L’edificio ex Oda, dove è avvenuta la fuga di monossido
di Maria Nerina Galiè
Sono passati più di tre anni (era il 7 gennaio 2021) dall’episodio accaduto a Comunanza, nella scuola dell’infanzia ex Oda, dove si è sfiorata la tragedia per la fuoriuscita di monossido di carbonio da una caldaia.
Alcuni bimbi ed un insegnante hanno accusato malore e si sono rivolti al Pronto Soccorso.
Nessuna grave conseguenza, per fortuna, ma da quel momento sono scattate le indagini per capire eventuali responsabilità, con le famiglie dei piccoli alunni che, assistite dall’avvocato Olindo Dionisi, hanno fin da subito chiesto chiarezza attraverso le vie legali.
Mossa che ha portato la Procura all’apertura di un fascicolo contro ignoti. Nel mirino erano finiti il sindaco di Comunanza, Alvaro Cesaroni, ed il parroco don Luca Rammella, in qualità di legale rappresentante della Confraternita del Santissimo Sacramento, proprietaria dell’immobile.
Era stata fissata l’udienza predibattimentale, poi rinviata. La prossima è in programma per il 30 settembre.
A far tornare sotto i riflettori, nel frattempo, quello che è successo il 7 gennaio 2021 è stato il sindaco Cesaroni, che ha diffuso pubblicamente un opuscolo dove torna sull’argomento: “… per la vicenda della presenza del monossido di carbonio nelle sede provvisoria dell’asilo, dove la responsabilità di assicurare assistenza ai nostri bambini e alle famiglie è stata ripagata con una querela firmata da ben 38 genitori per la quale ad oggi non è stato disposto ancora neanche il rinvio a giudizio”.
L’avvocato Olindo Dionisi
Quanto scritto dal primo cittadino non è piaciuto ai genitori che, chiamati in causa, hanno chiesto all’avvocato Olindo Dionisi di parlare per loro conto: «Quale difensore dei genitori costituitisi parte civile nel processo relativo alla fuga di monossido di carbonio all’asilo di Comunanza e dietro loro incarico, viste le affermazioni del sindaco contenute nell’opuscolo distribuito alla cittadinanza ed in risposta alle “accuse” del sindaco di far parte di quelle 38 famiglie che hanno “ingratamente” denunciato i gravi fatti avvenuti, i miei assistiti si vedono costretti a ribadire e precisare alcune cose».
Il legale sottolinea che «la denuncia-querela in questione fu sporta contro ignoti e non certo contro il sindaco, che solo a seguito delle opportune e necessarie indagini della Procura è diventato imputato nel processo, in quanto dalla stessa ritenuto (in ipotesi) uno dei responsabili».
Dionisi precisa anche che «il processo è in corso, con prossima udienza dinanzi al Tribunale fissata per il prossimo 30 settembre 2024, ed i genitori sono stati ammessi a costituirsi parte civile contro gli imputati, quindi legittimati dal giudice a partecipare ad esso quali parti lese dai fatti di cui gli imputati sono accusati.
Il meccanismo del rinvio a giudizio del sindaco è sostituito dalla sua citazione a giudizio, avvenuta per l’udienza predibattimentale del 26 giugno 2023, poi differita per ben 2 volte a seguito di richiesta della difesa dell’altro imputato di tentare una definizione bonaria con i genitori, cui si sarebbe associato anche il sindaco, quantomeno a detta del suo legale, che non si è mai opposto alle richieste di rinvio».
«I genitori – si legge ancora nella nota dell’avvocato – non vogliono soldi per sé stessi, bensì giustizia e verità, la stessa che diceva di volere il sindaco nelle dichiarazioni dell’epoca, ove affermava che l’amministrazione comunale voleva andare in fondo alla vicenda “con assunzione di responsabilità per ogni sostanziale negligenza dovesse emergere al suo interno”, il tutto (affermava ancora Cesaroni) “per dare una risposta chiara, doverosa ed inequivocabile ai bambini, ai loro genitori ed alle insegnanti».
«Ad oggi – conclude il legale – nessuna risposta è stata data dall’amministrazione comunale ai genitori, che, anzi, sono stati invitati a desistere dalle loro azioni, sul presupposto che in fondo non sarebbe successo nulla, visto che “non ci è scappato il morto”.
I genitori sono stanchi di tali improprie ed infondate “accuse”, culminate nelle frasi del sindaco divulgate alla cittadinanza. Per cui, chiamati in causa pubblicamente, hanno ritenuto doveroso replicare, sia per difendere la propria dignità che per tutelare i loro figli e la verità di quanto accaduto».
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