di Gianpiero Palmieri
(vescovo della Diocesi di Ascoli)
Alle porte delle elezioni amministrative di alcuni Comuni del nostro territorio diocesano, sento il bisogno di condividere con voi e con tutti alcune riflessioni, già in parte anticipate nella tradizionale conferenza stampa di fine gennaio, in occasione della festa del patrono degli operatori della comunicazione sociale, san Francesco di Sales.
Una delle domande dei giornalisti mi chiedeva di esprimere un parere sulla campagna elettorale in corso. Ho così colto l’occasione per anticipare alcune delle considerazioni che in questa lettera voglio proporre a tutti sul significato della partecipazione dei cristiani alla vita politica del Paese.
Provo una grande stima per chi con motivazioni autentiche si dedica ad amministrare la realtà pubblica. Ne ammiro il coraggio e l’abnegazione. Non è un’impresa facile! Richiede uno sguardo ampio che coglie gli orizzonti di fondo, ma anche la pazienza e la concretezza dei piccoli passi oggi possibili.
Può “avventurarsi” verso un impegno del genere solo chi possiede un robusto “retroterra interiore”; in realtà, per un cristiano, c’è alla base dell’impegno politico una vocazione, una chiamata di Dio, che è sempre una chiamata a vivere con amore la propria vita e il servizio agli altri. Sì, la parola “amore” non è pronunciata a caso, né è eccessiva: la usa Papa Francesco per indicare quell’atteggiamento di fondo che motiva l’impegno civile e politico di chi, con le sue concrete azioni, cerca di costruire un mondo migliore. In realtà “l’amore civile e politico” (enciclica Laudato si, nn. 228-232) ci riguarda tutti, perché ognuno di noi è chiamato a esercitarlo: è la passione senza campanilismi per la propria città e il proprio paese, la difesa di una vita dignitosa per tutti, il rispetto per l’ambiente in cui si è cresciuti e in cui si vive. Fu Pio XI che nel 1927 usò per primo la parola “carità”: “Tutti i cristiani sono obbligati ad impegnarsi politicamente. La politica è la forma più alta di carità, seconda sola alla carità religiosa verso Dio” (L’Osservatore Romano, 23 dicembre 1927, n. 296, 3, coll. 1-4).
Mi ha colpito tanto un passaggio della “Laudato si”, in cui il Papa esprime un giudizio severo su chi sottovaluta l’importanza di quegli atteggiamenti che sono a fondamento della vita comune e che ci riguardano tutti. Ve lo riporto per intero:
Occorre sentire nuovamente che abbiamo bisogno gli uni degli altri, che abbiamo una responsabilità verso gli altri e verso il mondo, che vale la pena di essere buoni e onesti. Già troppo a lungo siamo stati nel degrado morale, prendendoci gioco dell’etica, della bontà, della fede, dell’onestà, ed è arrivato il momento di riconoscere che questa allegra superficialità ci è servita a poco. Tale distruzione di ogni fondamento della vita sociale finisce col metterci l’uno contro l’altro per difendere i propri interessi, provoca il sorgere di nuove forme di violenza e crudeltà e impedisce lo sviluppo di una vera cultura della cura dell’ambiente. (Laudato si n. 229)
In un passato non troppo lontano era frequente sentir dire che le affermazioni dell’insegnamento sociale della Chiesa sarebbero ingenue, sorpassate, inefficaci. A distanza di qualche decennio, esse invece rivelano tutta la loro straordinaria attualità. Per anni si è dato credito all’idea che un mercato senza regole avrebbe arricchito tutti, che smantellare certi valori morali ci avrebbe reso più liberi e felici, che l’individualismo e il privilegio degli interessi di parte non avrebbero scalfito quell’abitudine alla solidarietà e alla coesione sociale così radicate in Italia. Niente di tutto questo si è dimostrato vero. In poco tempo ci siamo ritrovati più divisi, più soli e più poveri. Le crisi finanziarie e sanitarie che abbiamo con fatica attraversato hanno aumentato solo in un primo tempo la solidarietà reciproca; alla lunga invece ci hanno lasciato più aggressivi, scontenti ed egoisti.
Pensiamo alla ricaduta di tutto questo sui ragazzi: anche se all’apparenza non manca una certa effervescenza sociale e la voglia di stare insieme e divertirsi, si è diffuso in poco tempo un clima disilluso e rassegnato, un’incertezza riguardo al futuro che mina la voglia di fare sogni e progetti, una sensazione di vuoto nel cuore perché non ci sono significati profondi che possano orientare la vita. Anche l’entusiasmo politico è di pochi fortunati: il 50% dei giovani non va a votare, sull’esempio degli adulti allontanati e sempre più nauseati dal linguaggio e dai modi di una certa politica.
Occorre recuperare convinzioni di respiro, condivise e concrete, pena la mancanza di prospettive per un Italia sempre più invecchiata.
