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Le storie di Walter: Fra’ Flo’, l’ultimo volo di un grande missionario

A 86 ANNI Padre Francesco Pecorari sta per tornare in Brasile. Il frate cappuccino ascolano nello stato di Bahia ha operato per oltre mezzo secolo, scrivendo pagine nobili che pochissimi conoscono. Poco considerato nella sua terra di origine, è quasi venerato oltreoceano. Voleva trascorre gli ultimi anni della sua vita nella sua città, vicino ai pochi affetti che gli restano, ma non ce l’ha fatta. Non solo per colpa della saudade
...

Padre Florencio Francesco Pecorari

 

di Walter Luzi

Questo che raccontiamo non è l’ennesimo capitolo di piccole ingiustizie consumate. Di scelte scellerate e affronti immeritati che sono proprie di ogni umana categoria. La cronaca ripropone, ogni tanto, notizie di comunità cristiane in rivolta senza un parroco, di accorpamenti frequenti di piccole parrocchie di montagna, e vecchi preti costretti agli straordinari per carenza di organici. Succede, con le vocazioni al sacerdozio nel mondo occidentale in picchiata da decenni. Ma la vicenda, simile e comune a tante altre nelle sue modalità, tristemente troppo diffuse nelle gerarchie ecclesiastiche, ci offre solo, casualmente, l’opportunità di raccontare la storia di un frate cappuccino missionario ascolano. Uno speciale però. Di quelli che hanno saputo lasciare il segno in terre lontanissime. Il suo nome forse non dirà niente a nessuno, come i tanti nomi di tutti quelli che hanno lavorato sodo per una vita intera. Che hanno amato fortemente, e fortemente sono stati amati, ben oltre il ruolo canonico rivestito e i doveri pastorali imposti, in una comunità di poverissimi sparpagliata in un Paese immenso. Quel grande Paese è il Brasile. Quel frate cappuccino missionario ascolano si chiama Francesco Pecorari.

 

In chiesa con altri concelebranti

 

IL VECCHIO FRATE TORNA A CASA

Ha ottantasei anni, ed un vissuto poco noto. Lo raccontiamo noi per la prima volta, cominciando dalla fine. Un passato sconosciuto il suo, forse, anche a parrocchiani che negli ultimi dieci anni hanno avuto modo, e fortuna a loro insaputa, di ritrovarselo in chiesa a dare una mano al titolare. Era tornato in Italia, dieci anni fa, solo per godersi la meritata messa a riposo dopo oltre mezzo secolo passato da frate missionario in Brasile. Nel convento di San Serafino, a Borgo Solestà, stava davvero bene. Poche centinaia di metri dalla casa della sorella Maria. Qualcosa di più da quella del fratello Giovanni. Un altro fratello, Quinto, invece vive a Roma. Gli ultimi ancora in vita degli otto figli di contadini originari delle campagne di Roccafluvione.

 

Con la sorella e la nipote

 

Ma le alte gerarchie ecclesiastiche lo vorrebbero, in verità, a quasi ottant’anni, nuovo parroco a Valle Castellana. Lui la dà anche volentieri, tutte le domeniche, una mano all’altrettanto anziano titolare Don Giuseppe, ma l’idea di prendersi sulla spalle, alla sua età, una intera parrocchia di montagna, con tutti quei chilometri di strada stretta e tortuosa che gli fa impressione ogni volta, soprattutto in inverno, a percorrere, proprio non gli sembra il caso. Nominare un nuovo parroco per lassù è, in effetti, impresa ardua per la Curia, alle prese con carenza di organici notoria ed età medie dei papabili avanzate, e i superiori dei frati cappuccini avrebbero voluto volentieri contribuire a trovare una soluzione al problema. Anche se poi, in fondo, i vecchi frati missionari, come i giovani sudamericani, sono i meno adatti per le scartoffie e le sagrestie di parrocchia e, spesso, officiare funzioni per le solite quattro vecchiette.

