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Meno nascite nelle Marche, ma nel Piceno “l’inverno demografico” è meno “rigido”

REPORT - Il Centro Studi Uil regionale analizza i dati del Ministero della Salute. Nel 2022, le nascite sono state 8.779 (443 in meno rispetto al 2021), con un calo del 4,8% su base annua: molto più alto della media nazionale (- 1,9%). Alla base, secondo il sindacato, ci sono disoccupazione, lavoro precario e alti costi dei servizi legati all'infanzia
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«Disoccupazione, lavoro precario e pochi servizi portano l’inverno demografico marchigiano a essere più “rigido” della media italiana».

 

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È quanto afferma il Centro Studi della Uil Marche nell’analizzare i dati del “Rapporto sull’evento nascita in Italia” del Ministero della Salute.

 

Nel 2022, nelle Marche le nascite sono state 8.779 (443 in meno rispetto al 2021), con un calo (4,8% su base annua) molto più sostenuto della media italiana, che si attesta sul -1,9%, con 392.598 nascite, 7.651 in meno rispetto al 2021.

 

Tutte le province vedono un significativo calo della natalità nel 2022: Ancona passa da 2834 a 2640 nati con 194 nati in meno, Macerata passa da 2007 a 1849 con 158 nati in meno. Segue Pesaro Urbino, che passa da 2182 a 2122 con un calo di 60 nati. Fermo  va da 997 a 979.

Situazione meno critica per il Piceno, che passa da 1202 a 1189 nati: solo 13 nascite in meno rispetto all’anno precedente.

 

Nelle Marche l’indice di fecondità è molto basso (1,16%), con una media di 1,16 figli per donna.

 

Ma chi sono le mamme marchigiane?

 

Circa il 65,16% sono italiane mentre il 30% sono straniere (per la maggior parte africane, 6,03%, o asiatiche, 4,85%).

Aumenta l’età media delle madri al primo figlio, che nelle Marche nel 2022 è di 32,1 anni per le italiane mentre scende a 29 anni per le cittadine straniere. Le donne che decidono di avere un figlio hanno una scolarità medio alta: delle donne che hanno partorito nell’anno 2022 il 42,5% ha una scolarità medio alta, il 22,7% medio bassa ed il 34,8% ha conseguito la laurea.

 

L’analisi della condizione professionale evidenzia che il 58,6% delle madri ha un’occupazione lavorativa, il 24,7% sono casalinghe ed il 14,5% sono disoccupate o in cerca di prima occupazione. La condizione professionale delle straniere che hanno partorito nel 2022 è per il 50,4% quella di casalinga.

«A nostro avviso – spiega Claudia Mazzucchelli, segretaria generale della Uil Marche – c’è un problema di fondo legato all’assenza di servizi per la genitorialità, agli alti costi di quelli dedicati all’infanzia, spesso inaccessibili e, nelle Marche, tra i più alti d’Italia. In più l’estrema precarizzazione del lavoro resta il primo degli ostacoli perché impedisce di programmare il proprio futuro».

 

In base ai dati forniti dall’Istat, nel II trimestre 2022 nella nostra regione si registrano 167.000 donne inattive di cui 20.000 potenzialmente occupabili. Tra queste ultime, il 79,5%, cioè una platea di 16.000 unità, sarebbe disponibile a lavorare ma non lavora per motivi familiari (cura di figli o adulti non autosufficienti, maternità, nascita di un figlio).

Un aspetto ulteriormente evidenziato dall’Ispettorato Nazionale del Lavoro che ha riscontrato dimissioni volontarie e risoluzioni contrattuali in occasione della nascita di un figlio per il 65,5% delle donne e per il 6% degli uomini.

 

«Di queste – conclude la segretaria Mazzucchelli – il 44% riporta difficoltà connesse alla scarsità di servizi e il 22% problemi che riguardano l’azienda e l’organizzazione del lavoro.

A dire che esiste una correlazione tra natalità e politiche per la parità di genere sul lavoro e di servizi alla genitorialità lo dicono i dati.

L’Inps ha messo in risalto come siano 22 su 27 i Paesi in cui le donne con 3 figli hanno tassi di occupazione superiori a quelle italiane con un solo figlio.

L’esempio più forte è la Francia, il paese europeo che fa più figli, che destina il 3% del Pil alle politiche per la famiglia.

È urgente – sono ancora le riflessioni di Mazzucchelli – definire un piano regionale che favorisca la piena e buona occupazione, in particolare per le donne, che devono avere un lavoro stabile e servizi pubblici adeguati per la cura dei figli e percorsi di formazione che le consentano di tornare al lavoro.

Va ripensata l’organizzazione del lavoro attraverso una riduzione e redistribuzione degli orari lavorativi e garantendo accesso pubblico e gratuito a servizi e strutture.

Fondamentale anche, per un sempre maggiore coinvolgimento dei padri nella vita e nella cura dei figli, che le politiche di conciliazione promuovano sempre di più l’utilizzo dei congedi parentali e di paternità, oltre ad aumentarne la durata».

 

 


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