di Luca Capponi
Cinquant’anni fa se ne andava un grande del cinema. Pietro Germi, regista di capolavori assoluti come “Divorzio all’italiana” (Oscar per la sceneggiatura nel ’63), “Sedotta e abbandonata” e “Signore e signori”, aveva da poco compiuto 60 anni. Una perdita incommensurabile nel mondo della settima arte, per una figura legata a doppio filo anche al Piceno. In primis per la filmografia: “Alfredo Alfredo” con Dustin Hoffman e Stefania Sandrelli, uscito nel 1972, fu il suo ultimo film. E fu girato completamente ad Ascoli, per quello che rappresentò un momento epocale per tutta la città.
Germi, che prima di morire stava lavorando a quello che poi sarebbe diventato l’immortale “Amici miei” diretto da Mario Monicelli, aveva imparato ad amare l’entroterra del sud delle Marche qualche anno prima, nel 1968, quando scelse il territorio di Arquata del Tronto per il suo mitico “Serafino” con Adriano Celentano.
E proprio dall’Arquatano, nel giorno che ne ricorda la scomparsa, arriva un sentito omaggio al regista. Lo hanno ideato Mauro Scoccia e Filiberto Caponi: il primo, autore del libro “Effetto backstage” dedicato alla lavorazione di “Serafino”, un compendio di immagini ed aneddoti sul quel particolare periodo, ha scritto un testo dedicato a Germi; il secondo, poliedrico artista originario della frazione di Pretare, ha realizzato un disegno e composto alcuni versi che poi sono stati posati proprio sulla tomba del regista, che oggi riposa nel cimitero di Castel di Guido, vicino Roma.
«Un giorno venisti in incognito a visitare le nostre amate terre e ti innamorasti subito di loro, delle strade impolverate di Arquata del Tronto, Spelonga, Tufo, Capodacqua, Colle, Pretare e Amatrice -scrive Scoccia -. Arrivato in loco chiedesti ad un giovane oste usi e costumi del luogo senza rivelare lo scopo della tua curiosità, quello di girarci un film. Appena lo seppe, il giovane Guido Franchi, tanta fu la sua gioia, corse fuori dall’osteria e annunciò ai suoi compaesani che le loro amate terre, di lì a poco, sarebbero state invase dalla magia del cinema».
«Oggi qui non rimangono altro che mucchi di pietre di case crollate, tegole di tetti franati, muri spaccati e bucati, balconi sbilenchi, chiese crollate e pericolanti, strade divelte e dissestate – continua -. Caro maestro Pietro Germi quelle furono le location che nel 1968 scegliesti per immortalare con la tua macchina da presa, poiché le trovasti ideali, un mondo arcaico, pastorale che stava scomparendo. Il tempo scorre come le acque nel fiume Tronto, e porta con sé, piangenti, i ricordi di queste nostre amate terre. Ora, qui, regna l’inquietudine, la tristezza, il perpetuo lutto nei nostri cuori, e camminando si fa molta fatica a riconoscere dove poggiasti la tua macchina da presa. Ogni abitazione che fece da cornice alla tua pellicola, seppur seppellita dal manto polveroso, manterrà sempre un particolare tuo ricordo, indelebile, come l’aroma del tuo sigaro toscano».
Tutto in rima, invece, lo scritto di Caponi, corredato da un disegno che ritrae Germi e che riportiamo qui sotto per intero: «Ma noi no, non abbiam dimenticato. Il tuo lascito è tutt’oggi tramandato ed ora più che mai abbiam bisogno di te caro Pietro e non c’è bisogno di voltarsi troppo indietro perché tu eri troppo avanti, oltre l’obbiettivo, ed è per questo che il tuo ricordo è ancora vivo».
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