di Gabriele Vecchioni
Abbiamo visto, in precedenti articoli, che la Montagna dei Fiori (come altre montagne del vicino Abruzzo) è stata, per secoli, un luogo di ricerca spirituale, dove eremiti e monaci hanno sviluppato il loro percorso ascetico. Segni di questa ricerca del soprannaturale sono i resti degli eremi e dei luoghi sacri che ancora costellano il rilievo, oltre a diversi toponimi. In questo articolo saranno approfonditi i temi che hanno portato tanti personaggi a vivere una vita di privazioni, per la salvezza di sé stessi e del mondo, lasciando memoria della loro presenza in un contesto ambientale difficile.
LA SACRALITA’ DELLA MONTAGNA
Quando si parla di cercatori di Dio, si pensa alla montagna come luogo dell’incontro inatteso: è qui che la persona trova più facilmente l’isolamento e il silenzio per la sua ricerca; la montagna è stata considerata, fin dai tempi remoti, simbolo della trascendenza, luogo di transizione tra il mondo terreno e l’inconoscibile. Sergio Ribichini, ne La montagna cosmica (1992), ha scritto che «La sacralità della montagna trova giustificazione anche nella concezione di un cosmo organizzato in livelli ascendenti e comunicanti (cielo, terra, inferi) che considera i luoghi elevati come le sedi più prossime al contatto col sovrumano».
L’ “immagine” simbolica della montagna come luogo di incontro del cielo con la terra (quasi una ierogamia) si trova in tutte le religioni e, nelle regioni dove non c’erano, furono costruiti rilievi artificiali (come gli ziqqurat mesopotamici o le piramidi).
Enzo Bianchi fondatore ed ex-priore della Comunità monastica di Bose-Biella, chiarisce, in poche righe, il concetto. In Montagna sacra (2010) scrive infatti che «In ogni tempo e in tutte le tradizioni religiose e spirituali, la “montagna” – a prescindere dalla sua altezza effettiva – ha costituito un rimando simbolico alla dimensione del sacro. E non potrebbe essere altrimenti, se si considera che il rilievo montuoso mette in connessione fisica e visiva i due elementi sacrali per eccellenza: la terra – la grande madre, il grembo di vita e di tutti – e il cielo, quella volta abitata dagli astri che comunica all’essere umano la percezione della trascendenza e dell’immortalità».
La sacralizzazione di un luogo dedicato (appartenente) alla divinità avviene con la separazione dall’uso quotidiano: con l’attribuzione di valori simbolici, esso viene sottratto alla dimensione profana. Il consolidamento del rapporto col sacro si compie, poi, con il rito che attribuisce gli spazi religiosi, trasformandoli simbolicamente in valori cosmici. Nello spazio sacro c’è la relazione con il sovrumano: la sacralizzazione di un luogo porta alla sua frequentazione da parte dei fedeli, al pellegrinaggio e alla ricerca del miracoloso (negli antichi santuari di Asclepio come nella più recente grotta di Lourdes: i pellegrinaggi non sono nati con il cristianesimo ma erano effettuati anche dai pagani).
I SEGNI DEL SACRO
Le vette dei monti, per la loro stessa altezza, la difficoltà della “conquista” (metafora del difficile cammino di ricerca) e l’aura di mistero che le circonda, hanno assunto, fin dai tempi antichi, la peculiarità di essere la sede stessa della divinità o la “via” per arrivarci. Già i greci pagani ponevano la dimora di Zeus e delle altre divinità sul Monte Olimpo. Le religioni abramitiche (l’Ebraismo, il Cristianesimo e l’Islam) sviluppano il tema dell’ascesa e definiscono la montagna come luogo dell’incontro con Dio: Mosè riceve le Tavole della Legge sul Monte della Rivelazione (il Sinai); nel Cristianesimo, la collina del Calvario vede il sacrificio di Gesù Cristo e sulla cima del Monte Tabor ha luogo il mistero cristologico della Trasfigurazione; i musulmani compiono riti di purificazione su un’altura vicino alla Mecca, il Monte della Misericordia.
Qualche anno fa, Edoardo Micati autore di numerosi lavori sulla montagna abruzzese, tra i quali La montagna e il sacro, scrisse che «la montagna non è sacra nella sua interezza ma in ogni singolo aspetto naturale: dalla grotta al ruscello, dal bosco alle rupi, ogni angolo può essere sede del sacro. Il devoto non si limita a considerare sacro il santuario ma è portato ad allargare l’area del sacro interpretando alcuni aspetti della natura circostante come segni della divinità».
L’intima associazione della montagna con il sacro ha portato all’edificazione di cappelle o alla posa di segni distintivi (croci, statue, lapidi, altari…) sulle sommità dei monti e non solo: ci sono quindi grotte santificate dalla presenza di eremiti e trasformate in luoghi sacri con l’erezione di altari, rocce testimoni di prodigi, toponimi dedicati a divinità o derivati da presenze monastiche, croci e edicole religiose.
IL MONACHESIMO E IL FENOMENO EREMITICO
Il monachesimo è un fenomeno che vede individui allontanarsi dalla società, rinunciando agli interessi terreni, per realizzare nel modo più pieno le norme della fede, in vita solitaria o in comunità.
