; mia madre e’ in compagnia delle assistenti Filomena (“Mena”) Parissi e non Rosina Morganti insieme a Teresa Settimi
di Walter Luzi
Adele Marcelli è stata una delle “signorine” della Standa. Oggi, solo per l’anagrafe però, ha ottantotto anni, ma per la sua straordinaria vitalità, nonostante gli acciacchi, potrebbe dichiarare benissimo qualche decennio di meno. Alla Standa ha lavorato per una vita, lasciandoci il cuore. Come Maria Adelaide Gaspari, anche se ci ha passato, dal canto suo, solo poco più di quattro anni. Ma fa uguale. Perchè, come in ogni storia, non conta solo la lunghezza, ma anche l’intensità con cui la si vive, a decretarne l’importanza, e a farcela ricordare per tutta la vita. Abbiamo scelto le loro, fra le tante voci levatesi sul web dopo il nostro articolo dello scorso 6 dicembre, per tornare a parlare della Standa, il primo grande magazzino ad aprire in Ascoli nel 1941. E di loro, “le signorine della Standa”. Che tanto successo hanno riscosso sulla pagina del nostro giornale online e sui social.
Le stesse protagoniste si sono riconosciute nelle foto pubblicate, rivendicando con orgoglio l’appartenenza a quella azienda. Più spesso le loro figlie, fiere anche loro di discendere da quelle donne belle e forti. Fra le prime lavoratrici, dalle nostre parti, al di fuori dell’agricoltura e della bachicoltura, e prime eroine locali nelle battaglie per l’emancipazione femminile.
LA GUERRA
Adele Marcelli ha sangue slavo nelle vene, e un carattere temprato negli anni dell’infanzia e dell’adolescenza, segnate dalle sofferenze della guerra. Il papà Giovanni, originario di Rosara, è carabiniere a Trieste quando conosce e sposa Ivana Cesnic. Adele nasce a Postumia, famosa per le sue grotte, nella Carnia oggi slovena, nel 1935. Giusto in tempo per ricordare, bambina, innocente, bombardamenti e morte, stenti e paure, che sono le uniche cose, proprie e certe, di ogni guerra in ogni tempo. Quando finisce un orrore poi, per lei ne inizia subito un altro. La persecuzione degli italiani e di nazionalità mista, operata a partire dal 1945 dalle bande armate del maresciallo Tito. Il padre ripara subito in Italia per evitare la cattura e la morte in fondo ad una foiba. A tredici anni Adele è fra gli oltre trecentomila esuli forzati dell’esodo giuliano-dalmata. Spogliata, insieme alla sua famiglia, di ogni avere. Portano via solo quello riesce ad entrare nelle loro valige di cartone e passano un anno nel campo profughi allestito a Servigliano. Poi grazie agli zii, i fratelli del papà Giovanni, che li salvano dalla fame tirandoli fuori da lì, riescono a trovare un tetto, finalmente un’altra casa, e, più tardi, anche un lavoro per sostenersi.
LA MASCOTTE
Il posto di lavoro, quello buono, Adele lo trova dieci anni dopo, nel 1958. Alla Standa. Nel 1962 il suo primo e unico figlio, Giuseppe, oggi stimato avvocato, diventa la mascotte del grande magazzino.
E’ lui infatti il primo nato a beneficiare dell’abolizione della bizzarra regola interna che vuole le neo mamme licenziate al compimento del primo anno di vita del proprio pargolo. «Mio figlio venne idealmente adottato da tutte le mie colleghe – racconta Adele – e quando me lo portavano in reparto, le colleghe se lo contendevano per coccolarselo un pò». Il suo lavoro al reparto Casalinghi le piace molto, ma la fatica è tanta. Inizialmente i settori merceologici sono solo tre: casalinghi, intimo, e abbigliamento. Lei è la regina delle pentole.
