di Luca Capponi
(foto e video di Andrea Vagnoni)
Cronaca di una morte annunciata. Quella di uno dei monumenti più suggestivi del Piceno. Franato, crollato, sventrato. Obliato. A distanza di qualche mese dall’ultima denuncia di Italia Nostra (leggi qui), dove si paventava il rischio concreto dell’abbattimento, ecco le immagini esclusive dall’Eremo di San Giorgio. Che confermano uno scenario per nulla edificante. Il manufatto situato sotto una rupe di travertino dal caratteristico colore rosaceo, a cui si arriva dal sentiero collocato lungo la strada per Monte di Rosara, è più fatiscente che mai. Vittima dell’accavallarsi delle stagioni, dell’inevitabile corso della natura (terremoti, maltempo) ma soprattutto dell’incuria a cui lo ha destinato l’uomo.
Ecco l’eremo visto dal sentiero situato lungo la strada per Monte di Rosara
Come ben si evince dalle immagini, lo stato delle cose sembra irreparabilmente compromesso: pavimenti sfondati, sterpaglie, arbusti, rifiuti di ogni tipo, crolli in più punti. Sembra per davvero che il vecchio eremo (le sue prime notizie risalgono al 1300) si tenga in piedi per grazia ricevuta, solo grazie a un ultimo faticoso sforzo dai (forse) mesi contati.
All’interno di un quadro così ben poco edificante, sorge conseguente anche l’evidente problema sicurezza. Chiunque, infatti, una volta arrivato in loco può avventurarsi dentro l’edificio, con tutti i rischi del caso. Ovviamente come metodi dissuasivi non possono bastare la scritta “pericolo crolli” su una vecchia porta e un cartello messo da chissà chi davanti a uno degli ingressi.
Il tetto è sfondato in più punti
Eppure, nonostante tutto, il fascino che emana l’Eremo di San Giorgio è ancora miracolosamente l’unica cosa rimasta intatta. Le scritte sui muri lasciate da pellegrini e devoti con tanto di date e luoghi di provenienza (non solo, ci sono anche tanti sfregi incivili di chi qui veniva a bivaccare), il chiostro, le stanze, il forno destinato alla cottura del pane, l’irriconoscibile cappella. Tutto trasuda storia, parla di vissuti secolari sulla linea tra la vita e la morte, tra lo spirito e la materia. Non a caso prima di diventare luogo di culto l’ascolana Livia Martelleschi vi aveva fondato un ospedale per curare i lebbrosi con le acque sulfuree sottostanti.
Oggi, dopo decenni di vani appelli, sforzi, progetti, accordi e disaccordi, chi avrebbe bisogno di cure, o meglio di un vero e proprio miracolo, è proprio il buon Eremo di San Giorgio. Il cui destino disgraziato sembra sempre più segnato dall’abulia dei suoi (tanti) proprietari privati e dall’impotenza delle istituzioni dinanzi a tutto ciò.
Metodi dissuasivi…poco dissuasivi
Il forno
Chissà se Pietro l’ha mai saputo…
Le scritte lasciate dai pellegrini
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