di Maria Nerina Galiè
Mettersi in gioco per essere al passo con la continua innovazione nelle cure, credere nel lavoro di squadra e nella necessità di mettere il paziente al centro: c’è tutto nell’accreditamento ottenuto dall’Ast Ascoli, che ora può eseguire la terapia con cellule “Car T”, su pazienti affetti da determinate neoplasie del sangue.
C’è già stato un primo paziente, trattato lo scorso 20 novembre. Era affetto da linfoma e due percorsi terapeutici non aveva dato il risultato sperato. Ora è a casa e sta bene.
«Non si tratta, infatti – ha detto la dg Nicoletta Natalini, che oggi 14 dicembre, ha ufficializzato l’accreditamento ottenuto dalla Sanità picena, coordinando i vari interventi – di una terapia di prima linea. Nel paziente è stata di terza. In futuro sarà di seconda linea, per inefficacia di altre cure o per il ripresentarsi della malattia».
Il Piceno è il secondo centro nelle Marche, dopo Ancona, a poter offrire questo tipo di cura.
L’accreditamento è arrivato dopo un lungo percorso che ha coinvolto diverse unità operative del presidio unico ospedaliero piceno. «E lo voglio sottolineare – sono state le parole del direttore Giancarlo Viviani – avendo fatto da “facilitatore” nel portare avanti il progetto, con numerose riunioni d’equipe volte a garantire sicurezza nella cura e nelle procedure».
Il traguardo, raggiunto dall’Unità operativa di Ematologia e Terapia cellulare di Ast Ascoli, diretta dal Piero Galieni, «è stato frutto di un lavoro corale – ha spiegato Maria Bernadette Di Sciascio, direttore sanitario – e del quale sono state riconosciute le competenze, attuali e con potenzialità di sviluppo».
«Il trattamento – così è entrato nel merito il dottor Galieni, delineando anche il compito delle varie unità operative – prevede che i linfociti del paziente vengano prelevati mediante aferesi dal Centro Trasfusionale ed inviati ad un laboratorio specializzato di una ditta farmaceutica, dove vengono ingegnerizzati per potersi legare mediante specifici recettori (Car) a strutture presenti sulle cellule tumorali (antigeni) e distruggerle.
Prima di essere restituite al laboratorio farmaceutico all’Ast, congelate per mantenerle fino alla loro infusione al paziente con la trasfusione, le cellule Car vengono moltiplicate in laboratorio per ottenere milioni di cellule modificate.
Le cellule Car modificate possono in tal modo agganciarsi all’antigene specifico presente sulle cellule tumorali, distruggendole. Questa terapia – continua il dottor Galieni – può essere utilizzata su un numero limitato di pazienti affetti da neoplasie dell’apparato linfatico (linfomi, leucemia acuta linfoide) che, purtroppo, hanno una ripresa di malattia a breve distanza dopo l’assunzione di terapie convenzionali o, addirittura, sono insensibili alle terapie “classiche”.
Un vantaggio significativo del trattamento con Car -T è che le cellule non solo distruggono le cellule neoplastiche, ma si espandono dopo essere state infuse. Pertanto, dopo un solo trattamento, le cellule rimangono nell’organismo e continuano ad attaccare il tumore per mesi o addirittura anni».
Inutile ribadire la soddisfazione dei professionisti che hanno lavorato in tale direzione e continueranno a farlo con i prossimi trattamenti.
Accanto alla terapia con cellule “Car -T” è sorto anche il “Car – T Team”, dove lavorano a braccetto, oltre a Ematologia, il Centro Trasfusionale alla riunione rappresentato dalla dottoressa Sabrina Tarulli, il Servizio Farmaceutico, la Rianimazione, la Neurologia, e un’equipe infermieristica appositamente formata. E sono pronti ad intervenire anche gli altri reparti per le conseguenze, se ce ne fosse bisogno.
Spetta a Neurologia e Rianimazione riconoscere e intervenire tempestivamente sugli eventuali effetti collaterali della terapia, che ci sono e possono essere anche seri. Entrambe le equipe hanno il compito di valutare e monitorare il paziente, prima, durante e dopo il trattamento.
Sono state la direttrice di Rianimazione, Ida Di Giacinto, e la dottoressa Gabriella Cacchiò per Neurologia, in vece della primaria Cristina Paci, a spiegare: «Il rilascio di citochine può determinare gravi infiammazioni, determinando determinare febbre, disturbi respiratori, calo della pressione arteriosa, con la necessità di trasferire il paziente in terapia intensiva, dove viene lasciato un posto dedicato.
Ci sono poi le conseguenze neurologiche, che vanno anticipate con attenta valutazione laboratoristica, strumentale e clinica. Il quadro neurologico inoltre viene frequentemente seguito durante la degenza ed anche dopo mediante visite ed elettroencefalogramma».
Per riconoscere i sintomi delle complicanze un ruolo centrale è quello degli infermieri, appositamente formati: «E qui sono state introdotte importanti novità – ha confermato Luca Gelati, direttore delle Professioni Sanitarie di Ast Ascoli, citando l’importante ruolo delle professioniste Mannocchi e Amatucci – come il fatto che il paziente viene seguito dagli stessi infermieri, indipendentemente dai vari reparti dove deve afferire in seguito ad eventuali instabilità cliniche. E sono sempre questi professionisti ad istaurare un rapporto di vicinanza e monitoraggio sull’andamento del trattamento, come sono pure loro a sollecitare la tenuta di un “diario”, il Nursing narrativo, fondamentale per lasciare traccia scritta di quanto avviene e suggerire eventuali miglioramenti».
Altro “rovescio della medaglia” della cura potrebbe essere rappresentato dal costo, come ha precisato Isidoro Mazzoni, direttore della Farmacia di Ast Ascoli: «Il trattamento costa 205.000 euro al Servizio sanitario. Ma siamo convinti che la vita non ha prezzo, come pure del fatto che si può risparmiare su altre voci di spesa per investire su nuove cure».
Per poter lasciare o votare un commento devi essere registrato.
Effettua l'accesso oppure registrati