«Reparto 120 – ricorda – secondo la codifica interna. La mia prima caposettore è stata Maria Corradetti. Biancheria era identificato con il numero 40. Posate con il 125. Snocciola numeri e reparti come fosse storia di ieri. Lei è lucidissima. E ora, mentre dà voce ai tanti ricordi della sua giovinezza, lo diventano anche i suoi occhi.
«Si lavorava sei giorni su sette – ricorda Adele – mattina e pomeriggio, e se avevi messo su famiglia era dura stare dietro a tutto. La mezza giornata di riposo del lunedì è arrivata solo molti anni dopo. Sotto Natale, dall’Immacolata all’Epifania, si era sempre aperti, con l’orario di chiusura allungato di un’ora. Alla sera, per la stanchezza, mi addormentavo a tavola sopra il piatto…».
Era famosa Adele Marcelli per il suo fiuto, pressochè infallibile, nel beccare in flagranza i ladruncoli di merce in vendita. «Il bello era che le signore altolocate ed insospettabili che venivano sorprese con le mani nel sacco – ricorda sempre Adele – venivano definite, con indulgenza, cleptomani, mentre le poveracce, invece, ladre. Grazie ai premi che l‘azienda mi riservava poi, pari al 50% del valore della refurtiva recuperata, arrotondavo proprio bene il mio stipendio».
Non ha mai sopportato le prepotenze e le ingiustizie Adele. «Quando un noto senatore – ricorda – si presentò all’orario di chiusura per fare le sue spese, sbuffai non poco, e lui, per tutta risposta, mi rispose per davvero con la classica frase che pensavo fosse solo una battuta da ridere nei film della commedia all’italiana: lei non sa chi sono io! …».
Con quella arroganza tipica dei politicanti di ogni epoca, che andrà, ahinoi, incancrenendo tutta la categoria nei decenni successivi. Una mancanza di sensibilità e di rispetto verso i lavoratori che Adele sente bruciare come una frustata, e che inizierà a combattere, dopo il 1968, anche portando il sindacato dentro la Standa.
LA SINDACALISTA
«Quando ci ritrovavamo qualche aumento in busta paga – confessa Adele – ignoravamo che questo succedeva solo per merito delle colleghe del nord Italia, che già erano impegnate nelle prime lotte sindacali per il rinnovo dei contratti collettivi nazionali. I privilegi economici, o i trattamenti di favore, fino a quel momento, solitamente, li ottenevano solo i dipendenti più ossequiosi e sottomessi».
La Marcelli diventa così l’alfiere delle battaglie per i diritti di tutti i lavoratori. «Le donne hanno sempre lottato per i loro diritti. Solo che nessuno gli dava retta. Oggi tutti hanno tutti i diritti e nessun dovere – commenta sempre Adele – noi invece avevamo solo doveri, e nessun diritto. Ce li siamo dovuti sudare e conquistare tutti, uno ad uno, con anni di lotte. Quando se svolgevi attività sindacale, o anche solo ti iscrivevi ad un sindacato, eri segnata per sempre. Le prime riunioni le tenevamo nei fondaci. Cambiandolo ogni volta per non farci individuare. Dopo cena, fino a tarda ora. Mio marito mi copriva in casa con mio suocero, che non avrebbe mai accettato queste mie uscite notturnei»
Molte testimonianze di Adele Marcelli sugli albori sindacali ascolani di quegli anni sono state raccolte nel libro storiografico “Ponti invisibili” edito dalla Cisl Pensionati nel 2014. «Quando organizzammo il primo sciopero – ricorda Adele – la notizia trapelò, e il direttore e il capo alimentari Babinelli andarono a cercarsi la sera prima, casa per casa, delle altre persone per poterci rimpiazzare. Ricordo che quando arrivammo la mattina presto per picchettare gli ingressi, loro erano già tutte dentro. Fuori eravamo in diciannove, tutte donne, fra cui tre apprendiste, che rischiavano quindi più di tutte. In altre occasioni siamo state di meno, ma siccome eravamo brave nel nostro lavoro, i superiori ci “perdonavano” sempre quelli che loro ritenevano solo dei colpi di testa di giovani indisciplinate».