Ne sanno qualcosa la decina di giovani frati brasiliani, già discepoli di Padre Pecorari, arrivati in Italia di rinforzo insieme a lui, e poi, quasi tutti, soprattutto per questi motivi, più che per la rigidità del clima, ritornati presto in patria. Declinato l’invito per Valle Castellana a Padre Pecorari arriva invece nel 2023, a ottobre, a sorpresa, l’ordine di trasferimento al convento del Beato Bernardo a Offida. Davvero una brutta sorpresa per lui, che in quella bella cittadina non conosce proprio nessuno. I criteri delle scelte dei superiori non tengono mai conto, come sempre in questi casi, delle aspirazioni dei sottoposti, ma solo delle fredde esigenze di …servizio dei vari conventi. Nel suo caso però, oltre a irridere anagrafe e buon senso, la decisione dei capi calpesta anche un passato importante, ed umilia ulteriormente un fedele servitore già fin troppo umile per sua natura. Con tutto il rispetto dovuto al venerato Beato offidano infatti, per Padre Pecorari si tratta di un brutale sradicamento dalla sua città e dai pochi affetti rimastigli. Un brutto colpo, a ottantasei anni. Che lo addolora, e sente di non meritarsi. Quando la notizia rimbalza in Brasile, il dispiacere dei suoi ex fedeli e discepoli lascia immediatamente spazio all’unico possibile, ideale, lieto fine. “Ritorna con noi Padre!”.

 

Con i confratelli

 

Con i suoi studenti in Brasile

 

Il legame forte, e i tanti contatti con il Brasile, anche ai più alti livelli, vecchi di mezzo secolo di vita condivisa e mai completamente interrotti, pesano, adesso, più che mai. Lo scorso anno era arrivato lì per una breve visita di venti giorni, con il biglietto aereo di ritorno in Italia già fatto. E già allora avevano tentato in ogni modo di dissuaderlo. «Tu sei nostro! – gli ripetono un po’ tutti – dov’è che devi andare? Siamo noi la tua famiglia!». Anche i suoi superiori brasiliani non fanno mistero della loro soddisfazione all’idea di un suo ritorno. E lo aspetta, a braccia aperte, soprattutto, la sua gente. Lo aspettano i bambini, che si siedono a frotte, per terra, sotto gli altari per seguire la Messa, e gli ultimi fra gli ultimi dell’America Latina più povera. Nessuno, qui, potrà mai dimenticare Fra’ Flo’.

 

Con i bambini di Bahia

 

In processione

 

FRANCESCO, FRATE FLORENCIO

Fra’ Flo’. Lo chiamano tutti così da quelle parti Frate Florencio. Nato come Francesco Pecorari a Casebianche, sperduta frazioncina del comune di Roccafluvione, il 30 gennaio 1938. I suoi genitori, Giocondo e Nazzarena, sono contadini nella campagna di Mozzano con famiglia numerosa, come usava allora. Cinque figli maschi e tre femmine. Lui è il più piccolo dei maschi e diventa frate per caso, e per bisogno. Quando dei frati cappuccini di passaggio per la cerca in tempo di trebbiatura, propongono a suo padre di farlo entrare in seminario, lui vede subito nella proposta una bocca in meno da dover sfamare. Nella zona anche Arsenio e Tarcisio, che abitavano poco distante, hanno già messo la tonaca con il cappuccio. Entra nel seminario serafico di Fano nel 1950 dove frequenta le Medie, quindi due anni di Ginnasio a Cingoli. L’anno di noviziato, necessario per poter prendere l’abito del frate lo trascorre a Camerino al termine del quale fa la prima professione solenne di vita religiosa. I suoi studi continuano con il Liceo e quindi con i quattro anni di Teologia a Loreto. La sua ordinazione avviene proprio nel santuario lauretano il 7 ottobre 1962. Subito dopo arriva la richiesta del Provinciale dell’Ordine per i dodici neo frati cappuccini, di volontari da inviare nelle missioni in Brasile.

 

Periferie brasiliane

 

Con i suoi seminaristi

 

«L’unico a fare un passo avanti, alla fine, fui io – ricorda padre Pecorari – anche se nessuno di noi aveva la minima idea di come fosse fatto il Brasile, né di cosa ci attendesse là. Partimmo da Genova il 5 dicembre 1962, con una nave che usavano solitamente per fare le escursioni. Fece tappa a Lisbona prima della lunga traversata oceanica verso Rio De Janeiro. Quindici giorni di navigazione in tutto».