La Chiesa è una comunità di credenti che non ha mai pensato che la sua missione si dovesse svolgere unicamente nel perimetro limitato delle mura delle parrocchie. Dall’incontro con il Risorto e dalla fede nasce il compito di annunciare il Vangelo con le parole e con le azioni che cambiano la realtà. L’amore per la città è l’amore per tutti gli uomini e le donne che la abitano, ed è a sua volta un riflesso dell’amore con cui Dio ama ciascuno dei suoi figli.
Da questa radice, da questa fede e da questo amore, emerge l’impegno dei cristiani in Politica.
Quindi – mettetevi in politica, ma per favore nella grande politica, nella Politica con la P maiuscola! – attraverso anche la passione educativa e la partecipazione al confronto culturale. (Papa Francesco all’Azione Cattolica Italiana 30 aprile 2017)
C’è oggi bisogno di cristiani che sappiamo servire il bene comune non solo con rigore e competenza, ma soprattutto con tanta passione con tanto amore, sapendo che spesso si va controcorrente. Solo così non si fermeranno alle prime difficoltà opposte da chi, in fondo, gode e prospera quando vede spegnersi l’entusiasmo per il bene. Ed è importante che la Chiesa non lasci mai soli e senza il sostegno di una profonda spiritualità coloro che “si buttano” in politica: hanno bisogno non tanto di alleati, ma di amici fraterni con cui alimentare e condividere sogni e speranze.
Non è un caso che la 50ma Settimana sociale dei cattolici in Italia, in programma a Trieste per il prossimo luglio, abbia come tema “Al cuore della democrazia. Partecipare tra storia e futuro”. C’è scritto nel documento preparatorio: “Il futuro del Paese richiede persone capaci di mettersi in gioco e di collaborare tra loro per rigenerare gli spazi di vita, anche i più marginali e affaticati, rinforzando la capacità di scegliere democraticamente e di vivere il potere come un servizio da condividere. È una sfida che riguarda tutti i cittadini: tutte le voci di una comunità devono trovare parola, ascolto e sostegno, per elaborare pensiero e avviare percorsi di partecipazione, per trasformare il presente e liberare più bellezza nel futuro”
Ormai da tempo nella Chiesa c’è consapevolezza che dall’unica fede non discende necessariamente l’impegno nello stesso partito politico, come scriveva già san Paolo VI nel 1971 (lettera Octogesima Adveniens… un testo profetico!). In fondo, mai come adesso, nessun partito rappresenta pienamente e traduce fedelmente in scelte concrete la visione cristiana della vita. E’ proprio in questo “spazio” che si genera l’opportunità per i cristiani di interrogarsi, confrontarsi, agire di comune accordo, tra di loro e con tutti, perché in sede politica si facciano le scelte a vantaggio del bene comune e della protezione dei soggetti più fragili. Il sistema democratico è proprio quello che permette a tutti di esprimere il proprio punto di vista e partecipare da protagonista alla vita del proprio paese.
A tutti coloro che si impegnano in politica, in particolare ai cristiani, chiediamo di non dimenticare mai che:
Proprio per custodire questa libertà della comunità cristiana e del cristiano che si impegna in politica, ribadisco una norma ecclesiale diffusa un po’ ovunque nella Chiesa italiana: chi si candida alle elezioni in un partito o formazione politica e svolge un servizio “apicale” nella comunità cristiana, è bene che lasci quel servizio, per evitare strumentalizzazioni di ogni tipo. Mi riferisco in particolare all’essere membro dei Consiglio Pastorale Diocesano o del Consiglio Affari Economici e di quelli della propria parrocchia. Sono infatti i luoghi, espressione della partecipazione laicale, in cui si elaborano insieme le decisioni ecclesiali da prendere. Nei rispettivi statuti della nostra Diocesi è già prevista questa eventualità. Lo stesso va detto per chi è responsabile degli Uffici pastorali o amministrativi della Diocesi.
Questo non significa affatto che chi si candida deve lasciare il suo impegno cristiano, la partecipazione alla vita della propria parrocchia o di un’associazione o movimento ecclesiale; direi anzi, che chi sceglie questo servizio ha bisogno di sentirsi parte della propria comunità cristiana per essere sostenuto nel suo impegno.
Mi riferisco solo a ruoli in servizi che implichino una responsabilità decisionale. Preferisco ribadire questo punto prima dell’ufficializzazione delle liste per evitare che questo pronunciamento sia interpretato contro “qualcuno”. Va invece nella direzione del rispetto delle regole del “gioco politico”.
Quello che attende la politica nel nostro territorio, in sintesi, è un impegno grande e alto. Lo si compie non solo per senso del dovere, ma per amore. Chiedo a voi, candidati politici, di avere sempre nel cuore questa domanda fondamentale: ciò che faccio e che dico aiuta tutti e ciascuno a ritrovare la speranza? Perché siete chiamati ad essere testimoni della forza della speranza, quella che tutti cercano e di cui tutti lamentano invece l’assenza…
Non vi faremo mancare la preghiera e l’aiuto. Un saluto a tutti.
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