LE COLLEGHE
In alcune foto che Adele ha conservato, figurano anche Filomena “Mena” Parissi e Teresa Settimi.
Di quasi tutte quelle che vi figurano ricorda i nomi. Le capi-settore Parissi e Teresa Settimi, la Novelli, la Vitelli. I vetrinisti Stipa e Luciano. Ci sono le foto della festicciola in reparto, dopo la chiusura, per il pensionamento di Ruggero Cataldi.
In altre figurano il direttore Porta e la Simonetti con il grembiule rosso di caporeparto Alimentari. «Portavo sempre in tasca la mia piccola macchinetta fotografica – racconta Adele – e così ho potuto documentare tanti momenti significativi della vita della Standa». Scatti che riportano, oggi, indietro nel tempo. Non si fa pregare in queste occasioni a prendere la parola per i discorsi, o i saluti.
Perchè è abituata a parlare in pubblico, senza remore. Fra le presenti e le assenti in quelle foto ricorda Pia Morganti, la Di Marco, la Natali e Maria Corradetti. “Le signorine della Standa”, così venivano chiamate da tutti. Con rispettosa deferenza e malcelata ammirazione. Tutte giovani e belle ragazze. Ricorda le vacanze offerte loro dalla ditta in montagna, a Scanno, e al mare, a Rimini. Quindici giorni che sapevano un po’ di colonia e un po’ di collegio.
Dove la disciplina era ferrea, ma si poteva socializzare con colleghe coetanee provenienti da tutte le regioni italiane. Alcune foto di quei momenti ce le ha inviate anche Daniela, la figlia di Maria Adelaide Gaspari. Apprendista e poi commessa al reparto Intimo donna della Standa di Ascoli dal 1959 al 1964. Le sfilate in Piazza del Popolo indossando i nuovi modelli appena arrivati.
In vacanza aziendale a Rimini, e all’Abetone. In una di gruppo, in divisa, scattata all’interno della Standa in occasione di una premiazione della filiale, Maria Adelaide ricorda tante compagne di lavoro. In prima fila, fra le altre, Teresa Fedeli, Ada Del Ben, Giuseppina Fiocchi, Licia Giammarini, Teresa Alessandrini, Lena Loreti, Teresa Sabatini, Franca Di Marco e Maria Pia Doria fra le tante altre. Quest’ultima era soprannominata “la Miss” perché aveva partecipato anche ad un concorso di bellezza. Dote comune questa, come detto, per “le signorine della Standa”. Daniela ci ha anche mandato una foto scattata all’Hotel Jolly in occasione della festa per il trentennale dalla fondazione (a Milano, Anno Domini 1931) della Standa.
Oltre a Maria Adelaide vi figurano fra gli altri Delia Procaccioli, Simonetta Giorgi, e il signor Ruggero.
Foto conservate gelosamente, anche nel suo caso, per decenni, insieme a quelle degli affetti di famiglia. Adele Marcelli ha appeso al muro, in casa, incorniciati, gli attestati della Cisl, e della Standa in occasione dei suoi vent’anni di servizio.
Le sue battaglie sindacali con il padrone non hanno mai intaccato il rapporto. Succede quando le controparti litigano, anche aspramente, ma non smettono mai, per questo, di stimarsi reciprocamente. Il marito, Paolo Falciani, già dirigente del servizio anagrafe del Comune, se ne è andato vent’anni fa.
Fra fratelli e sorelle arrivano a cinque. Tutti viventi, fra i 93 e i 77 anni di età. E teste che funzionano ancora, tutte, benissimo. Lei ha qualche problema di deambulazione ma è sempre in giro lo stesso in città a bordo della sua motocarrozzina, perché a stare tutto il giorno chiusa in casa proprio non ce la fa.
«Alla mia età, ovviamente, mi mancano un po’ le forze – ammette – ma con una diciottenne di oggi non mi ci cambierei mai…».
SE VI SIETE PERSI “LE STORIE DI WALTER LUZI”…..
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