Fin dai tempi di San Benedetto da Norcia (V sec.), “fondatore” del monachesimo occidentale, è stata fondamentale la scelta dei luoghi in cui dar vita a insediamenti anacoretici. Oltre alla suggestione di certi siti, occorre tener conto delle valenze simboliche di luoghi quali il deserto, la foresta, la grotta… L’eremita cercava i deserta – i luoghi non abitati – per poter meditare e pregare senza essere disturbato.
Pur se isolati, dopo la disgregazione dell’Impero Romano i monasteri diventarono presìdi di civiltà, punti di riferimento fondamentali per la società civile; i monaci furono gli iniziatori della civiltà medioevale: per questo San Benedetto da Norcia è stato nominato patrono d’Europa.
Nell’Età di Mezzo, il territorio ascolano fu investito, come altri dell’Italia centrale, da forme di misticismo e di religiosità spontanea, prolungate nel tempo e delle quali sono presenti ancora le tracce: oltre al fenomeno eremitico della Montagna dei Fiori, sul Monte dell’Ascensione predicò Meco del Sacco, sui Monti Sibillini e nell’Arquatano, i Clareni (erano i fraticelli de pauperae vitae, seguaci di Angelo Clareno da Cingoli).
La Montagna dei Fiori, per l’asprezza e l’isolamento delle sue valli, la presenza di cavità “nascoste” dai boschi, è stata, nell’Alto Medioevo, lo scenario di un intenso movimento eremitico, un fenomeno di origine orientale, molte volte connesso a forme di misticismo esasperato. Agli eremi della Montagna dei Fiori, alcuni dei quali con strutture somiglianti agli eremi magellensi (la Majella fu definita da Francesco Petrarca Domus Dei – la Casa di Dio – proprio per la presenza di tanti anacoreti) sono stati dedicati due articoli, ai quali si rimanda (leggi qui e leggi qui).
LE CROCI DI VETTA
A questo punto, un approfondimento sulle “croci di vetta”; simboli religiosi ben visibili da chi raggiunga la sommità di una delle nostre montagne, le croci sono poste sulla punta (o in prossimità) di diversi rilievi. «La cima è sacra, un tempio naturale. È il limite in cui la terra sfiora il cielo. Ogni vetta è esattamente il centro del mondo: la punta del compasso per il cerchio dell’orizzonte (F. Boer, 2021)».
Quella di collocare immagini o simboli sacri sulle cime o vicino a luoghi di passo è una pratica antica, citata anche nella Bibbia, dove viene criticata l’usanza di collocare idoli pagani. Le croci di valico o di vetta cominciano ad apparire nel sec. XII e, col tempo, diventano sempre più vistose, fatto che ha portato, ultimamente, a dibattiti e polemiche. Annibale Salsa, antropologo e Past President del CAI nazionale, ha analizzato la situazione per l’ambiente alpino; sono considerazioni valide, però, anche per le nostre località appenniniche: «… le croci disseminate nella media montagna coltivata fanno parte integrante del paesaggio culturale fino ai nostri giorni. Viceversa, le croci sulle vette sono il portato della frequentazione cittadina della montagna iniziata con l’affermarsi del turismo. Al seguito di tale fenomeno anche le comunità valligiane, su iniziativa dei parroci e delle associazioni religiose popolari (confraternite), avvieranno la pratica di santificazione delle vette mediante il segno materiale per eccellenza della fede, la croce di vetta».
Sulle montagne intorno ad Ascoli sono diverse le “croci di vetta” che, spesso, subiscono danneggiamenti per il vento e per la neve e devono essere restaurate o sostituite: ce ne sono sulla Montagna dei Fiori, sull’Ascensione, sul Vettore. In realtà, sul Vettore la croce non c’è più, dopo il terremoto del 2016: al suo posto, l’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia ha sistemato un sistema di rilevamento sismico.
LA CROCE DEL VETTORE
L’interessante storia della croce di ferro del Vettore è stata raccontata da Franco Laganà, Past President della sezione ascolana del CAI, in un articolo su Vita Picena (marzo 2022).
In occasione del Giubileo del 1900, Papa Leone XIII (il pontefice dell’enciclica Rerum novarum) invitò a sistemare sulla cima di venti montagne italiane, per festeggiare i 20 secoli della nascita del Redentore, altrettante croci metalliche o monumenti votivi, realizzati grazie a donazioni dei fedeli. Per la “nostra” zona (identificata sulla mappa allegata con il numero IX) fu scelta la cima del Vettore, il monte più altro della regione Marche.
Scrive Laganà che «Vista la loro collocazione in quota molte di loro andarono in rovina a causa di fulmini e raffiche di vento. Alcune però, dopo 120 anni, sono ancora in piedi a ricordarci l’evento […] Tra i monumenti caduti c’è la Croce del Vettore».
L’ “Omaggio al Divin Redentore” sui Sibillini fu realizzato nel settembre 1902. Il manufatto, alto 19 metri e pesante 800 chilogrammi, si ergeva su un basamento (una cappellina) alto 5 m ma… «Erano passati pochi giorni e, a causa dei forti venti, il 12 ottobre il traliccio della croce cadde a terra in un unico pezzo».
Ricostruita qualche anno dopo, non ebbe miglior fortuna; l’ultima, moderna e molto più bassa, è stata, anch’essa, contorta e divelta dai forti venti per i quali i Sibillini sono famosi.
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