Alessandra Verni, la mamma di Pamela
A poco più di sette anni dall’omicidio di Pamela Mastropietro, la 18enne romana violentata, uccisa e fatta a pezzi a Macerata nel 2018 dopo essersi allontanata da una comunità di Corridonia, la mamma della ragazza, Alessandra Verni, ha incontrato oggi in carcere a Ferrara Innocent Oseghale, condannato in via definitiva all’ergastolo.
Innocent Oseghale
A riferirlo all’Adnkronos è la stessa Alessandra Verni. Era stata proprio la mamma di Pamela, nei mesi scorsi, a chiedere di vedere l’uomo, per il quale la condanna è stata confermata a gennaio scorso dopo un secondo ricorso, straordinario, in Cassazione. «Volevo dargli la chance di pentirsi e dire la verità, di denunciare e dare giustizia a mia figlia – ha detto la madre di Pamela – Io penso che questo incontro sia servito a me, penso anche a lui. Mi sono presentata come Pamela: mi sono vestita come lei quel giorno, ho scurito i capelli come lei – con la coda e la frangia – e mi sono messa anche la maglietta con le foto di come l’ha ridotta per ricordare quello che ha fatto. Oggi Dio e Pamela mi sono stati vicini. Certo soprattutto all’inizio rabbia c’era, ma ho parlato con il cuore», sottolinea Verni riferendo che il colloquio è durato 4 ore.
Pamela Mastropietro
«Io spero che parli e denunci, paradossalmente proprio lui può dare giustizia a Pamela», sottolinea Verni secondo la quale il caso di sua figlia non è ancora chiuso.
La mamma della 18enne tuttavia non vuole che questo incontro possa trasformarsi in una strada per ottenere permessi premio o benefici: «Dovrebbero cambiare qualcosa – precisa Verni – una vittima che deve incontrare il carnefice deve per forza passare per il percorso di giustizia riparativa e questo non è giusto». La mamma di Pamela ci tiene a ringraziare «il corpo della penitenziaria del carcere e anche la dirigente: sono stati fantastici in questo percorso».
Nei giorni scorsi, il legale della famiglia Mastropietro, Marco Valerio Verni, aveva commentato anche la notizia dell’uscita dal carcere di Luca Traini, che il 3 febbraio di sette anni fa ferì sei migranti di origine africana a colpi di pistola per le strade della città tre giorni dopo l’omicidio di Pamela. «Tutto, anche il peggiore dei crimini, si deve risolvere in un tribunale e giammai seguendo altre vie che aprirebbero la strada ad una giustizia fai da te che non appartiene, né deve appartenere, ad uno stato di diritto. Riteniamo che se il Tribunale di Sorveglianza abbia accolto la richiesta di affidamento in prova ai servizi sociali avanzata dalla difesa ne sussistessero tutti i requisiti per poterlo fare».
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