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L’esorcista, tra superstizione da debellare e scienza come alleata: il punto con il delegato diocesano don Francesco Guglietta  

ASCOLI - Il religioso spiega come si svolge il servizio a cui si rivolgono, nel territorio, una o anche due persone alla settimana: «Il primo passo è capire se davvero c'è l'azione "straordinaria" del diavolo. Spesso il nostro compito è quello di ricentrare la fede»
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Don Francesco Guglietta

 

 

di Maria Nerina Galiè

 

La fede cristiana prende le distanze dalla superstizione mentre si avvale della scienza nell’espletamento del delicatissimo servizio dell’esorcismo che in ogni Diocesi ha il suo delegato, da parte del vescovo, il quale lo ha come mandato derivante dagli apostoli.

 

Un tema complesso quello della “possessione del maligno”, per alcuni difficile da immaginare come reale, per altri troppo facile da attribuire a qualcosa che “va storto” nella vita. Eppure, sempre restando nell’ambito della fede cristiana, il fenomeno è riconosciuto.

 

Nella Diocesi di Ascoli ad avere il mandato di esorcista è don Francesco Guglietta, nominato dal vescovo Giovanni D’Ercole nel 2020, poi confermato da monsignor Gianpiero Palmieri.

«Intanto una precisazione – esordisce don Guglietta – chi esercita questo servizio non ha poteri soprannaturali e non vede cose che gli altri non vedono. Riceviamo la nomina, che possiamo accettare oppure no, e frequentiamo appositi corsi di formazione».

Un ruolo non semplice e che risponde a precisi dettami. E’ d’obbligo chiedere se, nell’esercizio del suo mandato, si è trovato di fronte un caso di possessione.

«No – la risposta del religioso – incontro una, anche due persone alla settimana per questo motivo, non sono mai andato oltre la prima fase, che è quella del discernimento. Consiste nel capire, con l’ascolto, se davvero la persona che si rivolge a noi è vittima dell’azione “straordinaria” del diavolo.

Solo se riteniamo che sia così passiamo alla fase liturgica, chiedendo a Dio di liberare il fedele dall’influsso del maligno.

Ma attenzione, la  preghiera che si recita  nel corso dell’esorcismo non è “liberatoria” ma “invocativa”. Non è una “magia” ma una richiesta di aiuto da Dio e che può avvenire anche in tempi separati dall’espletamento del rito».

 

Don Francesco, può farci degli esempi di persone che si rivolgono a lei?

 

«Ci sono quelle spaventate, che si credono vittime di sortilegi o della cosiddetta invidia. Il mio compito è di rassicurarli. Altri si trovano in particolari situazioni psicologiche, manifestando paranoia o mania di persecuzione. E’ chiaro che lì c’è bisogno di un percorso terapeutico, che molti già seguono e devono continuare a farlo.

Poi c’è il delirio religioso nel quale alcuni trovano rassicurazione ritualizzando ossessivamente forme di preghiera per poi cadere nel baratro se, per fare un esempio, saltano un giro. Lì è importante aiutarli a ripristinare un rapporto sereno con Dio, dove la fiducia deve prendere il posto dell’angoscia.

Il mio compito, in quei casi, è ricentrare la fede cristiana, laddove prevale la credenza in “energia positiva e negativa” che si mischiano in una sorta di “corruzione”, aiutando la persona a recuperare, appunto, la fiducia in Dio, un Padre, che aiuta e sostiene l’uomo nel pericolo e nelle difficoltà. Mai creare suggestione anche con delle semplici preghiere a conclusione dell’incontro».

 

Don Guglietta, ci spieghi meglio il rapporto tra fede e scienza nell’esercizio dell’esorcismo.

«Nel tempo c’è stata senza dubbio un’apertura nei confronti della scienza: anticamente, probabilmente comportamenti affrontati come stregonerie o possessioni del maligno erano vere e proprie patologie come sdoppiamento della personalità o mania di persecuzione. Ora non è più così, anzi, psicologi e psichiatri sono spesso chiamati a diagnosticare e curare le persone che si rivolgono a noi».

 

Ci sono stati però dei casi, anche nei tempi moderni riconosciuti come azione del maligno? E come si riconoscono?

«Per poter ipotizzare che ci sia l’azione del diavolo, questa deve essere palese. Può voler dire dimostrare competenze che non si possono altrimenti avere. Il caso più emblematico è parlare una lingua straniera che la persona proprio non può conoscere. Ma anche situazioni meno eclatanti. Ad esempio durante il corso, uno dei sacerdoti ha riferito di un giovane che, accompagnato dal padre, ha avuto un comportamento diverso in due distinti momenti degli incontri. Ricostruendo la sua storia ed il contesto della sua vita è stato accertato che era vittima di un’azione esterna». 

 

Come riassumere l’atteggiamento della Chiesa nei confronti dei casi di possessione del maligno?

«Su tutto entrano in gioco due fattori. Intanto la prudenza della Chiesa, nell’identificare come “preternaturale” qualcosa che invece la psicologia o la medicina possono spiegare in altri modi.

Inoltre, la visione spirituale della Chiesa non è un vago “immateriale”, alternativa al mondo materiale. Ma una realtà abitata dallo Spirito Santo in cui è chiaro che Dio è sempre più forte del diavolo».


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