di Andrea Braconi
(foto di Andrea Braconi, Nunzia Eleuteri e Alessandro Giacopetti, video di Nunzia Eleuteri)
Della notte tanto attesa, quella della riapertura del Santuario della Madonna dell’Ambro nel giorno della notte di Natale, resta la grande emozione. Un’emozione condensata nelle lacrime di tantissimi fedeli, accorsi anche dal Piceno per la celebrazione della messa di Natale da parte dell’arcivescovo di Fermo Rocco Pennacchio. Un’emozione impressa sul volto di Amedeo Grilli, presidente dalla Cassa di Risparmio di Fermo, che con un investimento di oltre 1 milione di euro ha ridato vita a questo luogo e speranza ad un’intera comunità, per un lavoro durato 303 giorni, che ha utilizzato 5.000 chili di acciaio speciale e 16 chilometri di tubi per ridare vita al monumento lesionato dal sisma. Un’emozione che è riecheggiata anche nelle parole di frate Gianfranco Priori, guida di quella comunità cappuccina che il Santuario lo abita e lo cura da 120 anni. Un’emozione, infine, adagiata sulla corde del violino suonato magistralmente dal giovane Valentino Alessandrini e sollevata dalle voci di un coro che ha accompagnato la cerimonia, dall’inizio alla fine.
«Dobbiamo saper cogliere l’occasione della rinascita architettonica affinché sia anche una rinascita di fede – ha tenuto a rimarcare monsignor Pennacchio -. Betlemme vuole dire casa del pane. Che anche questo Santuario, allora, sia una nuova Betlemme, una casa del pane spezzato, del pane condiviso».
Nel dargli il benvenuto, frate Gianfranco ha precisato come la presenza dell’arcivescovo sia «una presenza di rilancio, che riempie tutti noi di immensa gioia perché avvertiamo la figura di un amico, un padre, un vero pastore».
Un caloroso saluto lo ha dedicato alla Carifermo, nella persona del presidente Amedeo Grilli «che con amore, passione, competenza, lungimiranza e magnanimità ha voluto dare un segno tangibile del suo amore e della Carifermo verso la nostra terra».
«Siamo certi che sia stata Lei, la Vergine dell’Ambro, ad abbreviare i tempi di ricostruzione – ha proseguito -, suscitando in una realtà importante del territorio quale è la Carifermo il desiderio di celebrare i 160 anni di vita con un segno tangibile nella zona colpita aspramente dal sisma».
«Eccellenza – ha detto sempre rivolgendosi all’arcivescovo -, il Santuario per noi è la porta del cielo, un luogo santo, un ambiente di misericordia e celebrazione della lode di Dio, uno sguardo di Dio verso l’umanità. Il Santuario sono mani che si alzano verso l’infinito. La ricostruzione della chiesa di Maria non è un privilegio, ma l’offerta di uno spazio determinante per qualcosa di identitario di un popolo. È un luogo di identità nostro, non solo religioso, ma anche civile, sociale ed economico. Si è lavorato per scrivere una nuova pagina per questo ambiente. Oggi c’è scritta nella storia una nuova pagina. Una era scritta così: anno 1000. Un’altra: anno 1.600. Oggi possiamo dire: anno 2018. Inizia una nuova era per il Santuario. Oggi Dio nasce e ci fa rinascere».
Le letture (con la prima affidata proprio al presidente Grilli) sono state il fulcro dell’omelia di monsignor Pennacchio. «Esse ci parlano di luce, grazie, salvezza e ben si inseriscono anche nel contesto felicissimo di questa celebrazione. E quasi con stupore non crediamo ai nostri occhi nel rivedere aperta una delle perle del nostro territorio. Nella prima lettura Isaia ci parla delle deportazioni in Israele che distruggevano l’identità di un popolo e la sensazione di camminare nelle tenebre, nell’attesa di un salvatore, di un messia. E le spiegazione della gioia di questa luce è perché è nato un bambino. Nulla come la nascita di un bambino genera una speranza. Isaia ci dice che dobbiamo imparare ad accogliere come accogliamo un bambino. Bisogna imparare a prendersi cura come lo facciamo per un bambino».
Stesso concetto ripreso nel Vangelo, anche qui con il paradosso tra potenza e debolezza. «C’è un bambino che non riesce a trovare accoglienza. Ma noi a chi apparteniamo? A coloro che trovano scuse per non accogliere questo bambino o ai pastori? A chi poteva parlare il Signore se non a chi è abituato a parlare con pecore, agnellini, a creature fragili e deboli come un bambino? Il Natale continua a dirci oggi che poter vivere l’incarnazione del Signore abbiamo bisogno di stimolare ancora di più in noi la disponibilità a lasciarci stupire dai paradossi del Signore, che agisce non attraverso la forza ma attraverso la debolezza».
Nella seconda lettura Paolo, ha spiegato l’arcivescovo, ci dice che “di fronte ad un mistero così grande ci sentiamo amati da Dio e impariamo a vivere in questo modo con sobrietà, giustizia e pietà, una parola questa che vuole intendere anche un rapporto di amore con gli uomini e tra di noi”. «Se sappiamo accogliere nel bambino di Betlemme tutti coloro che sono fragili, deboli ed indifesi – ha proseguito monsignor Pennacchio – anche noi avremo quella luce che ci rischiara».
«Nulla succede per caso – hanno ribadito i fedeli -. Non è un caso che il nostro santuario lesionato sia il primo a ripartire nel territorio del cratere. Non è un caso che la rinascita del santuario coincida con la nascita del Signore Gesù». Perché la gente del luogo percepisce il Santuario come la propria casa. Non poteva mancare, quindi, un grazie agli operai che con maestria «hanno curato tutte le ferite. “In questa notte santa siamo finalmente tutti a casa».
A monsignor Pennacchio il compito di salutare tutte le autorità civili e militari presenti, in particolare il prefetto Maria Luisa D’Alessandro ed il sindaco di Montefortino Domenico Ciaffaroni «che tanto si è adoperato per consentire rapidamente l’agibilità della chiesa».
Infine, prima dei fuochi d’artificio predisposti all’esterno da frate Gianfranco, la lunga coda di fedeli pronta ad inginocchiarsi nella cappellina e a baciare l’altare, «oggi finalmente rifiorito a festa».
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