tempi dei lavori nelle zone perimetrate. Nel frattempo però – almeno per i prossimi 5 anni – dovremo stringere i denti per non rischiare di diventare soltanto una località turistica e di vacanza. Parlo del mantenimento dei servizi primari, come la Sanità, la scuola (no alla pluriclasse ribadisce il medico, ndr) ed i trasporti, anche se ancora siamo in pochi».
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