Il complesso di San Pietro Apostolo, a Campovalano (Foto G. Vecchioni)
di Gabriele Vecchioni
(foto di Mario Troiani, I luoghi del silenzio e Gabriele Vecchioni)
Campovalano si distende lungo la strada provinciale che collega Ascoli a Teramo (la Piceno-Aprutina, Strada statale 81): è un posto che conserva diverse, rilevanti testimonianze storiche («Una continuità storica sbalorditiva torno torno alla piana, e un “culto dei morti” imperituro, se a fianco del bel San Pietro, ed in mezzo ai sepolcri italici, è tutt’oggi aperto il cimitero di Campovalano, Giammario Sgattoni, 1990»). Vicino all’importante necropoli picena, si erge l’antica chiesa di San Pietro. In questo articolo ne ripercorriamo la storia plurisecolare.
La nostra regione e le aree viciniori dell’Abruzzo possono vantare un numero cospicuo di luoghi sacri. La presenza di chiese e abbazie – vere e proprie opere d’arte – in posti isolati non deve stupire; come ricorda Giovanni Gazzaneo (I luoghi dell’infinito, 2024), nel Medioevo, spazio temporale in cui sorsero questi splendidi monumenti, «il territorio era profondamente sacralizzato: si stima che il Italia vi fosse una chiesa, o una cappella, ogni cento abitanti». Una di queste emergenze storico-architettoniche è a Campovalano, poco distante dalla strada provinciale che collega Ascoli Piceno con Teramo.
Il massiccio dei Monti Gemelli visto da Campli; l’abbazia di Campovalano è ubicata alla base delle montagne
La piana di Campovalano si estende per più di 2 chilometri quadrati, ai piedi del versante orientale della Montagna dei Fiori, a una quota compresa tra i 600 e i 400 m. Il sito è stato sede di eventi importanti, come poeticamente rimarcava il giornalista e scrittore abruzzese (di Garrufo) Giammario Sgattoni: «Meraviglia anche noi che in una plaga in fondo così limitata quanto questa di Campovalano, tra le visioni del mare da una parte e la presenza incombente dei selvosi ed oscuri monti dall’altra, Monte Foltrone e Montagna dei Fiori, si siano potuti addensare nei millenni tanta umanità e tanto umanesimo, eventi d’arte e di storia così originali e di una tale spiccata eloquenza».
«Scavi archeologici […] hanno accertato una continuità di occupazione del sito sin dall’epoca romana. Nelle adiacenze della chiesa si sono infatti rinvenute varie strutture d’età romana, le più antiche pertinenti ad un edificio di prima età imperiale, oltre ad un’abside e altri resti riferiti ad un primo luogo di culto d’epoca tardo-antica. Intorno alla chiesa si sono inoltre rinvenuti vari livelli di vita e focolari attribuibili ad un abitato tardo-antico a capanne con ogni evidenza connesso alla chiesa, e sopravvissuto sino all’altomedioevo (A. R. Staffa, 1999)».
La rara iscrizione dedicata a Giulio Cesare
A lato della strada provinciale che collega Ascoli Piceno con Teramo, vicino all’abitato di Campovalano, una frazione di Campli, si erge la chiesa di San Pietro, nei pressi dell’importante necropoli picena e delle strutture di accoglienza ad essa dedicate. In realtà, si tratta di un complesso monastico che consta di cinque corpi di fabbrica e che, già nella forma, che pure ha subìto pesanti restauri, rivela la sua origine antica, dovuta a monaci dell’ordine benedettino che eressero l’edificio sui ruderi di un tempio pagano, come era consuetudine a quell’epoca. All’ingresso della sagrestia, poi, è murata un’antica testimonianza: un grosso frammento di una statua, con un’iscrizione che inneggia a Caio Giulio Cesare (il “divino” IVLIO).
