di Gabriele Vecchioni
Il Parco della Rimembranza è un parco urbano della città di Ascoli, conosciuto dagli ascolani come “L’Annunziata” («…ieme su l’Annunziata…» cantava il “piazzarolese” Pietro Borgioni), nome che riprende quello del convento francescano dedicato alla SS. Annunziata. Esteso per circa 3,5 ettari, il parco occupa l’area sopraelevata tra il Tronto e il suo affluente Castellano ed è parzialmente circondato dalle mura cittadine medievali che si appoggiano, in alcuni punti, sull’opus reticulatum romano; messe in sicurezza dopo i recenti terremoti, sono risalite da un sentiero che le costeggia. L’area interessata è quella più alta della città, culminante con il Colle Pelasgico: nel sito si trovavano le fortificazioni preromane dell’antico càssero dei Piceni. Più tardi, sfruttando l’appoggio di imponenti sostruzioni (le “Grotte”), fu costruito il pretorio (che ospitava il rappresentante di Roma), sostituito, in epoca medievale, dalla struttura conventuale.
Il “vero” nome del Parco (della Rimembranza) ricorda gli ascolani caduti durante la Grande Guerra, 1915-18; in loro memoria, furono piantati numerosi alberi, a ognuno dei quali fu apposta una piccola targa con il nome di un caduto. Il Parco fu progettato, nel 1919, dall’ingegner Paoletti: fu prima realizzata la strada d’accesso lungo via Pretoriana e poi il parco vero e proprio, con la piantumazione di circa 4.000 essenze tra alberi e arbusti. L’inaugurazione avvenne il 5 luglio 1925, in occasione del decimo anniversario dell’entrata in guerra, alla presenza del principe ereditario Umberto di Savoia. Nel 1927 fu costruita la lunga scalinata che sale da via Dino Angelini e, negli anni successivi, la strada per la Fortezza.
La piantumazione di un così rilevante numero di essenze vegetali, molte delle quali posizionate a ridosso delle peculiarità monumentali, o addirittura all’interno di esse, ha avuto come effetto quello di mutare il paesaggio cittadino, con l’annullamento dell’effetto panoramico: i terrazzi dell’Annunziata costituivano, infatti, un magnifico belvedere sulla città picena che, come poche altre, può vantare una skyline di torri e palazzi storici. Nel suo “A zonzo per Ascoli”, Riccardo Gabrielli, allora direttore della Pinacoteca di Ascoli Piceno, scriveva (nel 1937): «Oggi sono salito sul Colle Pelasgico per ammirare il delizioso panorama ascolano, ma ahimé quegli alberi, insensatamente piantati nel piazzale della storica chiesa dell’Annunziata, fra non molto copriranno tutto il caratteristico prospetto del tempio, poiché non una massa verde ma un giardino fiorito, adorno di piante nane e di siepi di bosco, doveva essere la soluzione estetica e decorativa di quel sito incantevole e raro».
Grotte dell’Annunziata. Sono una delle più originali singolarità monumentali della città; addossate su tre lati della rupe del Colle dell’Annunziata, la circondano interamente sul lato orientale. Le Grotte, costituite da nicchioni alti circa 18 metri con volta a botte, avevano il compito di stabilizzare il terreno, evitando movimenti franosi e consolidando la superficie superiore. In base alla tecnica costruttiva e alla consuetudine, tipicamente romana, di rinforzare i rilievi collinari che circondavano le città, si pensa che siano state realizzate nei secoli II-I AC, all’epoca della deduzione della colonia. La tradizione vuole che le maestose strutture sorreggessero, sul terrazzamento artificiale ampio circa un ettaro, l’Acropoli e il Capitolium.
Il Convento dell’Annunziata. Il complesso è costituito dalla chiesa e dall’ex-convento dell’Annunziata. Nel Duecento, suore agostiniane gestivano l’ospedale annesso al primitivo edificio sacro; alla fine del secolo XV, il convento passò ai Minori Osservanti, che lo tennero fino all’Unità d’Italia, quando l’Ordine fu soppresso e i beni passarono allo Stato. La struttura, restaurata nel 1998, ospita la Facoltà di Architettura dell’Università camerte. Il convento ha, sul fronte, un portico a otto arcate a sesto pieno e comprende due chiostri; il minore (sec. XIV) ha un porticato con loggiato sovrapposto con, al centro, un bel pozzo quattrocentesco; il chiostro maggiore è coevo all’attuale chiesa dell’Annunziata. Modificata in modo radicale nel secolo XVII, la chiesa ha un bel soffitto a cassettoni decorato a tempera, nel 1695, dal religioso ascolano Tommaso Nardini. Nel refettorio dei monaci è presente una lunetta affrescata di Cola dell’Amatrice (“L’ascesa al Calvario”, 1519). Dalla chiesa, nell’800, furono trafugati dalle truppe napoleoniche tre dipinti di Carlo Crivelli: “L’Annunciazione”, attualmente alla National Gallery di Londra, “Il Beato Giacomo della Marca” al Louvre di Parigi e il polittico “La Vergine e i Santi”, di cui non si conosce l’attuale collocazione.
