di Luca Capponi
Come tutte le zone di confine, paga un’inevitabile scotto. Ed un cartello ammalorato, che a malapena lascia intravedere l’indicazione, simboleggia al meglio la situazione. “Limite di provincia”, c’è scritto. Ascoli da una parte, Teramo dall’altra. Sebbene Colle San Giacomo risulti ufficialmente frazione del comune di Valle Castellana, e quindi Abruzzo.
Ma qui, ad oltre 1.000 metri di altitudine, passa una linea che divide la zona non solo a livello geografico e amministrativo. Da una parte la voglia di rilanciarsi, dall’altra una trascuratezza decennale che inevitabilmente produce effetti. Da una parte i fondi (da Cis e Pnrr) che serviranno per riqualificare gli impianti sciistici, dall’altra la mancanza di soldi persino per tappare i “crateri” che si formano su Piazzale Luigi Ferri. Da una parte il boom di presenze nei weekend invernali di apertura degli stessi impianti, dall’altra la desolazione estiva, quando qui non bazzica anima viva nonostante il fresco e panorami spettacolari con vista a 360 gradi fino al Mare Adriatico e al Monte Conero. E la lista potrebbe continuare.
È la fotografia di un sabato di luglio. Qualche biker, camminatori sporadici, un paio di gruppi a banchettare all’ombra dei locali aperti e poco altro. Eppure siamo nel fine settimana, nel periodo teoricamente più propenso per visitatori e turisti. Sintomo che forse qualcosa non va. Anche perché si tratta di una delle mete più amate da chi qui vicino ci vive, ascolani in particolare. L’accesso alla mitica Montagna dei Fiori. Una meta che avrebbe tutte le carte in regola per decollare e che invece dà l’impressione di essere ferma al palo. Lontana in maniera siderale dagli albori degli anni ’60-’70-’80, quando la seggiovia per raggiungere Monte Piselli, ad esempio, funzionava stabilmente anche durante la bella stagione. O quando la manutenzione dei luoghi era all’ordine del giorno.
Oggi invece si viaggia a fasi alterne. La cura di alcuni prati o con cui sono tenuti i giochi per i bimbi stride coi rifiuti abbandonati qua e là, alcuni dei quali in loco ormai da settimane, nell’apparente indifferenza di chi dovrebbe occuparsi di porre limite all’inciviltà delle persone. La nuova cartellonistica fa a pugni con alcune insegne arrugginite, risalenti ad almeno trent’anni fa.
Eppure qui, nel Parco Nazionale dei Monti della Laga, il potenziale ci sarebbe. Dalle decine di sentieri di media e lunga percorrenza, tutti con la loro peculiarità (come quelli battuti dai partigiani durante la Seconda Guerra mondiale) alle testimonianze storiche delle “caciare” (capanne in pietra a secco costruite dai pastori dell’Appennino), del cippo confinario datato 1847 o delle neviere, dai percorsi per chi ama la mountain bike o la corsa in montagna fino alla vicine vette del Monte Girella (1.814 metri) e dello stesso Monte Piselli. Solo per citarne alcune.
Diciamo pure che in altri posti d’Italia con un patrimonio del genere si vivrebbe quasi solo di turismo. E invece qui si latita già dalla sentieristica, per dirne una. Aggiungiamo che da altre parti sono andati avanti, qui invece tutto sembra cristallizzato e fermo da decenni. Un vero peccato non impiegare al meglio tali possibilità e non valorizzarne i punti di forza. Anche perchè di modi per farlo ce ne sarebbero molti. A prescindere da confini, competenze e tutto quanto è stato motivo di questa specie di immobilismo. Basta vedere, altro esempio, quanto di buono è stato fatto ad Acquasanta Terme col progetto delle mulattiere (leggi qui).
Due anni fa a San Giacomo arrivò una bellissima tappa del Giro d’Italia, nel 2018 invece passò un piacevole appuntamento nell’ambito del festival RisorgiMarche, un concerto tra i prati con Neri Marcorè; eventi sporadici, che hanno messo in mostra quanto questo comprensorio possa offrire in termini di fruibilità. Poi però le luci si sono spente. E tutto è mestamente tornato come prima.
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