di Elia Frollà
«Era il mio sogno!». Sono le parole, ancora intrise di emozioni e felicità di Alberto Federico Marini, amandolese “Ambasciatore dei Sibillini”.
A cosa si riferisce? E’ lui stesso a raccontarlo: «Volare nei cento anni di Aeronautica Militare in una missione Nato è stata una cosa che non si può descrivere, un’emozione che non si può esprimere a parole».
Si è trattato di una un’esercitazione Nato con il nome di Poggio Dart 23, condotta dal Deployable Air Command & Control Center (Daccc). L’operazione si è svolta tra il 4 e il 15 dicembre. In un primo momento è stata condotta un’esercitazione al posto di comando assistita da computer, per testare l’operatività del Daccc, mentre, in un secondo momento, si sono svolte, nello spazio aereo che va da Cervia al nord Italia, attività di volo dal vivo per addestramenti tattici. Ad essere coinvolte, con diversi velivoli, sono state l’Aeronautica militare italiana, la Usaf statunitense e l’Aeronautica militare turca.
Gli obiettivi principali sono stati addestrare gli equipaggi, impegnati su scenari internazionali, lavorare con i controllori a terra ma anche e soprattutto dimostrare le capacità delle forze Nato di potersi rischierare soprattutto nell’area a sud del Mediterraneo. Tuttavia, quella di queste giornate è stata anche un’esercitazione che ha anche una funzione di deterrenza, soprattutto alla luce del complesso scenario internazionale.
Federico Marini, nella giornata del 12 dicembre, ha avuto la possibilità di assistere ad una parte di queste operazioni e vedere da vicino i grandi aerei e i caccia coinvolti nelle esercitazioni. Nello specifico, dal Boeing 767 Tanker sui cui si trovava, ha potuto assistere alle operazioni di rifornimento di alcuni velivoli.
«Dopo anni di collaborazione con l’Aeronautica ho avuto il grandissimo onore – ha spiegato – di vedere un rifornimento in volo. Tutto l’aspetto tecnologico e tecnico mi affascina moltissimo.
Si tratta di un’operazione delicatissima che richiede estrema competenza. Nel velivolo si trova un ufficio da cui alcuni addetti osservano gli aerei in arrivo e dialogano con i piloti.
Tutta la procedura è organizzata e controllata attraverso speciali attrezzature e telecamere. Ogni aereo rimaneva agganciato per dieci minuti al fianco di quello su cui mi trovavo. Mi hanno colpito la precisione millimetrica e le evoluzioni svolte successivamente per salutare l’equipaggio».
Qualcosa gli era stato raccontato, ha dichiarato lo stesso Marini, ma viverlo è stata tutt’altra cosa.
«Un’emozione unica, davvero. Non era scontato, da semplice civile quale sono, avere una possibilità di questo tipo. Trovarmi su quell’aereo e non direttamente sui caccia è stato fondamentale per non intralciare le operazioni e per non limitare i piloti che, in tal caso, non avrebbero potuto svolgere in sicurezza tutte le loro manovre e acrobazie. Anche, e soprattutto, vedere i nostri monti Sibillini da quell’altezza vertiginosa è stato indescrivibile, un’emozione che porterò sempre con me».
«Ringrazio tanto – ha affermato Marini concludendo il suo racconto appassionato – l’Aeronautica Militare e quelli che hanno partecipato alla missione, che hanno mostrato una gentilezza e un’educazione non indifferenti. Mi hanno fatto sentire uno di loro e non un semplice ospite».
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