di Walter Luzi
Per il Piceno Cycling Team Ceci di Ascoli il campionato mondiale Master sulla pista di Roubaix comincia benissimo. Anzi malissimo. L’esultanza per il successo di Francesco Ceci nel chilometro da fermo dura infatti solo pochi minuti. Vittorioso in pista, il campione ascolano, è subito umiliato a tavolino. Peggio. Sulla soglia di quel gradino più alto del podio, dove sarebbe salito di lì a poco a ritirare dalla stessa federazione internazionale la meritatissima maglia iridata. La seconda, dopo quella di Rio, nel giro di sette mesi.
Una frittata alla francese, ma avvelenata, stavolta, e tutta da raccontare, quella riservata a Francesco. Una carriera sportiva costellata di successi, ma anche di troppe, cocenti, delusioni come questa. Lo scippo tragicomico patito a Roubaix è l’ultimo oltraggio di un destino cinico e baro per lo sprinter ascolano, alla sua prima partecipazione ad un mondiale master. Categoria 35-39 anni. Un appuntamento prestigioso per poter saggiare la sua competitività, frutto degli allenamenti che ha continuato a condurre in proprio, fuori dall’orario lavorativo, nella palestra che si è fatto in casa. Significa sacrifici. Grossi. Come quelli, anche economici, che la sua storica squadra di famiglia, la Piceno Cycling Team Ceci, sostiene per l’iscrizione e la lunga trasferta nelle Fiandre francesi.
Iscrizione regolarmente accolta dall’organizzazione settimane fa e perfezionata dal suo team. Si parte, dunque. Riconoscimento al suo arrivo, e assegnazione del numero di gara. Tutto a posto. Pronti. Via. E Francesco vince ancora. In pista va come un treno facendo segnare, nella finale del chilometro da fermo, il miglior tempo, 1’,03’’,112’’’. 328 millesimi in meno del secondo classificato, l’australiano Ashley Braszell. Più staccato, di una eternità, due secondi e mezzo, il terzo, il ceco Vitous Pavel. Per Francesco Ceci è la seconda maglia iridata di campione del mondo in un anno, dopo quella conquistata a marzo a Rio de Janeiro. Fu quella una medaglia d’oro storica per l’Italia, al suo primo successo mondiale con i pistard paralimpici nel Team Sprint doppio tandem B, insieme al compagno Stefano Meroni e alle girls azzurre Chiara Colombo ed Elena Bissolati. Un trionfo che non bastò però a portarli tutti alle Olimpiadi di Parigi.
Ma prima che risuonino nel monumentale “Le Stab”, il Vélodrome Couvert Régional Jean-Stablinski, le note dell’inno di Mameli, si consuma la beffa per Francesco Ceci. O meglio la farsa. Le versioni fornite a caldo dai dirigenti dell’UCI sono contrastanti. La più plausibile è che sia stato il concorrente australiano, battuto sul filo dei millesimi di secondo, a presentare un fulmineo ricorso. Altrettanto straordinariamente fulminea sarebbe stata la decisione dell’Uci domiciliata in Svizzera, ma che, nell’occasione, non si è dimostrata però precisa come i suoi proverbiali orologi. Un’altra versione fornita in quei concitati minuti allo staff ascolano infatti (e qui siamo veramente alle comiche) vuole che sia stato addirittura un anonimo spettatore a suggerire nell’orecchio del comitato organizzatore l’infamante, e surreale, capo d’accusa a carico del pistard italiano.
Va squalificato perché non avrebbe dovuto essere lì. Né a correre, né, tanto meno, a vincere. Non ne aveva, si scopre solo in quel momento, diritto. Peccato solo che se ne accorgano un pelino troppo tardi gli zelanti e inflessibili svizzeri. Che intendono come equiparato, ma solo allora, all’improvviso, e non in fase di vaglio e accettazione della sua richiesta di partecipazione (incamerando anche la relativa e sostanziosa quota di iscrizione) un oro mondiale come guida paralimpica (vinto effettivamente dall’ascolano a Rio de Janeiro, nessuno lo nega, nel tandem con l’ipovedente comasco Meroni) ad un equivalente per Elite normodotati. Equiparazione mai esplicitata in nessun articolo del regolamento che Ceci avrebbe, eventualmente, violato. E che neppure la federazione internazionale avrebbe mai così interpretato (fino al presunto ricorso avverso) financo accogliendo, senza riserve, la sua richiesta di iscrizione alla competizione.
Allo sconcerto iniziale per il cavilloso dietrofront, fanno seguito la rabbia e le veementi proteste dell’entourage ascolano. A Roubaix Francesco è stato infatti accompagnato dal papà Claudio e dai compagni di squadra Cristian Berardi e Dario Zampieri, campione mondiale Master 40-44 in carica nella Velocità. La cugina di Francesco, Chiara, che vive in Belgio, a Bruxelles, anche lei al “Le Stab”, con l’esultanza strozzata in gola dalla cervellotica decisione, fa da interprete con i notabili dell’Uci per cercare di capirci qualcosa. Ma non c’è niente da fare. La classifica ufficiale, da poco redatta e resa nota, viene stracciata. Francesco Ceci, privato della vittoria, viene buttato fuori senza tanti complimenti anche dalle restanti gare. Incredibile. Vergognoso anche. Perchè una cosa del genere non si è mai vista, e non si concepisce a certi livelli. Ma tant’è.
Tutto il team ascolano ha passato la domenica a cercare di smaltire la delusione in famiglia, a casa di Chiara, a Bruxelles. Mettendo cento chilometri di distanza fra loro e la grande ingiustizia subita a Roubaix. Sforzandosi di soffocare le polemiche, cercando di sbollire rabbia. Ma stavolta è dura. Però c’è da concentrarsi subito sulle prossime gare. Oggi lunedì 7 ottobre tocca a Zampieri sui 750 metri da fermo nella categoria 45-49 anni, mentre nei prossimi giorni dovrà difendere il suo titolo mondiale nella Velocità classica, lo Sprint come lo chiamano qui, conquistato lo scorso anno a Manchester. Poi toccherà a Cristian Berardi nella corsa a punti e nello Scratch. Francesco Ceci, il loro capitano, dalla tribuna, sarà anche il loro primo tifoso. Di lusso. Aspettando che il telefono squilli a sciogliere, finalmente, i punti interrogativi ancora aperti sulla sua nuova, ormai imminente, stagione in azzurro paralimpico.
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