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Giallo dei Sibillini, la sentenza Iacoboni: «Serie di inspiegabili anomalie, una vicenda oscura e complessa»

IL GIALLO DEI SIBILLINI, documenti disseppelliti (Prima parte) – Le carte ottenute da Cronache Maceratesi. Il 3 ottobre 1989 il giudice istruttore depositò le sue conclusioni con un decreto di non doversi procedere. Nonostante questo scrisse: «La prova in positivo dell’assassinio non esiste, ma è altrettanto certo che è ben lontana dall’essere raggiunta la prova sicura o soltanto probabile della morte bianca». Ecco tutta l’indagine che venne svolta all’epoca sulla morte di Jeanette May Bishop e Gabriella Guerin e che oggi è tornata d’attualità con la nuova inchiesta della Procura di Macerata
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Nei riquadri: in basso a sinistra Gabriella Guerin, in alto a destra Jeanette May Bishop. Sullo sfondo la Peugeot 104 nera sepolta nella neve e una mappa realizzata da Epoca ai tempi

di Gianluca Ginella

 

“R.G.I. n. 407/82”. Detto così, dice poco. Ma è questo il numero della sentenza (l’unica di questo caso) con cui il giudice istruttore Alessandro Iacoboni (il 3 ottobre 1989) chiude l’inchiesta sulla morte di Jeanette May Bishop, 41enne inglese, ex baronessa de Rothschild (era stata sposata con il banchiere Evelyn de Rothschild), e di Gabriella Guerin, 40enne friulana, vedova e madre di due figli. I loro resti vennero ritrovati il 27 gennaio 1982 vicino Podalla di Fiastra, nella radura di un boschetto.

Cronache Maceratesi ha ottenuto la sentenza che da anni “riposava” negli archivi del tribunale e che ora rispolveriamo per raccontare la vicenda con particolari che in pochi conoscono.

 

All’epoca Iacoboni (scomparso il 20 marzo 2019) era in forza al tribunale di Camerino e la sentenza è un “decreto di non doversi promuovere azione penale”. Nelle 87 pagine di cui si compone viene ripercorsa l’intera vicenda, le piste seguite, i dubbi, le stranezze, il mistero di Innsbruck (a cui il giudice dedica molte pagine e di cui parleremo nella seconda puntata).

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Il giudice Alessandro Iacoboni

 

«Gli elementi raccolti durante le indagini – scrive – hanno evidenziato una serie di anomalie e discrepanze che difficilmente possono essere ricondotte al mero caso», il loro insieme conferisce «alla vicenda un carattere particolarmente oscuro e complesso».

 

Ma alla fine «nessuna delle risultanze acquisite nel corso delle lunghe indagini si può dire probante dell’ipotesi criminosa; d’altra parte, di ben superiore momento sono gli aspetti che in tal senso depongono, a fronte dell’assoluto difetto di prova dell’asserto contrario, secondo cui null’altro che la morte bianca spiegherebbe la fine delle due donne».

 

Per il giudice «Nonostante l’assenza di prove dirette, le dinamiche emerse sembrano suggerire l’esistenza di un contesto che potrebbe aver favorito, se non determinato, un evento tragico riconducibile a un’azione dolosa». E ancora in un altro passaggio dice «La prova in positivo dell’assassinio, dunque, non esiste, ma è altrettanto certo che è ben lontana dall’essere raggiunta la prova sicura o soltanto probabile delle morte bianca».

 

A oltre sette anni dalla scoperta dei corpi delle due donne e a quasi dieci anni dalla loro scomparsa nella fredda sera del 29 novembre 1980, gli inquirenti dovettero sventolare bandiera bianca.

 

DALL’INIZIO – Il giudice nella sentenza ripercorre le testimonianze e comincia dal 30 novembre 1980, giorno successivo alla scomparsa, quando il geometra di Sarnano Nazzareno Venanzi che si occupava della ristrutturazione della casa che Jeanette e il marito, Stephen May, avevano comprato a Sarnano, lancia l’allarme.

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Nazzareno Venanzi sentito nei giorni scorsi alla caserma di Tolentino

 

Venanzi, sentito nei giorni scorsi nel corso della nuova inchiesta sulla morte delle due donne aperta dalla procura di Macerata, segnala ai carabinieri di Sarnano la scomparsa di Jeanette e di Gabriella. Venanzi, scrive il giudice «era restato in compagnia delle due donne fino alle 12,45 del giorno precedente la scomparsa» e «manifestò il timore di una disgrazia avendo esse esternato il desiderio di recarsi in montagna».

