di Luca Capponi
Ai tempi del mitico brigante Piccioni bastava un mulo, o per i fortunati un cavallo, e ci si inerpicava su per la via, fino a raggiungere una delle frazioni più “scenografiche” del Piceno. Peccato che oggi la strada per arrivare a Rocca di Montecalvo, una delle due, quella che sale dal lago di Talvacchia, sia ridotta ai limiti della decenza. Che poi in realtà, come accaduto in molte altre zone soprattutto dopo il sisma, non si capisce se la stessa sia percorribile o meno; i massi che inibivano il passaggio alle auto, con tanto di cartello di divieto, sono stati spostati e quindi per ora…si passa. Nonostante una serie di ostacoli tra cui primeggiano asfalto rovinato, buche e carreggiata in alcuni tratti ridotta al minimo.
L’altro itinerario è quello che arriva in loco da San Gregorio, altra frazione del Comune di Acquasanta Terme, ma non è asfaltato e quindi anch’esso, a maggior ragione, va percorso con cautela. Insomma, per gli 8 residenti di Rocca, ma anche per i tanti che tornano nelle seconde case o per i visitatori occasionali, si palesa una missione sempre più impossibile. Stile Tom Cruise.
Missione che però vale la pena di portare a termine, perché Rocca è un posto suggestivo, ricco di storia, da cui si gode di un panorama mozzafiato. A rischio oblio, è bene chiarirlo subito, non solo per la difficoltà ad arrivarci, ma anche per uno spopolamento in atto da tempo e per le conseguenze che pure il terremoto ha lasciato. Resistono però bellezza e tradizioni che, con amore, chi è legato a questo posto porta testardamente avanti. Gli stessi che magari, nel 1956, quando qui si contavano 600 anime, erano poco più che ragazzi. E che magari sono i figli o i nipoti dei paesani immortalati nello scatto fotografico d’epoca, risalente agli anni ’30, conservato nella chiesa dedicata alla Madonna Lauretana, edificio posto tra la parte “di sotto” e quella “di sopra” del borgo.
A prescindere dai vincoli parentali, tutti qui conoscono la storia di Giovanni Piccioni, l’inossidabile oppositore delle angherie dei potenti che nel 1849 divenne leader indiscusso del movimento che si opponeva all’Unità d’Italia. Il “brigante” («così lo chiamavano i nemici», si legge sulla targa ivi posta nel 1993) visse in un’abitazione collocata nella parte alta di Rocca, uno degli orgogli della zona.
Questi sono luoghi che emanano storia, tra case antiche, cantine dentro cui venivano “nascosti” i soldati alleati durante la Seconda Guerra Mondiale, insegne in pietra che attraversano i secoli, rue strette, lavatoi, vita contadina, dove un vecchio “Sì” Piaggio o una Fiat Panda non sono così rari da incontrare. Luoghi che hanno la tempra dentro. Non a caso c’è anche chi, con determinazione, vuole rimettere in moto quella che era l’osteria del paese, inaugurata nel lontano 1948 da Elio Canci. Era l’unica del circondario ad avere sei licenze, che a leggerle oggi in tempi di burocrazia killer viene quasi da commuoversi: “osteria con cucina”, “gioco di carte”, “superalcolici sopra ai 18 gradi”, “merceria”, “generi alimentari” e “macelleria”. A riportarla in auge ci prova il figlio di Elio, Arcangelo Canci, uno di quelli che da qui non se ne andrebbe mai. Prodotti a chilometro zero e ricette per tenere alti gli antichi sapori non gli mancano. Mancherebbe “solo” una strada decente. Poi non solo lui, ma tutta Rocca ce la farebbe comunque. Come ha sempre fatto.
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