di Pier Paolo Flammini
Si torna a parlare del misterioso affondamento del motopesca sambenedettese Rita Evelin, avvenuto, in una notte stellata e di mare calmo, il 26 ottobre 2006 (clicca qui). E, dopo il libro “Quel silenzio in fondo al mare” della scrittrice sambenedettese Antonella Roncarolo, pubblicato ormai un anno fa, arriva anche un articolo del giornalista d’inchiesta pugliese Gianni Lannes, specializzato nelle vicende che, a partire dalla Guerra dei Balcani, hanno interessato l’Adriatico negli ultimi trent’annoi.
«Buchi neri e muri di gomma: a rimetterci la vita sono sempre gli ultimi e gli indifesi che sudano un pane amaro notte e giorno, lasciando improvvisamente e per sempre figli, mogli, sorelle e genitori. Cos’ha provocato il repentino affondamento di una moderna e nuova barca da pesca al largo di Pedaso (a 21 miglia da Porto San Giorgio) nell’Adriatico col mare calma piatta e la morte di tre lavoratori?» inizia Lannes.
E quindi Lannes, riprendendo la prima Ansa uscita dopo il naufragio, fa riferimento alla notizia diffusa del gran botto sentito dall’unico superstite, il comandante Nicola Guidi. E si domanda cosa provocò questo gran botto: «Il solito gioco di guerra della Nato con un sottomarino militare che intercettando un cavo della rete a strascico ha trascinato sul fondo l’imbarcazione, oppure la collisione con una nave portacontainer diretta in Turchia? Delle due l’una. Nell’immediatezza dei fatti: un lancio giornalistico dell’Ansa, fa riferimento a un “forte botto”. Cosa ha piegato il cavo d’acciaio di sostegno della rete da pesca a 21 metri dal verricello? E quei danni sulla poppa come si spiegano?»
L’affondamento del Rita Evelin avvenne alle 6,10 di quella mattina, e furono tre i marinai morti nel naufragio: Francesco Annibali di San Benedetto, Luigi Luchetti di Martinsicuro e Ounis Gasmi, tunisino residente a Santa Maria Goretti, frazione di Offida.
«La barca dal peso di appena 17 tonnellate non è mai stata portata a terra dal costosissimo pontone AD3 della subappaltatrice Ilma di Ancona, precettata (per conto del cliente Saipem) unitamente alla società Rana Diving di Marina di Ravenna. Eppure l’ordine del procuratore capo Piero Baschieri da Fermo, delegato all’allora capo di fregata Luigi Forner, a capo della Guardia Costiera di San Benedetto del Tronto era chiaro» continua Lannes.
«A tutt’oggi, il relitto giace a 76 metri di profondità; eppure, secondo il governo italiano, sarebbe stato recuperato. Non è vero – scrive Lannes, che poi pubblica alcune informazioni che faranno discutere – Il 23 settembre 2024 ho telefonato all’Ilma e il funzionario responsabile, Stefano Marchionne ha riferito testualmente: “A noi la barca risulta recuperata”; salvo dopo un’ora rettificare. “Siamo stati precettati: all’epoca eravamo subappaltatori per conto della società Rana che a sua volta stava lavorando per Saipem. Effettivamente il compito a noi assegnato è stato quello di individuare il relitto e recuperare le salme”. La ditta Rana nel frattempo, pur interpellata telefonicamente si è eclissata e non fornisce chiarimenti. D’altro canto le autorità di ogni ordine e grado hanno eretto il solito muro di gomma: la locale Capitaneria portuale rimpalla il rilascio della documentazione al Tribunale di Ascoli Piceno che, a sua volta, pone un divieto di accesso all’archivio giudiziario per ragioni di sicurezza (amianto)».
«Logica domanda d’obbligo: ma se il luogo esatto d’affondamento era già stato individuato dal peschereccio Luna Nuova di Bisceglie a mezzo del sonar e poi circoscritto dal 1° Nucleo Operatori subacquei della Guardia Costiera di San Benedetto, nonché dai Vigili del Fuoco già il 26 ottobre 2006, che ragione c’era di scomodare un mezzo costosissimo come l’AD3 e non riportare alla luce del sole il Rita Evelin? Oltre alla perdita di tre vite umane anche la beffa, ovvero una truffa con denaro pubblico? In fine dei conti quanto è costata tale operazione? E per quale ragione a fine ottobre 2006 è stato impedito ad un gruppo di subacquei siciliani altamente specializzati e capaci di intervenire gratuitamente; diniego opposto anche ad una locale società di recuperi sottomarini? Cosa non si doveva scoprire e sapere?»
E quindi conclude: «A proposito: attraverso quali modalità esatte – dal fondo marino intrappolate nel motopesca – sono state portate sulla terraferma le tre vittime? La motobarca Rita Evelin è stata effettivamente ripescata per estrarre i cadaveri e poi ri-affondata? Una cosa è certa: un simile corpo di reato parla anche dopo 18 anni e più. La verità prima o poi viene a galla, basta cercarla».
Una oscura vicenda sulla quale sarà d’obbligo tornare ancora.
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