 

I FRATI MARCHIGIANI IN BRASILE

I frati cappuccini delle Marche erano stati infatti destinati ad evangelizzare le popolazioni degli stati di Bahia e Sergipe fin dal 1892. A Salvador de Bahia c’è una missione con circa una quarantina di Cappuccini. I frati qui hanno edificato una decina di conventi dislocati prevalentemente lungo la costa, più densamente popolata. Dove le condizioni di vita sono migliori e, soprattutto, piove di più. L’interno infatti, nonostante la fitta vegetazione è classificato come semiarido, almeno fino alla stagione delle piogge. E con pochissima acqua a disposizione è più difficile anche coltivare la terra. Per lo più a mais, cereali, soia e canna da zucchero. Il fiume San Francesco taglia in due lo stato di Bahia, seicentomila chilometri quadrati, il doppio dell’Italia. La sua prima destinazione è Feira de Santana, cento chilometri a nord di Salvador, dove si divide fra insegnamento e predicazione.

 

 

Chiesa in costruzione

 

 

Inizia subito come docente di matematica, perché non essendo ancora padrone della lingua, lavorare con i numeri viene più facile. Poi passerà alla Storia. Sia quella generale che brasiliana e dell’America latina, Filosofia, e, successivamente ai corsi di abilitazione all’insegnamento dei tanti seminaristi che cominceranno a crescere nei loro conventi.

«Facevamo missioni ambulanti di circa una ventina di giorni ogni volta verso i villaggi dell’interno – racconta Padre Pecorari – a dorso di mulo o a cavallo, dormendo all’aperto, lungo antichissimi sentieri che non possono chiamarsi strade. Sempre pronti a scomparire sotto la vegetazione, o ad essere cancellati dai temporali. Nei villaggi che si raggiungono la gente è molto semplice, e ci ha accolto sempre bene. Il rapporto che si instaura negli anni con loro è molto più che amichevole. Ci vogliono bene. Si vive ogni giorno in mezzo a loro, e presto noi religiosi, frati o sacerdoti che si sia, si diventa un riferimento sicuro per ogni loro esigenza. Altrettanto presto abbiamo capito però che la predicazione …ambulante non andava bene. C’era bisogno di radicarsi nei villaggi. Creare strutture fisse. Centri di ritrovo e confronto materiali. Vere e proprie parrocchie insomma. Io ne ho avute tante, ciascuna con migliaia di fedeli sparsi nelle varie, vastissime microregioni, come quella di Laranjeiras».

 

Chiese piene in Brasile

 

In processione

 

Giornate che iniziano molto presto la mattina, in processione di penitenza guidata da Padre Cristoforo con in braccio la croce di legno. “Ferie” in patria non prima di sette anni, la prima volta. Poi non prima di ogni cinque. «Ma non c’era un obbligo – precisa quasi a scusarsene – molti dei confratelli non sono più tornati in Italia. Sono morti in Brasile, e hanno anche scelto di riposare lì». Lui nei cinquantadue anni passati da missionario laggiù torna in Italia solo tre volte. Una volta al capezzale della madre morente. Alle notizie allarmanti ricevute, molla tutto e sfrutta un provvidenziale passaggio su una nave cargo della Italsider che trasporta minerali ferrosi fino alle acciaierie di Taranto. Arriva appena in tempo per poterla abbracciare un’ultima volta. Una impresa che non potrà ripetere quando se ne andranno quasi tutti i suoi fratelli e sorelle. «A parte la lunga distanza – spiega Padre Pecorari – c’è il fatto che lì siamo sempre troppo indaffarati in tutte le attività pastorali, e non ci avanza mai tempo per poter pensare ad altro».

 

CHIESE E SCUOLE

Nei villaggi, o nelle grandi periferie dove cominciano a operare, la chiesa sorge sempre al centro con le capanne tutto intorno disposte a pianta quadrata.

 

I piccoli parrocchiani di “Fra Flo”

 

La scuola di San Juda Taddeu

 

All’inizio è poco più di una capanna anch’essa, con le grandi foglie di banano poste sul tetto per ripararla dalle piogge. Senza acqua corrente, energia elettrica e servizi igienici. Ovviamente. Accanto alla chiesetta e agli alloggi per i frati, sorge, immancabilmente, una scuola. Perchè i bambini sono la maggioranza della popolazione. Miseria, e clima mite per tutto l’anno, permettono loro di andarsene sempre in giro con i soli calzoncini corti addosso. «La prima cosa che ho insegnato loro – ricorda Padre Pecorari – è stata quella di lavarsi le mani». I tantissimi bambini che iniziano a frequentarla crescono, e in diversi diventano seminaristi, o insegnanti a loro volta dei corsi di studio di ogni ordine e grado. In umiltà, fraternità, e voglia di stare insieme.

