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«Il silenzio non c’era mai
e le scarpe si scioglievano per il caldo»
Una vita davanti ai forni della ex Carbon

ASCOLI - Nel giorno del rilancio, la storia di chi ha trascorso anni dentro la fabbrica dove si trattavano gli idrocarburi. Rossi della Cgil: «Tanti di noi sono morti perché esposti a radiazioni e gas. Ma quelli ancora in piedi meritano di tornare a lavorare». Il sopralluogo nel sito dismesso, tra fantasmi e degrado
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Uno spazio abbandonato della ex Sgl Carbon (foto di Sandro Perozzi)

di Luca Capponi 

 

C’è stata gente lì, a cui si scioglievano le suole delle scarpe fino a che non rimaneva solo ferro. Più volte al giorno, davanti ai forni. C’è stata gente esposta alle radiazioni, ai campi magnetici, al gas. Al rumore. «Perché il silenzio non c’era mai, e quando c’era, per un blackout o altro, faceva impressione. Lo stesso silenzio che c’è oggi». Ci sono uomini che lì si sono ammalati. E poi sono morti. Romolo Rossi non può ricordarli tutti a mente, ma tanti di loro li ha conosciuti. Dentro all’Elettrocarbonium, poi divenuta Sgl Carbon, ha infatti trascorso ben 22 di vita lavorativa, dal 1984 al 2006.

Romolo Rossi della Cgil, ex dipendente Carbon

Sarà per questo che mentre parla la voce quasi gli trema. E il cuore di chi ascolta non può non fare lo stesso: «Questo era un brutto posto di lavoro, non lo nascondo. -racconta- Quando ci fu l’ultima drammatica assemblea prima della chiusura, qualcuno minacciò di dare fuoco a tutto dicendo “Se proprio deve chiudere, almeno chiuderà per sempre”. I politici di entrambi gli schieramenti, allora, rassicurarono i 300 lavoratori rimasti (negli anni d’oro erano un migliaio, ndr) che in breve tempo sarebbero stati ricollocati. Conosco gente che dal 2007 non ha più lavorato, altri che nel frattempo sono scomparsi nell’attesa ed altri che sono ancora in piedi. Solo l’essere esposti ad un agente cancerogeno come l’amianto ha garantito ad alcuni di poter godere di un “favore”, cioè andare in pensione anticipata. La politica non ha fatto nulla».

 

Il cartello che parla di differenziata

Rossi, sindacalista della Cgil, non è voluto mancare al momento storico: l’annuncio dell’avvio del processo di bonifica del sito di via Piemonte, dove una volta sorgeva la fabbrica che lì ha lavorato gli idrocarburi per oltre un secolo. In condizioni che, forse, oggi non sarebbero ammissibili. E farsi un giro nello scheletro spettrale di quanto è rimasto, un paesaggio a metà tra il post apocalittico e il post nucleare, non può che confermare questa impressione: ruggine, sversamenti di percolato, vetri rotti, grandi vasche, un odore da nausea, catene di montaggio, grandi macchine, degrado, tracce di vita che fu, persino un cartello che ammonisce i dipendenti, in maniera quasi beffarda, sull’utilità dell’effettuare la raccolta differenziata. Quasi come se l’amianto, o quanto di velenoso ancora giace nel sottosuolo, non fosse mai esistito. Quasi come se tumori e cancri che hanno portato via tanti operai non fossero mai stati veri. Come se fossero tutti fantasmi.
«Il senso di responsabilità dei lavoratori della Carbon, che all’epoca acconsentirono a una chiusura soft, è stato davvero encomiabile. -conclude Rossi- Quello che chiediamo, oggi, è che le promesse di allora vengano mantenute, chiediamo solo questo, nient’altro. Per tutti quelli che aspettano ancora, per tutti quelli che non ce l’hanno fatta».
Già, proprio per loro. Per non dimenticarli mai.

 


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