 

Il giudice ricostruisce il loro ultimo giorno in base alle indagini dei carabinieri: «Rilevante devesi considerare il comportamento delle due donne durante il giorno 29 novembre.

 

Si ha certezza che la May manifestò al Venanzi l’intenzione di recarsi in montagna; altrettanto certo è che le due donne, a bordo dell’autovettura targata SI, vennero viste recarsi in montagna sia verso le 13 (quindi dopo essere state lasciate dal Venanzi), sia nel primo pomeriggio (seguite da altre vetture).

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La prima pagina della sentenza

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L 29 NOVEMBRE – E’ altrettanto certo che esse vennero nuovamente viste in Sarnano tra le 16,15 e le 17, sia da parte del commesso della ditta Murra (ove si recarono per saldare una fattura) sia da parte dei testi Giuliana Giovagnoli e Mario Arrà (marito e moglie, ndr); la prima, infatti, le vide ancora all’interno della pensione ove esse alloggiavano, mentre il secondo riferisce, con encomiabile precisione, di aver notato il transito dell’autovettura targata SI (quindi Siena, ndr) intorno alle 17,e comunque proprio allorquando si accendeva l’illuminazione pubblica. L’avvocato Daniele Talocco (ora scomparso, ex vice pretore a San Ginesio, ndr) che aveva avuto rapporti professionali con la May, afferma, ancora, di essere certo di aver visto l’autovettura, presumibilmente con le due donne a bordo, discendere dalla parte alta del paese oltre le 19 (in altro punto il giudice scrive come orario le 19,20, ndr), e indica specifici elementi che lo rendono certo del giorno.

 

Più di una volta, dunque, le due donne intrapresero la strada per la montagna e ne ritornarono in Sarnano, e di certo fecero il loro ultimo viaggio in ora a dir poco inopportuna; sicuramente non prima delle 17, e addirittura dopo le 19 per quel che riferisce l’avvocato Talocco. Inesplicabile è un comportamento di tal fatta, e nessuno, infatti ne ha tentato, in sede di preliminari indagini, una qualsivoglia spiegazione. Salvo volersi affidare, anche per tal profilo, alle incerte trame dell’imponderabile non resta che concludere – in reale sintonia con il comune sentire – che la gita in montagna non fosse che una delle ragioni del viavai delle due donne da e verso Sarnano, altri eventi (tuttora non accertati) potendo, presumibilmente, aver richiamato la loro presenza».

 

Su quel pomeriggio il giudice conclude: «A meno di non voler affermare che esse fossero d’improvviso uscite di senno, occorre ritenere che qualcosa o qualcuno indusse le due poverette a reiterare un’inesplicabile escursione notturna su di una montagna ormai più che minacciosa; ed è ben arduo affermare, anche solo per ipotesi, che la causa di tale condotta fosse, ancora una volta, ascrivibile alla volontà di svolgere una gita in montagna».

 

Una certezza su quel pomeriggio, dice il giudice, è che Jeanette «non onorò un impegno da essa medesima voluto con Vittorio Porfiri (con cui prese appuntamento per le 14,30 del 29 novembre, ndr)». Porfiri era l’uomo che aveva venduto la casa colonica a Jeanette e al marito.

 

Nella sentenza viene citato un testimone, Primo Valori, che intorno alle 16 di domenica 30 novembre avrebbe visto una vettura di grossa cilindra targata Siena con due persone a bordo, una delle quali sicuramente donna, in località Pian di Pieca.

 

«Tale vettura era seguita da altra più piccola di colore scuro, a coda tronca, ugualmente targata SI (e le due donne giravano con una Peugeot 104 nera targata Siena, ndr). In tale vettura vi erano due persone, una delle quali donna, e a dire del Valori, somigliante alla May» dice il giudice. Quindi si parla di un avvistamento avvenuto il giorno successivo la scomparsa, quando però in montagna già nevicava (mentre non nevicava il 29), tanto per non complicare le cose. Sulla Peugeot 104 nera, nella sentenza si precisa che era stata messa a disposizione delle due donne da un amico di Jeanette, un britannico, Charles Raymond Flower, che risiedeva a Castellina in Chianti. Sull’auto, il giudice nella sentenza sottolinea che quando venne trovata era funzionante e le gomme erano a contatto con l’asfalto, dunque non si era fermata per un guasto e non nevicava ancora quando era stata arrestata. La nevicata, come riferito ancora nella sentenza, era arrivata il giorno successivo.