 

Bambini sotto l’altare durante una messa

 

 

Fino a quelli universitari, di cui anche Fra’ Flo’ è stato per tantissimi anni fra gli insegnanti. Le capanne diventano baracche e quindi, con il tempo, edifici in muratura. Il villaggio intorno cresce di pari passo, e l’estrema periferia diventa città. Queste scuole sono state riconosciute pubbliche dal governo solo a cose fatte. Edificate dai frati stessi su terreni concessi loro dallo Stato, e rese operative a tutti gli effetti, sono state puntualmente riconosciute, e successivamente gestite, a spese del goveno. Ma sono state braccia forti di frati cappuccini marchigiani ad edificarne parecchie in Brasile. A cominciare da quelle del frate ascolano Enrico Montironi, un maestro carpentiere e muratore di prim’ordine che, insieme a Padre Pecorari, da zero ne ha tirate su ben nove.

 

Un centro sociale a lui intitolato

 

Una scuola in costruzione vicino alla chiesa

 

LA RADIO A SERVIZIO DELLA FEDE

Ma Fra’ Flo’ va oltre. A Feira di Santana, con i confratelli, mette su una emittente radio che possa raggiungere le popolazioni dei villaggi dell’interno. Quelle che, a causa delle grandi distanze, non hanno modo di venire in chiesa vengono dotate di apparecchio ricevente per poter così seguire regolarmente le trasmissioni di programmi religiosi e, la domenica, della Santa Messa. «Eravamo molto seguiti – ricorda Padre Pecorari – come, ancor più, anni dopo, quando la televisione nazionale ha iniziato a trasmettere in diretta le nostre funzioni religiose domenicali». Fra’ Flo’ diventa così un popolarissimo personaggio televisivo. Una specie di divo del piccolo schermo nato dalle sue appassionate omelie. Un mito alimentato dall’affetto e dalla gratitudine, per lui e per il suo Ordine, della gente.

 

Personaggio televisivo

 

Festa della Madonna di Loreto

 

Ma anche nelle Facoltà Universitarie dove insegna, allaccia rapporti umani importanti, e proficui, con personaggi altolocati. Colleghi professori vicini ai politici locali o ex discepoli che si sono fatti strada nella vita seguendo i suoi insegnamenti. Potenti in grado di finanziare i suoi progetti nel sociale, o appoggiare le sue nobili battaglie per il Bene Comune. Come la rivolta di Aracajù.

 

L’IMPEGNO ECOLOGISTA

I bambini piccoli muoiono intorno a quella fabbrica di cementi ad Aracajù sorta troppo vicina alle case. Qui aria, acqua e terreni sono avvelenati dai suoi scarichi inquinanti. Rabbia e proteste per i lutti patiti dagli ultimi montano fra la popolazione. Ma la disperazione dei deboli, quasi sempre, in casi come questo, da sola nulla può contro grandi interessi intrecciati a poteri forti collusi. Fra’ Flo’ non esita a schierarsi a difesa della sua gente. Usa, a proprio rischio e pericolo, la ribalta televisiva per denunciare morti e inquinamenti. Mostra, durante le sue omelie teletrasmesse in diretta, le foto dei troppi corpicini senza vita uccisi dagli scarichi della fabbrica killer. Mobilita tutti quelli che lo stimano, e che sono nella possibilità di poter fare qualcosa per fermare quella strage di innocenti voluta solo dal dio quattrino. Nel giro di qualche mese la fabbrica dei veleni chiuderà per sempre i suoi cancelli. Una vittoria della speranza in un mondo migliore. Fra’ Flo’ viene benedetto e acclamato. Un misto di santo patrono ed eroe popolare. Simbolo di giustizia universale ed amore disinteressato. La gente lo riconosce e lo ferma per abbracciarlo nelle strade di ogni cittadina in cui si reca.

 

Con i suoi studenti

 

In Italia per i suoi 50 anni di sacerdozio

 

Quando si sparge la voce che è a letto ammalato, in convento o in ospedale che sia, in tanti si danno pensiero e lo vanno a trovare. «Anche in troppi – osserva – e mi portavano di tutto. In tanti anni non ho dovuto mai comprarmi una camicia da solo…». La proposta di nominarlo Vescovo, già quarant’anni fa, viene subito insabbiata nelle secche dei palazzi del potere. Troppo popolare questo frate per farlo arrivare troppo in alto. I duri e puri trascinatori di folle sono sempre “pericolosi” per tutti i regimi e gli establishment.