Vista laterale del complesso abbaziale
L’origine della costruzione si fa risalire ai secc. VII e VIII ma l’edificio che oggi vediamo risale ai secc. XI-XII, realizzato probabilmente dai monaci premostratensi, agostiniani dell’ordine di Norberto di Prémontré, più conosciuto come Norberto di Francia. Si conoscono documenti che la citano come «Ecclesia in honore Sancti Petri qui dicitur in Campli», in occasione del suo conferimento (1050) alla vicina Abbazia di Montesanto (davanti alla Fortezza di Civitella, articolo precedente, leggilo qui). Nel documento citato, «un certo Corbo [la] donò al monastero di San Benedetto ubicato in eodem comitatu iuxta fluvium Truentum e soggetto all’abbazia di Monte Cassino (F. Aceto, 1996)». Più tardi (1127) è ricordata come «Ecclesia Sancti Petri de Campo Gualano [la moderna Campovalano, NdA]».
Per quanto riguarda la dedicazione della chiesa al Principe degli Apostoli «Narra la voce del popolo che il Santo apostolo effettuò da Roma una sortita da queste parti […] e a dedicare più tardi, nelle valli e vallette teramane, chiese e chiesole al fondatore della chiesa (G. Sgattoni, 1964)».
La chiesa.
La poderosa torre campanaria a base quadrata; a sx dell’ingresso dell’atrio a cielo aperto, la pietra incisa con la croce greca, con i bracci di uguale lunghezza
All’esterno, la chiesa colpisce per la massiccia torre campanaria a base quadrata e per il caratteristico ingresso-atrio a cielo aperto, anch’esso a pianta quadrata, dove (anticamente) sostavano i fedeli non ancora battezzati e, quindi, non ammessi ai riti; ricordiamo che, anticamente, il sacramento del battesimo si riceveva in età adulta.
Durante il restauro della chiesa del 1969 sono stati recuperati l’area absidale e la cripta, oltre alla sistemazione dell’interno originale, attribuito alla scuola dei Maestri di Casauria.
La facciata ha un arco ogivale; a sesto acuto sono anche le arcate delle tre navate, impostate su pilastri a sezione rettangolare. La costruzione è dominata dall’imponente, già citata, torre di difesa del convento, a base quadrata, trasformata nel campanile della chiesa.
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Resti della cripta sotto l’area presbiteriale
La navata centrale vista dall’area presbiteriale rialzata
La suggestiva cappella a fianco della navata destra
Il Christus triumphans appeso sopra l’altare
L’interno della chiesa, che per alcuni ricorda la basilica di Santa Maria di Ronzano (leggi qui l’articolo relativo), ha pianta basilicale ed è a tre navate, di cui quella centrale termina con un’abside semicircolare rialzata per la presenza, sotto il presbiterio, di una cripta di modeste dimensioni, con l’altare dedicato a Santa Petronilla; in origine le absidi erano tre (quelle laterali erano più piccole della centrale). Sopra l’altare, un bel crocifisso sospeso con la figura rigida del Christus triumphans.
Prima di continuare la descrizione della chiesa, un approfondimento sull’iconografia della figura crocifissa, una raffigurazione del Cristo che diventa dominante nell’arte medievale.
Il Christus triumphans (= Cristo trionfante) è un tema iconografico relativo alla Crocifissione, molto diffuso in ambito europeo fino al sec. XII: Gesù crocifisso è raffigurato vivo, in posizione eretta, con la figura in posa statica e la testa non reclinata, con gli occhi ben aperti (segno della sua natura divina) e un’espressione non sofferente nonostante sia inchiodato alla Croce con quattro chiodi: è il Cristo vincitore del dolore e della morte, come indica l’attributo triumphans, trionfante. Nell’iconografia che dal sec. XIII diventò predominante, il Cristo “diventa” patiens, cioè dolente.
La sua diffusione si deve soprattutto agli ordini monastici poveri (soprattutto i francescani) che ordinavano queste raffigurazioni agli artisti: mostrarlo con la testa reclinata, gli occhi chiusi e il corpo ferito e inarcato dalla sofferenza, inchiodato da tre chiodi, con i piedi sovrapposti, era un modo di evidenziare la natura umana di Gesù e stimolare il coinvolgimento emotivo dei fedeli alla sua Passione. In estrema sintesi, nel Cristo trionfante si evidenziano la vittoria sulla morte e la speranza della resurrezione; nel Cristo dolente, «in epoca moderna, il mistero salvifico della croce disperde definitivamente l’unità dei due aspetti originari di morte e resurrezione a favore del primo (F. Massacesi, 2014)».