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Un articolo de Il Messaggero dell’epoca

IL FOGLIETTO E IL TELEGRAMMA – Altro dettaglio citato dal giudice nel ripercorrere le indagini, ma di cui poi non si fa più cenno nella sentenza (evidentemente perché una pista che non port a nulla): il 4 dicembre 1980 il marito di Jeanette consegnò alla pg un foglietto manoscritto trovato nella camera d’albergo della moglie con scritti alcuni numeri di telefono e le parole in inglese «Please do not hesitate». Le utenze facevano riferimento a tre uomini (vengono indicati solo i nomi ma non è specificato chi fossero) e ad un ristorante di Sperlonga.

 

Il giudice si sofferma anche sul furto di gioielli alla sede romana della casa d’aste Chististie’s (30 novembre 1980) e sul telegramma arrivato all’albergo Ai Pini di Sarnano, dove erano scese le due donne, da tale Roland che scriveva «Attendoti Tito Livio 130 int.3, Roma». Il mittente era indicato come “Peppo, Po 55 Roma”. Anche al direttore della casa d’aste derubata arrivò un telegramma (a lui il 3 dicembre a Jeanette il 6 dicembre) in cui tale Roderigo diceva che il possibile recupero della refurtiva poteva avvenire in via Tito Livio interno 3. Nell’appartamento non venne trovano niente di utile per le indagini. Il giudice in merito ai telegrammi dice che dalle indagini emerse che potrebbero essere stati opera di una donna peruviana che aveva dei contrasti con due donne che vivevano in quello stabile. Ma rileva che «non sembra del tutto compatibile con le condizioni sociali della donna un’architettazione di tal fatta, che presuppone, oltre che una buona conoscenza della stampa, anche una certa capacità ideativa, benché maliziosamente orientata».

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DUE CERTEZZE – In un altro passaggio il giudice ammette che «Gli elementi certi sono, invero, soltanto due: il primo, che le due donne siano state rinvenute alla fine del canalone di Rio Bagno, nei pressi di una radura raggiunta da un sentiero, e in prossimità della frazione di Podalla; il secondo, che esse, per un tempo indeterminato, si trattennero in casa Galoppa». Su questo il giudice poi chiarisce che non è certo al 100 percento che siano state lì. Però dice che nella casa, che era stata usata da alcuni pastori e lasciata in ordine, vennero trovati diversi mobili e sedie bruciati nel camino, capelli nel bagno alcuni dei quali per i Sis dei carabinieri sarebbero di Jeanette, tracce di olio in due piatti (nonostante in casa non fosse stato lasciato cibo). Inoltre quando vennero trovati i corpi Gabriella Guerin aveva con sé una forchetta identica a quelle di casa Galloppa.

 

PODALLA – Sul ritrovamento dei corpi nel boschetto divino a Podalla di Fiastra: «Rilevante era, in modo particolare, la deposizione di Elio Annavini – dice Iacoboni -, medico veterinario in Fiastra, il quale affermava di essersi recato in varie occasioni nei pressi del luogo di ritrovamento dei resti per porre trappole contro le volpi; specificamente rammentava, sulla scorta di sopralluogo, di averne posta una a distanza di quattro metri dal punto ove giacevano» e uno spago usato per le trappole venne in effetti trovato a pochi metri dai corpi. Anche altre persone dissero di essere passate in zona senza aver visto niente né sentito cattivi odori come quelli di corpi decomposti.

 

Sugli orologi delle due donne, quello di Jeanette che era a carica manuale indicava la data del 12 dicembre mentre quello di Gabriella indicava il 19 (il suo funzionava a batteria, ndr).

 

Sugli esiti dell’autopsia chiarisce che non si può dire con certezza quando siano morte e sul come non risulta che ci siano ferite che possano far pensare all’utilizzo di qualche arma. Più probabile, se fossero state uccise, che siano state soffocate o avvelenate.

 

IL PRESENTE – Le nuove indagini condotte dai carabinieri del Ros di Roma e del Reparto operativo di Macerata si sono sin qui concentrate sulla rilettura di tutti i documenti di indagine e nell’ascolto di testimoni, sin qui una quindicina che sono stati sentiti il 7 e 8 novembre e poi il 13 e 14 alla caserma dei carabinieri di Tolentino. Non è escluso ne vengano sentiti altri, per chiarire incongruenze, orari, vuoti. Per ora sono state sentite persone della zona di Sarnano e Fiastra, i due comuni in cui si sono svolti i fatti che dà l’idea che la pista seguita sia locale, con buona pace di mercanti d’arte, furti e misteriose telefonate notturne.

(Fine prima parte – Domani la seconda puntata)

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