La torre del Cucco. Con questo nome si identifica una struttura dal profilo severo, già torre campanaria della scomparsa chiesa di San Pietro alle Grotte, presente a lato del sentiero che portava alla Fortezza, addossata alla cinta delle mura cittadine e visibile, ancora “in piedi”, in documenti fotografici del 1895.
La Fortezza Pia. Il rilievo sul quale sorge la costruzione, alto 260 metri, è il Colle Pelasgico (il nome richiama l’antica popolazione dei Pelasgi). La fortificazione, abbattuta da Gneo Pompeo Strabone nel corso della Guerra Sociale (89 AC), fu ricostruita già in età romana ma soffrì una seconda distruzione nel 590, per opera degli invasori Longobardi. Riedificata dal Comune di Ascoli (1185-95), subì una terza demolizione nel 1242, quando la città picena fu conquistata da Federico II. Cent’anni dopo, il riminese Galeotto Malatesta, diventato signore di Ascoli, ne ordinò il restauro. Successivamente, il Forte, collegato ai bastioni di Porta Romana da un camminamento ricavato nella doppia cinta muraria, fu munito di cannoni ed ebbe un castellano e un maestro bombardiere.
A metà del Cinquecento, Pio IV, papa lombardo della famiglia dei Medici, ordinò la sistemazione della Rocca, ormai in abbandono; con un Breve del marzo 1558 concesse 100 scudi d’oro che gli ascolani, però, dovevano “restituire”. La nuova fortificazione prese il nome dal pontefice che l’aveva voluta; il progetto dell’opera si deve, probabilmente, all‘architetto Sangallo il Giovane che si avvalse della collaborazione dell’ingegnere militare pontificio Francesco Laparelli; i lavori furono affidati a maestri lombardi, molto attivi in zona. L’opera fu terminata nel 1564, per via della Guerra del Tronto (1555-57) che aveva investito con violenza il Basso Piceno con le operazioni militari condotte dalle truppe spagnole del Duca d’Alba, da quelle pontificie del cardinale Carafa e dalle francesi del Duca di Guisa. Queste ultime erano acquartierate nel campo trincerato, fortificato e difeso da bastioni, approntato di fronte alla costruzione e ben visibile nella veduta prospettica della città nella Carta del Ferretti del 1646.
Nel giugno 1799, dopo la conquista e il saccheggio della città picena da parte delle truppe francesi del generale Monnier, le strutture della fortezza furono incendiate e smantellate per impedirne l’uso da parte degli Insorgenti.
Aspetti naturalistici. Il Colle dell’Annunziata è situato nel settore meridionale della città, a picco sul borgo di Porta Cartara: sull’alto morfologico su cui è localizzata la Fortezza Pia è visibile un’ampia flessura “a ginocchio”, al contatto delle arenarie con i livelli marnosi. Il rilievo era completamente spoglio fino alla realizzazione del già citato parco commemorativo, completato alla fine degli anni Venti del Novecento. Gli alberi presenti (quelli di maggiori dimensioni) hanno un’età che arriva a 80-90 anni.
Ai bordi delle scalinate e alla Fortezza sono visibili esemplari di Thuja e cipressi ben sviluppati. Il cipresso è un albero sempreverde tipico della flora mediterranea, molto usato nei giardini monumentali per la forma raccolta della chioma e per il suo valore simbolico, attribuitogli fin dall’antichità e legato alla sua “verticalità”. Lungo i viali vegetano tigli e lecci, essenze adatte alla piantumazione nei parchi, per la resistenza alle potature e per il fitto fogliame che ombreggia i viali stessi. L’albero più “in vista” del parco è il pino d’Aleppo, una resinosa ben adattata al nostro clima. Proprio i pini furono scelti come “alberi del ricordo”: ne furono piantati 379, ognuno dedicato a un caduto ascolano della Grande Guerra, riconoscibile da una targhetta (non più rintracciabile) con il nome del soldato. Queste conifere, ormai ben sviluppate, impediscono la piena fruizione dalla città (e viceversa) dell’interessante panorama. Nel parco sono presenti anche diverse altre specie di alberi tra i quali gli immancabili, ubiquitari, “inquinanti” ailanto e robinia.
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Lo sostengo da sempre anche scontrandomi con Legambiente. Vegetazione inappropriata per un luogo così panoramico. È necessario ripristinare, perlomeno, quelli che io definisco “cannocchiali”. Ossia degli scorci che lascino capire cosa c’è dietro la cortina di pini, cipressi e lecci. Purtroppo sono alberi sempreverdi che impediscono la vista anche in inverno. Sempre per lo stesso motivo, il parco è scarsamente frequentato in inverno, quando ci si ricrea anche con una semplice “spërella” di sole.
Non parliamo, poi, dell’assenza di manutenzione verde che fa sì che tutti i rampicanti parassiti si aggrappino anche ad alberi ormai morti, contribuendo ad infittire la cortina.