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La chiesa romanica di San Giovanni ad Insulam, nella valle abruzzese delle Abbazie

LA SUGGESTIVA costruzione è conosciuta anche come San Giovanni al Mavone. Faceva parte di un complesso monastico del quale rimangono ruderi, vicino al ponte sul fiume omonimo. Splendido il panorama: il luogo è alle falde del Gran Sasso, il rilievo più elevato dell’intera dorsale appenninica. Il nuovo reportage del prof Vecchioni
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San Giovanni ad Insulam (o al Mavone) dalla strada provinciale per Isola del Gran Sasso

 

di Gabriele Vecchioni

 

(ove non specificato le foto sono dell’autore)

 

Qualche tempo fa, Cronache Picene ha dedicato un articolo alla bella chiesa abbaziale di Santa Maria in Ronzano (leggilo qui), un interessante edificio sacro inserito nell’itinerario storico-religioso abruzzese della Valle delle Abbazie. Non lontano da quell’emergenza insiste un altro bel monumento, la coeva chiesa romanica di San Giovanni ad Insulam, così denominata per la vicinanza al centro abitato di Isola del Gran Sasso, località ben nota per diversi motivi: profani (è base di partenza per escursioni al massiccio del Gran Sasso d’Italia) e spirituali (qui si trova il frequentato santuario di San Gabriele dell’Addolorata, uno dei santi “moderni” più amati dai fedeli).

La facciata della chiesa con, a dx, i ruderi del convento

 

La storia di San Giovanni è assai scarna di notizie e mancano atti che ne raccontino le origini e le fasi iniziali di costruzione; le prime tracce documentali sono quelle di un decreto di Papa Lucio II (del 1184), dal quale si evince che nel sec. XII la chiesa già esisteva. L’edificio, nel corso del tempo, non ha subìto modifiche sostanziali nella sua struttura e nello stile (romanico). A lato della chiesa rimangono le rovine del convento dei benedettini di Montecassino («Il convento aveva una struttura lunga e stretta, lungo la quale trovavano posto le celle dei monaci; un’ampia sala alla fine del corridoio consentiva le attività comuni», FAI-I luoghi del cuore, 2022), distrutto probabilmente da un terremoto.

 

L’edificio. La mancanza di documenti ha portato a diverse ipotesi relative alla sequenza costruttiva dell’edificio, in particolare della cripta che viene attribuita a un edificio preesistente (antecedente all’anno Mille); altri la inseriscono in un unico disegno progettuale anche se realizzata in tempi diversi dal resto della costruzione.

Resti della struttura conventuale. Nella foto in basso, sullo sfondo, il Paretone del Gran Sasso

 

La cripta fu realizzata (sec. XI) prima dell’edificazione della chiesa (secc. XII-XIII) e per le mura furono utilizzate pietre squadrate in maniera grossolana (per l’edificio ecclesiale il taglio è più raffinato); l’ambiente ha tre navate, la centrale delle quali ha un altare ed è absidata, in correlazione con l’abside superiore.

 

Si entra nell’ipogeo, che prende luce da piccole finestre strombate (si ricordi che il termine cripta viene dal latino crypta, che indicava un locale sotterraneo), passando per due ingressi posti alla fine delle navate laterali dell’aula. Lo spazio, dal tipico impianto benedettino, con la copertura delle vòlte a crociera, è ricavato sotto il presbiterio ed è un’ampia area quadrata di circa 10 m di lato.

 

L’esterno. La facciata dell’edificio sacro, in stile romanico, fu realizzata tra la fine del sec. XII e il successivo e completata con un coronamento orizzontale, con mensole e archetti pensili: la decorazione gira lungo tutto il perimetro delle mura ed è interrotta solo dove è stata inserita la torre campanaria. A questo proposito, il campanile, successivo alla fabbrica originaria, è di fattura piuttosto rozza ed è fuori scala per l’edificio; termina con una vela a due fornici ed è sostenuto da una scarpa di mattoni.

L’abside rivolta ad est

 

Il prospetto ha un portale rialzato da alcuni gradini, un oculo e due bifore laterali, con un aspetto raro a trovarsi negli edifici sacri abruzzesi. Ignazio Carlo Gavini, autore di una ponderosa opera sull’architettura abruzzese, ritiene che questa facciata a terminazione piana e archetti pensili sia stata la prima ad essere adottata per gli edifici monumentali in Abruzzo e utilizzata, poi, come prototipo architettonico, per lo stile di altri edifici abruzzesi dei secc. XIV e XV, soprattutto nel territorio aquilano.

 

Alla parete, qualche buca pontaia: i cosiddetti “fóri da ponte”, piuttosto comuni nell’edilizia medievale, avevano il compito di sostenere i ponteggi necessari per eventuali lavori edili.

 

Le pareti laterali della costruzione presentano finestre a feritoia di piccole dimensioni e, in alto, le tracce di interventi successivi di sopraelevazione dell’edificio, evidenziati dagli strati alternati di pietre conce e fasce di laterizio di colore rosso con una serie di monofore. Sotto lo spiovente del tetto, la cornice di coronamento di mattoni “a spinapesce e archetti pensili. Il prospetto posteriore presenta un’alta parete absidale scandita da lesène a colonna. La differente tipologia delle pietre lascia intuire che l’abside sia stata completata in due fasi distinte.

