di Bruno Ferretti
Per cercare o di risparmiare, o almeno limitare le spese, negli anni ’60 e ’70 le squadre di Serie C organizzavano trasferte della durata di una settimana visto che i calendari venivano architettati ad hoc riservando alle squadre più lontane, e anche più… povere, due trasferte di fila in Sicilia o in Sardegna. Tra quelle squadre anche l’allora Del Duca Ascoli che capitava giocasse due gare consecutive in Sicilia, ad Agrigento e Marsala (oppure Siracusa), o in Sardegna a Olbia e Sassari. Sembra preistoria, ma è trascorsi solo qualche decennio. Il calcio era diverso, è vero, ma la gente e soprattutto i tifosi si divertivano molto di più. Questo è sicuro. In quel periodo non solo l’Ascoli, ma in generale tutte le società di calcio (anche di A e di B), facevano di tutto per contenere i costi. Ecco allora che di mute di maglie ce n’erano ad esempio due, diverse tra loro, con la “seconda” da usare quando quelle degli avversari erano simili alle tue. I giocatori non le lanciavano in curva a fine gara ma, solo in casi eccezionali, te la regalavano a fine campionato. Non a caso, tra i compiti dei magazzinieri c’era anche quello di rammendare maglie (in misto lana) scucite o strappate. Dalla Serie A alla Serie C, per non dire dei campionati minori (la maggior parte delle squadre e di Serie D e parecchie dell’Eccellenza oggi si muovono alla stessa stregua di club professionistici), ogni settimana si cercava di risparmiare non solo sui viaggi (diverse le squadre che si muovevano in treno) ma anche su vitto e alloggio. In compenso, però, a fine anno nessun club veniva penalizzato per irregolarità amministrative. Oggi, nell’era digitale, si vive in un altro mondo. Anche nello sport. Soprattutto nel calcio, dove circolano soldi a palate.
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