Il sarcofago di Aurelio Andronico
Le murature interne sono in pietra, con file di conci squadrati intervallate da linee di laterizi (mattoni), con frammenti erratici romani e medievali. In particolare, sul muro di sinistra è murata la parte frontale di un sarcofago (di epoca tardo-romana, sec. IV DC) di Aurelio Andronico di Nicomedia, “negoziante di marmi” della Bitinia (attuale Turchia settentrionale) ma residente in loco. Sopra la lastra sono murati due frammenti provenienti da un altro sarcofago (sec. III), parte del già citato monumento dedicato a Caio Giulio Cesare.
L’arco gotico dell’ingresso principale, in fondo al non-comune atrio scoperto
È ancora Sgattoni che racconta «… che nella chiesa di san Paolo [in realtà la chiesa è intitolata a San Pietro Apostolo, NdA] siano restate la rarissima epigrafe d’una statua eretta al divino Giulio Cesare pro Lege Rufrena (Cesare passò di qui, magnis itineribus, dopo il Rubicone?: la bibliografia in proposito s’affolta) e la fronte d’un sarcofago tardoantico, istoriato e strigilato, che il pio Aurelio Andronico negoziante di marmi di Nicomedia (!) fece fare per sé e per sua moglie Ebuzia Fortuna».
Per quanto riguarda il frammento dell’iscrizione relativa a Giulio Cesare, Stefano Pacinelli ricorda che «un frammento di epigrafe latina dedicata a Giulio Cesare fu rinvenuta sulla base del vecchio altare in modo che il sacerdote, a ogni celebrazione, calpestasse un simbolo del paganesimo. Probabilmente l’iscrizione apparteneva a un piedistallo di una statua di Giulio Cesare che si venerava come semidio secondo la Legge Rufrena del 44 ma. C.».
Statue presenti nella navata destra (da sx, San Pietro, Madonna col Bambino, San Paolo)
Anche la parte esposta del sarcofago istoriato o, meglio, strigilato, per via degli strumenti [Lo strigile era lo «Strumento usato nelle palestre e nei bagni per detergere l’olio misto a polvere di pomice usato prima che si diffondesse, nel tardo Impero, l’uso del sapo, mistura a base di grassi, di uso barbarico», Enc. Treccani] ha subìto diverse vicissitudini raccontate da storici locali, ai lavori dei quali si rimanda; prima dell’ultima, e definitiva, sistemazione il fronte del sarcofago era utilizzato come copertura dell’ossario comune.
Alcuni degli affreschi presenti nella chiesa; questi, sui pilastri, raffigurano, da sx, una Maternità sacra, un martire (riconoscibile dalla palma) e Sant’Onofrio (riconoscibile dalla lunga capigliatura che ne copriva le nudità)
Sono rinvenibili diversi affreschi votivi: una Madonna col Bambino del Duecento, un quattrocentesco Sant’Onofrio, riconoscibile per l’iconografia (le nudità del santo erano coperte solo dai suoi lunghi capelli) e un Compianto cinquecentesco, con un Cristo morto sorretto dalla Madonna con due Marie dolenti con i capelli sciolti in segno di lutto.
Riproposizione grafica del Cristo benedicente nella mandorla mistica con due angeli a lato, attualmente conservato nel Museo Nazionale D’Abruzzo, a L’Aquila
Altri elementi decorativi di San Pietro sono la lastra raffigurante il Cristo benedicente entro una mandorla mistica tra due angeli (attualmente conservato nel Museo Nazionale dell’Aquila): probabilmente, quello che rimane dell’iconòstasi antica o del pluteo di un pulpito; su un pilastro, a sinistra di chi entra nella chiesa, una modanatura con due testine con, in mezzo, un animale fantastico.
Nella cimasa del pilastro sono raffigurati due teste virili e un animale fantastico, tipici elementi decorativi altomedievali
Quest’ultima opera, di fattura altomedievale, riporta indietro nel tempo: nelle chiese cristiane, spesso, in cima alle colonne («alberi di un bosco di pietra») erano scolpiti rami e foglie (a San Pietro, i pilastri hanno le «cimase foliacee»), tra i quali vólti, figure grottesche e animali fantastici, quasi a voler ricordare la foresta di un tempo e i suoi pericoli.
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