 

QUELLO CHE POCHI SANNO

Senza farsi sentire Luigi Scattolini, il marito della sorella Maria, ci racconta in disparte le sue esperienze dirette vissute in Brasile al seguito del cognato.

 

Con la sorella Maria e il cognato Luigi

 

Al mare con i parrocchiani

 

«Lo riaccompagnammo nel 2004 nel viaggio di ritorno dopo uno dei suoi rarissimi periodi di riposo in Ascoli, io e mia moglie – racconta ancora incredulo – mentre recuperavamo i bagagli sentivamo un gran vociare di folla all’esterno. Era quasi mezzanotte. Pensai all’arrivo con il nostro volo di campioni dello sport o di divi dello spettacolo, ma quando uscimmo scoprii che centinaia di persone erano arrivate lì solo per accogliere lui. Con fischietti e striscioni di bentornato. Una lunga ovazione da stadio lo salutò, prima di una serie interminabile di caldi abbracci che lì credo siano i più forti del mondo».

Le sorprese per “Giggino” Scattolini e Maria, la sorella di Fra’ Flo’, coccolata come una parente stretta da chiunque la incontri, non finiscono mai. «Siamo rimasti due mesi a girare in lungo e in largo quelle regioni – racconta sempre Scattolini –  insieme, e non c’è stato un solo giorno che non venisse fermato per la strada, e sommerso di affetto. E anche noi, i suoi affetti più vicini, con lui. Un giorno passeggiando per il centro di Aracajù mi è caduto l’occhio su una targa con la quale avevano intitolato la piazza. A Padre Francesco Pecorari c’era scritto. Non ce l’aveva mai detto…».

 

La targa con cui gli è stata intitolata una piazza ad Aracajù

 

«Non è importante questo – si giustifica Fra’ Flo’ – e poi molte cose, anche a causa dell’età, me le dimentico proprio. Ho fatto solo e sempre ciò che ho potuto». E’ bastato questo per spingere la gente ad appendere in molte case il suo ritratto sotto il Crocifisso. Fra’ Flo’. Un po’ guida spirituale. Un po’ nume protettore. Lo fermano per le strade solo per abbracciarlo. Forte. Come si usa fare solo qui, con le persone a cui vuoi bene davvero. Africa e America latina, ricco serbatoio di vocazioni. Come avvenuto in Europa e in Italia nei secoli scorsi ora anche in questi continenti sono spesso la miseria e la fame a spingere i giovani verso i voti religiosi. La comunità di Cappuccini brasiliana è oggi molto più numerosa di quella marchigiana che l’ha fatta nascere. La buona pensione di ex insegnante di Padre Pecorari la incassa, da sempre, il suo convento per sostenersi. Con lui il tu viene spontaneo. «Non sono né un monsignore, nè un onorevole – rassicura – anche il tu va benissimo…». Il suo maestro è stato Fra’ Miguel (Michelangelo) che si è spento in questa terra lontana a 104 anni.

 

Con padre Miguel

 

Era di Cingoli, e il suo nome prima di indossare la tonaca con il cappuccio era Cesare Serafini. Un’altra vera e propria istituzione da queste parti, dove era arrivato nel 1935, che ha già visto avviato il processo di beatificazione. Fra’ Flo’, grazie alla sua influenza sulle autorità locali, ha ottenuto, eccezionalmente, il permesso di poterlo tumulare all’interno della chiesa che lui stesso aveva edificato. Cose da Cappuccini. Il giorno dell’arrivo della primavera Padre Pecorari tornerà dunque in Brasile. In aereo, come si usa oggi. Il suo passaporto brasiliano in tasca. Il biglietto è di sola andata.  La sorella Maria, che si è presa cura di lui in questi ultimi dieci anni, piangerà ancora una volta. Ma è contenta per lui. Torna, stavolta, davvero a casa sua. Dove ha vissuto più a lungo. Dove sta bene. Dove il calore della gente scalda più del sole che pure splende sempre. E sempre si abbracciano, forte, le persone che porti nel cuore. Dove tutti lo conoscono. Lo salutano per la strada. E lo amano. Solo quello conta.

 

Con il cognato Luigi Scattolini

 

L’accoglienza dei fedeli brasiliani ad ogni suo ritorno

 

 

SE VI SIETE PERSI “LE STORIE DI WALTER LUZI”…..

 

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