 

Il portale principale è datato dagli esperti nella prima metà del sec. XII e spicca sulla facciata per lo schema originale e i ricchi decori. È inserito in uno spazio rettangolare sormontato da un’edicola con, all’interno, una lunetta decorata con girali d’acanto, riproposti nell’architrave. Gli stipiti, anch’essi in conci di pietra di colore bianco, sono composti da pietre decorate da bassorilievi rappresentanti figure zoomorfe o mostruose «di gusto liberatoriano» (riferibili, cioè, all’abbazia di San Liberatore a Majella, a Serramonacesca). Il semplice portale laterale che si apre a destra serviva per collegare la chiesa a una torre laterale.

L’edicola sul portale d’ingresso (foto C. Ricci)

 

Il tema iconografico del leone e degli animali fantastici. I bassorilievi di San Giovanni meritano un approfondimento, seppur breve, almeno per quello che riguarda la simbologia. In basso, due leoni dal volto umano “affrontati”, cioè posti simmetricamente uno di fronte all’altro. Sullo stipite di sinistra, un motivo vegetale, un drago “sputafuoco”, una leonessa rampante e due sfingi alate; su quello di destra, due uccelli sorreggono con il becco un tralcio, un grifo rampante con una foglia d’acanto stilizzata e un drago che azzanna un serpente.

 

A San Giovanni al Mavone, uno dei temi più “usati” è quello del leone. La figura leonina è stata utilizzata di frequente nelle rappresentazioni plastiche e nei bassorilievi medievali: la sua diffusione si deve, oltre che per l’esempio di modelli dell’antichità classica, per le citazioni nei testi sacri e nei bestiari. La presenza dei leoni affrontati ai lati dell’ingresso ha lo stesso significato dei leoni stilofori nelle chiese con pròtiro (il piccolo portico cuspidato davanti all’ingresso principale della chiesa): metafora del Cristo (il Bene) vincitore sul Male o della Chiesa che difende la dottrina dalle eresie. Il secondo animale da considerare è il drago, volatile con artigli alle zampe o rettile serpentiforme (nel caso dell’abbazia abruzzese, raffigurato mentre sputa fuoco e mentre azzanna un rettile). Il drago è la raffigurazione del Male, spesso identificato con il Diavolo che, in epoche più vicine alla nostra, è raffigurato mentre viene sconfitto da santi-guerrieri (San Michele Arcangelo, San Giorgio). Diverso è il caso del grifone, animale composito fantastico derivato dall’unione di un animale terrestre (il leone) e un animale dei cieli (l’aquila): nel Medioevo, per la cristianità simboleggiava la doppia natura di Gesù Cristo (umana – e quindi “terrestre” – e divina al tempo stesso).

I bassorilievi dei leoni affrontati (foto C. Ricci)

 

L’interno. La chiesa fu completata nel sec. XII, utilizzando conci di pietra di maggiore qualità e aumentando le dimensioni dell’edificio che fu avanzato occupando parte del piazzale antistante l’edificio.

 

Lo spazio interno dell’aula ha il pavimento diviso in due livelli di calpestìo raccordati dai gradini di una scala, alla fine della campata centrale: è la classica suddivisione che prevede la parte bassa per i fedeli e quella sopraelevata per i celebranti (il presbiterio). L’ambiente ha una struttura basilicale ed è marcato da tre navate (quella centrale absidata). La calotta dell’abside conserva i resti di un affresco del 1421 raffigurante, in una mandorla, la figura seduta del Salvatore; ai lati, la Vergine e San Giovanni Battista, con due piccoli angeli.

 

Qualche riga sul simbolismo della mandorla nell’arte cristiana. Ci guida Alfredo Cattabiani che, nel suo Florario (1996) scrive che «Fin dall’antichità la mandorla ha ispirato simboli divini perché essa interpreta l’essenziale celato sotto l’apparenza, ovvero il cuore dell’essere […] Il riflesso luminoso a forma di mandorla che circonda la Madonna o il Cristo in maestà nelle opere d’arte medievali simboleggia l’emanazione della luce divina nell’apparizione di Dio e, nello stesso tempo, la velatura di questa luce per chi lo contempla […] La mandorla può evocare il Cristo stesso perché la sua natura divina era celata nella sua natura umana».

I draghi; quello superiore ha un serpente tra le zanne (foto C. Ricci)

 

Condizioni attuali. San Giovanni ha subìto gravi danni per il cosiddetto “terremoto dell’Aquila” (2009), con il crollo del campanile e il collasso del tetto; ulteriori danni hanno causato le scosse del 2016-17 che hanno portato alla chiusura anche dell’area esterna. Solo nel 2018 è stata possibile la riapertura del complesso, attualmente visitabile a richiesta (per piccoli gruppi). L’interno appare spoglio e sorretto dalle strutture per la messa in sicurezza; anche le basse colonne che sorreggono le vòlte della cripta sono circondate da strutture che le rendono sicure.

 

Il grifone

L’interno dell’edificio; nella foto a dx, i ponteggi di protezione (foto Min. Cultura e G. Vecchioni)

Pietra istoriata con motivi vegetali, all’interno dell’aula

La cripta

La statua processionale del santo dedicatario, dalla cripta

 


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